L’incessante lavoro di un poeta: ricordo di Angelo Lumelli

di Nerio Vespertin

 

Ho provato a scrivere per circa tre volte questo articolo alla memoria di Angelo Lumelli, venuto a mancare nel novembre scorso, e per tre volte ho riletto e riscritto tutto da capo. Estendendo, migliorando, sovrascrivendo.

Non che i testi precedenti presentassero inesattezze o mancassero di validità. Semplicemente, per tre volte ho inseguito la sua figura pacata e magistrale e per tre volte questa è rimasta fuori dal contesto. Come se l’essenza del poeta, noto per la sua ricerca incessante della parola, fosse destinata a restare irraggiungibile proprio qui, fra le parole. Aldilà della traccia virtuale dei suoi workshop di poesia o delle sue innumerevoli interviste sul web, aldilà dei pregevolissimi articoli dedicati sul suo conto, alle sue opere tradotte in inglese e all’eco che queste hanno suscitato, l’eredità che Lumelli ci lascia è enorme e carica di significato. Difficile, forse impossibile, delinearla ora in poche parole.

E del resto Angelo Lumelli, formatosi nel contesto culturale della Milano degli anni ’70 e del gruppo ’63, aveva fatto  dell’innovazione del linguaggio poetico un punto cruciale della sua carriera letteraria. Facendo parte del gruppo di via Col di Lana, fucina di poesia dove circolavano autori del calibro di Antonio Porta, Giancarlo Majorino, Giovanni Raboni e Franco Fortini, la sua opera degli esordi raccoglieva giustamente i fermenti di quella nuova avanguardia letteraria italiana che imperversava dopo il ’68. Riconoscendo il bisogno di rompere con la tradizione poetica canonica, di tutti quegli arcaismi retorici che in parte il mondo accademico riconosceva ancora come validi, lo stile di Lumelli si scopriva sperimentale, andando a caccia della contaminazione fra generi e contesti culturali differenti. E al tempo stesso, tendendosi saldamente ancorato a terra, vicino ad un realismo narrativo quasi prosaico.

L’evoluzione del suo verso è scandita in ogni fase da una continua ricerca della “parola esatta”, ovvero di una rappresentazione il più fedele possibile alla realtà del vissuto quotidiano.  Piuttosto che chiudersi in contesti astratti o di un lirismo onirico, tipico di altre latitudini poetiche del suo tempo, Lumelli racconta spesso i paesaggi che gli sono vicini e attuali: la vista di una Milano fortemente urbanizzata, dove si incrociano tramvai e destini umani, ma anche la sua cara campagna piemontese, fatta di ritmi lenti e genuini. La natura, anche quando si affaccia come protagonista delle sue poesie, non è un mero artificio lirico, una ricerca ingenua di versi bucolici: persino gli alberi o gli animali, quando vengono rappresentati come protagonisti per mezzo di passaggi rapidi ed essenziali, si presentano al pari di dilemmi filosofici, sottintendendo  un dialogo/monologo aperto con la coscienza del poeta.

Soprattutto negli esordi, i versi sono segnati da un’attenta frammentazione del testo, abbinato all’uso di un linguaggio denso e stratificato. È il caso delle sue prime raccolte, “Cosa bella cosa” (1977) e “Trattatello incostante” (1980), dove il verso si trasforma in flusso di coscienza, con continui accavallamenti e sovrapposizioni di significato, in qualche modo riecheggiando e oltrepassando lo stile di Andrea Zanzotto.

 

tuttavia così
l’intima acqua
pioggia su tutti gli orti così vasta
radici bagnate delle verze
non smentire subito
se ti tira nel suo tempo
o studiare un tempo misto
un sollievo di bilancia
inutilmente trattieni
l’autonomia dei peli
chiudi il buco dell’ascella
risale un fruscio nera terra
sfiora in mille specchi
è il mare delle gonne
come invoglia nel suo buio
è la buia confidenza
conoscere impigliato
muore preso dove è nato
non avrà esito altrove non avrà?

