01 Feb Aver ragione è ancora un’ arte? Schopenhauer tra dialettica e nuova retorica (seconda parte)
di Elisabetta Imperato
Lo scritto di Schopenhauer, concepito nell’età del trionfo di Hegel, età in cui si afferma una concezione della dialettica diversissima da quella qui esposta e destinata ad ampi sviluppi, merita qualche riflessione supplementare, in considerazione delle indicazioni di lavoro che esso offre e in ragione della ripresa di questa accezione intersoggettiva della dialettica nella nuova retorica nel Novecento.
In questo nuovo contesto, Perelman, in collaborazione con Olbrechts-Tyteca, nel Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, pubblicato nel 1958, recupera la teoria dell’argomentazione sviluppata dai Topici di Aristotele ed integra dialettica e retorica, distinte dalla tradizione soprattutto in base al destinatario cui si indirizzavano, presupponendo la dialettica un interlocutore attivo e la retorica un uditorio passivo.
Collegandosi alla tradizione antica, Perelman riprende il concetto aristotelico dell’argomentazione come completamento della dimostrazione basata sul ragionamento formale ed amplia il concetto di ragione per comprendervi i procedimenti linguistici utilizzati al fine di generare la persuasione.
La nuova retorica, avvicinata alla dialettica, si presenta come logica della persuasione fondata su argomentazioni diverse da quelle contemplate dalla logica della dimostrazione delle scienze matematiche.
Ora l’elemento centrale di ogni argomentazione è il riferimento ad un uditorio, riferimento sempre presente nel testo di Schopenhauer.
Per questo ed altri motivi lo scritto di Schopenhauer ci sembra offrire indicazioni preziose per una analisi della dialettica intesa in uno dei significati più ampi e oggi più diffusi, legato alla prassi quotidiana del confronto, della discussione e del dibattito.
Non a caso nel testo di Perelman si fa riferimento a come il discorso privato si sviluppi in un campo affine a quello dell’antica retorica e come sia proprio nel corso dei rapporti quotidiani che l’argomentazione ha occasione di esercitarsi.
Da queste considerazioni derivano conseguenze importanti. Innanzitutto si riducono le distanze tra dialettica e retorica, in secondo luogo si apre uno spazio, interessante a fini didattici, di analisi delle tecniche delle controversie che consente efficaci recuperi della tradizione filosofica, declinandone però gli insegnamenti in contesti non più prettamente filosofici ma legati a modalità di comunicazione diffuse e sedimentate in tecniche di argomentazione automatiche di cui non sempre si ha coscienza.
La filosofia (o l’insegnamento della filosofia) può così diventare una strada maestra per il reperimento di queste tecniche e può contribuire ad attrezzarci criticamente rispetto all’uso di artifici linguistici di attacco, di difesa e di confutazione.
In altri termini: se la nuova retorica non distingue più tra uditore attivo del dialogo e uditorio silenzioso (i confini tra i due uditori si assottigliano, le due figure il più delle volte si sovrappongono), sul piano teorico non ha più ragione d’essere la distinzione tra dialettica intesa come tecnica della controversia e retorica intesa come tecnica indirizzata a un pubblico numeroso.
L’uditore silenzioso presupposto dalla retorica tradizionale è quasi sempre l’incarnazione di un uditorio particolare. Non è quasi mai, scrive Perelman, l’uditorio universale: uditorio, la cui supposta esistenza costituiva la base, storicamente fondata, della distinzione, oggi in discussione, tra dialettica e retorica.
Per altra via: anche la dialettica oggi, nella accezione d’uso qui considerata, non si collega più alla dimensione esclusivamente privata del dialogo. I mass media hanno dato corpo a quel pubblico universale che un tempo apparteneva al dominio della retorica.
Risulta inoltre estremamente difficile, sul piano pratico, precisare la distinzione tra dialogo eristico e dialogo euristico, discussione e dibattito, dialettica in senso “basso” e dialettica in senso “elevato” perché queste dimensioni si sovrappongono continuamente.
