Sempreverde

di Silvia Roncucci

Olivia balza sul letto e mi piazza il sedere davanti al viso.

«Ho capito» dico e subito chiudo il libro. Lei si volta di scatto, con un guizzo ci salta sopra e comincia a giocare con il segnalibro. É il suo preferito, quello rosso con le frange. Fa sempre così: pretende tutte le attenzioni per sé e poi ti lascia per qualcosa di più interessante. Appena si stufa del gioco, torna a leccarmi il viso con la linguetta rugosa e mi si avventa sui capelli; li biascica, mastica di tutto lei: peli, cibo buono, spazzatura. Quando nasci per strada è difficile dimenticarsene, anche se vieni accolto in una casa borghese e pulita.

«Ora basta, riposiamoci un po’» dico mentre accarezzo la sua testolina arancione. «Tanto abbiamo il giorno libero.» Mi giro di spalle e sento il suo corpo che si accoccola dietro di me, riscaldando proprio quel punto della mia schiena. Ognuno ha il suo modo di cullarsi, noi abbiamo questo, così non tardiamo ad addormentarci.

Un brivido mi riscuote. Non so quanto tempo sia passato. Guardo l’orologio: è mezzogiorno. Mi tiro su, cerco intorno a me. Inizio a chiamarla. Mi alzo, vado verso le ciotole: vuote. Mi dirigo verso il bagno, ma la lettiera non porta segni del suo passaggio. Entro in salotto, in camera mia, in quella di mia figlia, nello studio, di nuovo nel bagno, nella cabina armadio, ma niente.

«Ah!» dico. Qualcosa mi riscalda il petto. Corro giù per le scale.

Quando esco in strada fuori c’è il sole. Vado verso il giardino, apro il cancello della staccionata. L’erba è di un verde vivido illuminato da gocce di pioggia fresca.

«Eccoti!»

Eccola. Lì, proprio sotto il vaso con la pianta sempreverde. In una scatola di legno, avvolta in una copertina, accanto il collare con il suo nome fatto incidere nel caso fuggisse, nel caso la perdessi. Quello a cui non ho avuto il tempo di farla abituare.

«Perché ti piace questa pianta, mamma?» ha chiesto mia figlia quando siamo andate a sceglierla. «Ce ne sono altre più belle…»

«Perché è come lei. É piccola e rimarrà per sempre così. Starà fuori casa, ma non troppo lontana.»

Lei ci ha pensato un po’ su, ha annuito, e poi ha chiesto alla commessa di mettere intorno al vaso un nastro. La donna ha tirato fuori una grossa scatola, mia figlia non sapeva che colore scegliere. D’istinto ne ho afferrato uno e l’ho porto alla commessa. Era rosso, lucido, con delle frange che ricadevano ai lati.

***

Silvia Roncucci (Siena, 1979) si divide tra il lavoro di insegnante e quello di guida turistica. Ha frequentato corsi di scrittura con Giulio Mozzi, Rossana Campo e Marco Rossari. Alcuni dei suoi racconti sono stati pubblicati su “Offline”, “Malgrado le mosche”, “Il foglio letterario”, “Lorem Ipsum”, “Belleville news”, “Pastrengo”, “Neutopia”, “Rivista Blam”, “Morel, voci dall’isola”, “Smezziamo”.  Cura la rubrica Donnaridens della rivista “L’Altrofemminile”, dedicata alla narrativa ironica, comica e umoristica. Combatte quotidianamente con la dipendenza dalla crema di pistacchio, una figlia testarda, un marito polistrumentista e un gatto che adora saltare sulla tastiera del computer mentre scrive.

Immagine di copertina: Suzanne Veladon, Il grande gatto

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