(estratto da “Trattatello incostante”, Savelli ed., 1980)

 

La maturazione poetica si accompagna ad una complessità stilistica che a fine anni ’90 raggiunge il suo apice con “Bambina teoria” (1990) e “Seelenboulevard” (1999), dove la stratificazione e il richiamo letterario ad altre opere fa sì che ogni rilettura porti una nuova interpretazione. Le tematiche virano qui su concetti più filosofici, indagando il limite della rappresentabilità e del significato dei nomi. È in questa fase che si parla soprattutto del suo verso come di un ‘labirinto’, ovvero come un nodo di significati intrecciati che è possibile sbrogliare solo a più tempi, leggendo e rileggendo. È bene notare come la passione di Angelo per la poesia tedesca emerga da qui in avanti, manifestando forti e profonde influenze. Contemporaneamente alla sua produzione poetica, si affianca infatti l’attività del Lumelli germanista, amante di Hölderlin, traduttore di Novalis e Torberg. È proprio la cura per l’esattezza della parola, affezione tipica di chi come lui era abituato a tradurre e a districarsi nei meandri delle lingue, a condurlo a questo processo di labor limae continuo e sofferto. Un vero e proprio processo di perfezionamento della parola poetica che dagli albori della neoavanguardia italiana aveva visto il germe e che con lui conosce un progressivo affinamento, una tensione spasmodica alla precisione rappresentativa. Come ammette egli stesso, nelle pagine teoriche a chiusura di una sua silloge: “La poesia come finitezza non tollera la parola vagabonda, che arriva all’ultimo”.

 

il pergolato sopra il gioco delle bocce
m’interroga e io gli rispondo
siamo tu ed io gli dico
c’è un muro color verderame
c’è una sedia di ferro arrugginito
ci fu il colpo secco sul pallino
un altro bersaglio fu colpito
passarono scarpette di vernice
due gambe fino all’orlo della gonna
il mondo restò a terra
sotto il cielo dell’assunta
sulla cima dei suoi seni
tutto fu rapito
uomini con il cappello
accompagnano le bocce
con la testa coperta sotto l’infinito.

(estratto da “vocalises”, Del Verri ed., 2008)

 

Non è un caso che una delle sue ultime sillogi prenda nome da un verso di Hölderlin, “Bianco è l’istante” (2015). In quest’ultima fase, l’evoluzione artistica e culturale di Lumelli compie un superamento notevole, sia nello stile che nella forma. Qui i testi rinunciano all’artificio della divisione in capoversi, presentandosi come aforismi o periodi narrativi dal gusto metaforico molto ricercato. Eppure, non c’è dubbio sull’attentissima elaborazione poetica dei versi: a ben vedere, è come se la volontà di sperimentare e innovare degli esordi, avesse trovato seguito naturale nella trasformazione stessa del concetto di poesia, in una forma dove la struttura canonica collassa e implode. La perfezione del verso sta nella scelta attenta delle figure, dei simboli e di come questi sono disposti nel periodo.

 

“Sia gloria alla sineddoche, all’occhio che prende di mira un piccolo particolare, strano movimento al lato delle labbra, inizio di un sorriso inconfondibile. Questa gloria del particolare esplosivo, un colpo al cuore, contrasta con l’inerzia del continuo, che si rimargina su di noi”.

(estratto da “Bianco è l’istante”, Del Verri ed., 2015)

 

Concludendo questa breve panoramica della sua bibliografia, è con una certa soddisfazione che segnalo una pregiata riedizione in formato compatto e impreziosito, del suo intero corpus poetico, nella versione che “Il Verri” ha voluto regalare al pubblico nel 2020: un degno tributo ad un’immensa attività pluriennale, capace di restituire l’integrità di un’evoluzione di carriera.

 

 

 

Così, con una grazia colta e mai invadente, Angelo Lumelli ha percorso la sua strada nel panorama della poesia italiana. Senza clamori, senza invadere l’attenzione del pubblico e della critica, ma con una cura intelligente, raffinata. Sempre fedele alla necessità d’essere esatti con le parole.

Quelle stesse parole che qui, in questo faticoso articolo, sono sembrate a più riprese corrette, ma mai completamente esatte. Pe tre volte estendendo, migliorando, sovrascrivendo.

E forse è proprio questo metodo, fatto di riletture successive e riscritture continue, il modo migliore di ricordare e celebrare l’arte di Angelo. Proprio lui che più di ogni altro aveva intuito la vera anima della poesia: ‘incessante’.

 

 

PS. Trovo doveroso citare e ringraziare l’opera di un’altra poeta che ha contribuito a farmi scoprire e appassionare alla poesia di Lumelli, ovvero di Elisa Longo. È grazie alla sua trasmissione radiofonica “Vocale”, su Fango Web Radio, esperimento di poesia e arte uditiva, contaminazione culturale e molto altro, che di recente ho avuto modo di ascoltare la voce dello stesso Lumelli al telefono mentre scherza, commenta la campagna e il tempo e infine legge tutto d’un fiato la sua bellissima “Raccontino da fermo” (episodio #0).

 

 

NOTE:

Testo completo de “Trattatello Incostante”

Retrospettiva dei testi di Angelo Lumelli

Nota critica su “bianco è l’istante”

“Vocale” di Elisa Longo su Fango Webradio

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