Nel trattato di Perelman e Olbrechts-Tyteca, Schopenhauer è ampiamente citato (per la precisione 27 volte); la sua concezione della dialettica, quanto mai attuale, si sottrae ad una logica per addetti ai lavori e, come già detto, dischiude prospettive di analisi sui luoghi comuni del dibattito e della discussione.
Il contributo di Schopenhauer viene spesso ricondotto da Perelman alla individuazione di artifici e trucchi ricorrenti nelle tecniche dell’argomentazione. Il fatto che Schopenhauer si ricolleghi esplicitamente ad Aristotele ci permette di stabilire relazioni interessanti tra contributi, strettamente filosofici e non, che caratterizzano gran parte del pensiero occidentale, dalla fondazione della logica alla nuova retorica.
L’area comune dell’argomentazione, terreno di indagine di discipline disparate e di approcci di diversa natura (dalla linguistica alla sociologia, dalla psicologia alla semiotica, dallo strutturalismo alla psicoanalisi), mette in luce la pervasività del discorso filosofico, a partire dai fondamentali meccanismi di associazione e di dissociazione tra i concetti, che guidano, il più delle volte intuitivamente, le logiche dei discorsi.
“Il fatto che siamo in grado di indicare un gran numero di coppie e di assegnare a ognuno dei loro termini un posto determinato, senza dovere per arrivarci, inserirli in un pensiero sistematico (…) è indice dell’azione che le elaborazioni filosofiche hanno esercitato sul pensiero comune, fornendolo di una serie di coppie, residui di una tradizione culturale dominante” (Perelman, cit., pag. 442).
Perelman cita a titolo esemplificativo coppie filosofiche quali: apparenza-realtà, mezzo-fine, conseguenza-principio, accidente-essenza, relativo-assoluto, teoria-pratica, linguaggio-pensiero, individuale-universale, e ancora, riferendosi al Fedro platonico, opinione-scienza, conoscenza sensibile-conoscenza razionale, corpo-anima, divenire-immutabilità, pluralità-unità, umano-divino.
L’ipotesi di questo lavoro è che si possano considerare anche queste coppie di derivazione filosofica come magazzini di argomenti, rubriche sotto le quali è possibile classificare gran parte degli schemi argomentativi in uso, raggruppandoli, per così dire, in cassetti.
Con Perelman possiamo affermare che i luoghi comuni dei nostri giorni, in gran parte, non sono che un’applicazione dei luoghi comuni in senso aristotelico ad argomenti particolari.
I luoghi della quantità, su cui si fondano le argomentazioni sulla presunta superiorità di quanto ammesso dalla maggioranza, oltre ad essere di enorme rilievo nello sviluppo della democrazia, hanno un’origine filosofica. Ad essi si contrappongono i luoghi della qualità, altra categoria filosoficamente forte, che al contrario si fondano sulla superiorità valoriale dell’unico contrapposto al molteplice, al volgare e al banale. E qui, da Kierkegard a Schopenhauer e a Nietzsche, per limitarci alla filosofia contemporanea, si apre la possibilità di un’analisi di un luogo filosofico fondamentale nella filosofia post kantiana.
Questi luoghi ed altri (quelli dell’ordine, dell’esistente, dell’essenza, della persona) svolgono una funzione importante nei discorsi perché costituiscono un punto di partenza delle argomentazioni, vere premesse che guidano la discussione e che il più delle volte sono determinanti in forma non intenzionale ma implicita o inconsapevole.
Applicazioni didattiche
Un percorso possibile, che sfrutti le indicazioni date da Schopenhauer e quelle presenti nell’opera di Perelman, potrebbe individuare gli schemi argomentativi di derivazione filosofica.
Si potrebbe tentare di esplicitare schemi concettuali che agiscono senza essere chiaramente percepiti, a partire dagli argomenti che risultano particolarmente ripetuti e perciò più familiari, ad esempio nel dibattito politico.
