09 Gen “Mio fratello Lorenzo” alla Società Storica Catanese
di Gianna Cannì
La parola è la chiave
fatata che apre ogni porta
(Don Milani – lettera a Ettore Bernabei)
L’ultimo spettacolo di Rodolfo Torrisi – da lui scritto e interpretato – racconta l’avventura pedagogica e umana di Don Lorenzo Milani con sensibilità e bellezza. A un uomo su cui si è scritto praticamente tutto non si può che dare voce attraverso parole rifratte, in forma relazionale. Don Milani in questa pièce è presente in quello che ha lasciato agli altri, non è un personaggio che parla, lui che ha amato più di ogni altro le parole: questo è il cuore della poesia dei 4 monologhi che compongono l’opera. E così Torrisi presta corpo e voce al fratello Adriano Milani, all’amico e confessore don Raffaele Bensi e al professore Agostino Ammannati, che – con registri diversi – raccontano il “loro” Don Milani.
“La vicenda – spiega l’autore – prende il via il giorno del compleanno della signora Alice Weiss, madre di don Lorenzo Milani, che riceve la visita del figlio Adriano e degli altri personaggi. Consapevole che la storia del figlio sia stata spesso raccontata in modo distorto o interessato, la madre invita i vari personaggi a fornire agli spettatori la versione ufficiale della vita del figlio Lorenzo. Ognuno contribuisce, raccontando la propria esperienza, a delineare i contorni della vita di un uomo straordinario: dalla sua infanzia fino alla conversione, dalla sua esperienza a Calenzano fino all’esilio di Barbiana, dalla pubblicazione di Esperienze pastorali e Lettera a una professoressa fino al processo per apologia di reato e alla sua rivalutazione post mortem”.
La figura di Don Milani ha qualcosa da dire a tutti, non solo agli insegnanti e agli educatori. La sua scuola democratica metteva al centro la responsabilità e la cura (questo era il senso della famosa scritta che campeggiava su una parete a Barbiana: I care): la responsabilità e la cura del docente verso gli studenti, ma anche la responsabilità e la cura di questi verso il mondo. La lettura dei giornali, l’attenzione ai mestieri, l’affinamento del senso critico insieme alla manualità, la centralità delle parole sia della nostra lingua sia delle altre non sono che strumenti per esercitare la libertà e per trovare una collocazione nella realtà condivisa con gli altri esseri umani. In questo senso, Don Milani non è un tecnico dell’insegnamento, non ha inventato un metodo. Era lui il metodo, la sua presenza, il suo esserci completamente per i suoi ragazzi, che – com’è noto – diceva di amare più di Dio. La scuola di oggi ha molti problemi – cui si cerca di far fronte con ricette preconfezionate, con campagne d’acquisti, con inquietante indulgenza verso logiche aziendali e di mercato – ma a ben guardare, è sempre Don Milani a ricordarlo, “la scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde”: e li perde quando rinuncia al suo vero mandato, alla sua più autentica vocazione. Questo emerge con chiarezza nell’ultima parte dello spettacolo, quando dietro la figura del priore compaiono – evocati dalle parole di Ammannati – i suoi studenti.
La location dello spettacolo – che sarà replicato il 25 gennaio 2025 – è la Società Storica Catanese, casa-museo nel cuore di Catania: le magnifiche stanze – in cui il pubblico segue i personaggi – consentono un cambiamento di scena ma anche di tempo, di tono. Per chi assiste allo spettacolo la presenza nel luogo dell’azione teatrale, la vicinanza all’attore hanno il sapore di un rito condiviso: il cerchio del pubblico crea una dimensione spaziale di qualità del tutto nuova. “La rottura della quarta parete – spiega Rodolfo Torrisi – e la maggiore intimità con il pubblico mi aiutano anche nell’interpretazione”.
L’attore cambia stanza e personaggio (e quindi abito, espressività, anima), lo spettatore ha la possibilità di posizionarsi a varie angolature rispetto a Don Milani in un crescendo emotivo che culmina – dopo la narrazione della vicenda biografica del priore di Barbiana – nella parte più viva e commovente della sua opera pedagogica.
Non è la prima volta che Rodolfo Torrisi sceglie la Società Storica Catanese come teatro per i propri spettacoli: ha messo in scena qui anche Ettore Majorana. Mistero di un genio catanese e Dieci. Quello su Majorana, per certi versi, ha la struttura dell’ultimo: l’enigma sul fisico catanese è delineato ma non risolto dai tre monologhi dei personaggi di Dorina Corso (madre di Ettore Majorana), Enrico Fermi e Leonardo Sciascia. L’altro – tratto dall’omonimo romanzo di Andrej Longo – porta alla misura estrema il rapporto attore-spettatore, perché si compone di dieci monologhi (confessione di altrettante trasgressioni ai dieci comandamenti) interpretati da dieci attori collocati ciascuno in una stanza della Società Storica Catanese: anche gli spettatori sono dieci e si spostano uno alla volta nelle varie stanze in modo che l’attore reciti- per dieci volte – la propria parte ad un solo spettatore. “Gli attori – spiega Rodolfo Torrisi – sembrano condannati a espiare la propria colpa raccontandola ininterrottamente, come tanti Sisifo il cui sforzo risulta vano, perché costretti a ricominciare ogni volta da capo”. I comandamenti si rivelano essere, più che leggi, destini e lo spettatore sperimenta una forma di compassione molto profonda, fatta di prossimità fisica e silenzio.
In questi tre spettacoli “da camera” il coinvolgimento e la commozione degli attori e del pubblico sono palpabili, perché succede che lo scambio – pur nella mimesi teatrale – sia autentico.
E così in Mio fratello Lorenzo poter vedere da così vicino i tre personaggi, sentirli letteralmente respirare produce la strana emozione di esserci (e non di meramente assistere), che è anche un modo nuovo – di fronte alla storia di un uomo interpretata con grande intensità emotiva e bravura da un altro uomo – di dire: I care.
foto dello spettacolo di Simona Cannì
foto di Don Milani dal web
Per le repliche successive al 25 gennaio (anche degli altri due spettacoli citati nell’articolo) si consiglia di consultare le pagine social dell’autore.
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