Un’altra linea da seguire potrebbe essere quella volta a reperire casi in cui si ricorre all’effetto comico per aver ragione sull’interlocutore; il lavoro si sposterebbe in tal modo sull’uso che nell’argomentazione rivestono alcuni procedimenti caricaturali ai fini della confutazione.
Bisogna ovviamente tener conto che ogni argomentazione si fonda sulla interazione di elementi che agiscono reciprocamente ed empiricamente gli uni sugli altri. Diventa perciò difficile farne una analisi scientifica. Occorre ricordare che siamo in un ambito che riguarda la prassi, non la teoria, e che l’esigenza della mediazione didattica conduce ad una necessaria semplificazione rispetto alle implicazioni psicologiche e logiche che caratterizzano il discorso come prassi intersoggettiva.
Gli schemi argomentativi si riferiscono per lo più all’ambito del quasi-logico. Rientrano in questa categoria enunciati come “se il mondo è retto da una provvidenza, lo stato richiede un governo”, che già Quintiliano definiva “argomento di vicinanza o di paragone”.
Molti discorsi comuni si fondano su analogie e contiguità ragionevoli più che razionali. La persuasione ha a che fare perciò con una procedura dimostrativa di tipo “dialettico”.
Tra le molte relazioni che nell’ambito della argomentazione potrebbero essere esaminate si potrebbero privilegiare quelle che maggiormente consentano una fenomenologia filosofica.
Bisogna però mantenere la consapevolezza che le premesse nell’argomentazione solo in rari casi sono del tutto esplicite, che nella prassi i problemi oggetto di discussione si chiariscono col procedere della discussione stessa e che quindi l’ambito dell’argomentazione risulta fondamentalmente complesso e diverso da quello della dimostrazione.
Una figura dalla quale potrebbe partire l’indagine empirica è quella dell’ironia, perché vanta una importante tradizione filosofica e perché diffusa in molte situazioni argomentative.
Altre figure, oggetto di analisi, potrebbero essere la tautologia, la reciprocità, la transitività, l’inclusione, l’entimema, il paragone, la probabilità, ma per una elencazione più dettagliata rimandiamo senz’altro a Perelman.
Un altro percorso didatticamente suggestivo è quello relativo alla rottura di legame e alla dissociazione dei concetti, esercizio particolarmente legato allo statuto della filosofia.
“Faremo vedere in seguito come ogni nuova filosofia presupponga l’elaborazione di un apparato concettuale, di cui almeno una parte, quella che è fondamentalmente originale, risulta da una dissociazione delle nozioni che permette di risolvere i problemi che il filosofo si è posto. Ciò spiegherà, fra l’altro, il grande interesse che merita, secondo noi, lo studio della tecnica delle dissociazioni.” (Perelman, cit., pag.436).
Per comprendere la tecnica della dissociazione delle nozioni, Perelman esamina la coppia apparenza-realtà, considerata il prototipo filosofico di qualsiasi dissociazione concettuale.
“Questa preferenza accordata a ciò che è reale non si manifesta soltanto nel corso di discussioni filosofiche, ma si esprime nel pensiero di tutti i giorni, nelle circostanze più varie.” (Perelman, cit., pag.439)
La dissociazione esprime sempre una visione del mondo e stabilisce gerarchie tra elementi. Mettere in rapporto coppie è un utile esercizio filosofico: la storia della filosofia, narrabile ricorrendo al modello dell’enciclopedia più che a quello del dizionario, può configurarsi come la storia di coppie filosofiche che non sono date una volta per tutte ma che si definiscono e si ridefiniscono attraverso associazioni e dissociazioni che configurano nuove coppie, creando nuove combinazioni e nuove visioni del mondo.
Perelman suggerisce di opporre alle coppie filosofiche risultanti da una dissociazione, da una parte coppie antitetiche come alto-basso, bene-male, giusto-ingiusto, dall’altra coppie classificatorie che sono apparentemente prive di intenzione argomentativa, quali quelle utilizzate nella periodizzazione storica, nella suddivisione di zone in regioni o di generi in specie.
L’autore parte dal presupposto che in molte coppie che sembrano classificatorie, le dissociazioni filosofiche svolgono una funzione essenziale.
E cita, a tale proposito, l’analisi fatta da L. Febvre della creazione ad opera del Michelet del concetto di Rinascimento che dimostra come inizialmente Michelet oscillasse tra due concezioni, quella del Rinascimento come resurrezione del Medioevo originale e quella del Rinascimento come sostituzione del Medioevo. Nel momento in cui sceglie la seconda soluzione, trascura del tutto le pagine che aveva scritto collegandosi alla prima e fa un diverso uso della coppia apparenza-realtà che aveva guidato la scelta iniziale: mentre nella prima interpretazione il Rinascimento veniva presentato come il vero Medioevo perché avrebbe incarnato lo spirito più puro del Medioevo storico, presentato come Medioevo apparente, nella seconda interpretazione l’epoca anteriore costituisce il Medioevo autentico, che non è più considerato come apparenza di Medioevo ma apparenza di civiltà. In tal modo la coppia originaria apparenza-realtà è applicata ad un’altra nozione.
Le stesse periodizzazioni storiche, accolte solitamente come classificazioni date, presuppongono argomentazioni che non sempre appaiono evidenti.
Per questo motivo, una volta sedimentate in concetti, le idee perdono il legame originario con l’argomentazione a cui si collegano e possono apparire come puramente classificatorie.
“Così le nozioni risultanti da una dissociazione possono, una volta lanciate nella comunità linguistica, apparire come indipendenti.” “Le coppie mezzo-fine, atto-persona, individuo-gruppo, atto-essenza, simbolo-cosa, particolare-generale, con le loro varianti e le loro connessioni, ci forniscono i termini dei legami più abituali, che sono base dei legami di solidarietà argomentativa” (Perelman, cit., pag.445).
Questo terreno d’analisi appare particolarmente fertile se pensiamo che le coppie sono oggetto di un rimodellamento costante, attraverso inversioni, commutazioni e reinterpretazioni.
Tentare di ricostruirle significa quindi cimentarsi in una sorta di archeologia filosofica e imparare al tempo stesso a riconoscerle, all’occorrenza, nei discorsi comuni.
La filosofia di Schopenhauer, scrive Perelman, ci offre eccellenti esempi di dissociazioni a ventaglio. Dalla coppia obiettività-volontà si passa a suddivisioni ulteriori attraverso la scissione della obiettività (rappresentazione) nei due termini cose-idee, mentre il termine idee si sdoppia nella coppia concetto-intuizione, legato alla coppia parziale-totale.
“Questi approfondimenti successivi, che permettono di non sacrificare i risultati già ottenuti, gli accordi acquisiti, i concetti di cui si dispone, si presentano in tutti i settori del pensiero”. (op. cit. pag.453).
La frequenza con cui tali coppie ricorrono, non sempre in forma evidente nei discorsi comuni, risponde ad una doppia logica: da un lato ad una economia cognitiva che ci permette di capitalizzare categorizzazioni sedimentate nel pensiero dominante, dall’altro ad una stratificazione di modelli, schemi e concetti che hanno perduto in chi li usa il senso filosofico dell’origine e che si presentano come un prontuario di soluzioni, automatiche e condivise, alla portata di tutti. Lo stesso ragionamento si può fare per altri luoghi dell’argomentazione, passati al senso comune dalla filosofia, dalla retorica e dalla dialettica.
I trucchi individuati da Schopenhauer costituiscono un repertorio di questo tipo. E se Aristotele e Quintiliano possono aiutarci a capire il significato filosofico che si nasconde dietro l’apparente approccio minimalista con cui Schopenhauer ci consegna trucchi e artifici, il linguaggio comune e le contese cui ci capita di assistere o a cui partecipiamo, possono aiutarci a capire il senso profondo dei legami che ancora collegano questi a quello, in una dialettica costante che riduce gli scarti tra filosofia e vita quotidiana.
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