Il pesce foglia

di Raffaella Grisotto

 

 

Il Pesce foglia ha un dono: fa riappacificare gli amanti. 

Di avere questo dono il Pesce foglia non è consapevole, nemmeno gli amanti lo sono, eppure accade. E accade come risalire dalle caviglie al cuore, poiché il Pesce foglia questo porta: leggerezza, indulgenza e metamorfosi.

 

Valentina e Armando vivevano nel loro tempo un po’ guardiano e un po’ pettirosso (come tutti gli amanti) ma c’era, nel loro stare, un punto di disperazione, e questo punto era il viaggio. 

Valentina amava viaggiare germogliando: saltellava sulle rocce, si infilava fra le onde, fotografava flabelline e cetrioli di mare e sarebbe stata sempre nuda, o vestita di sale, come diceva lei.

Armando invece portava camicie di lino bianco e il suo unico desiderio era allungare i passi sul bordo di una piscina, con un cocktail in mano e al centro di una festa.

 

Lo spirito del viaggio, come un topo maligno, entrò nelle loro giornate, al mattino e all’ora della merenda, mentre lei leggeva il giornale e lui guardava il computer, e andò ad infilarsi ovunque, fin sotto il tavolo in ferro battuto del giardino, dietro gli stipiti delle porte, nella vasca da bagno e dentro le lenzuola, e non c’era più nulla che potessero fare per andare d’accordo. La camicia bianca di Armando era per Valentina, ormai, un deserto senza voci; e le flabelline di Valentina erano per Armando una vacuità colpevole.

 

Intanto il Pesce foglia, senza saperlo e senza volerlo, accumula la sua magia dondolando sotto un’alga vagante assieme alla sua amica Cerniola di fondale. Chiacchierano. 

“Come si sta comodi sotto le alghe”. 

“Sì, davvero, ma anche sotto le boe, sotto i relitti; insomma, sotto qualcosa che galleggi e ci protegga”. 

“Sì, nell’ombra, nella pace. Qui nessuno verrà a cercarci, a mangiarci”. 

In questa pace e in quest’ombra la magia, come una cosa giovane e santa, entra dentro il Pesce foglia dalle branchie, goccia a goccia, e gli riempie il corpo. Le pianure sottomarine con i loro vulcani, le caverne sprofondate, tutte le pettinature del mare stanno di fronte a lui ma il Pesce foglia non si accorge di niente e null’altro desidera se non starsene sotto la sua alga. E mangiare pesci grandi come lui. La sua bocca vorace si allunga e allarga come una fisarmonica e svupp! Il pesce è risucchiato, tutto torna immobile come prima, sembra di aver avuto un miraggio. Se di pesci non ne passano, usa la sua arte di foglia e si avvicina lentissimo, dondolando, invisibile.

Dentro il suo ventre la magia, nutrita di molto cibo e molto riposo, comincia a chiedersi chi ne trarrà beneficio.

 

Al di là del mare, intanto, Valentina e Armando presero una decisione, che più che una decisione è un luogo: il Madagascar! Se quest’isola da inizio del mondo non ci serve per ricominciare, si dissero, ci lasceremo! Per aiutarci a ricominciare, si dissero ancora, useremo nuovi nomi: non più Valentina e Armando, ma Alabiba e Cruzberut.

Alabiba con le cosce lunghe di sempre e la passione per gli occhiali, che possiede a decine e porta fin da bambina, anche se non ne ha bisogno. Cruzberut con le sue mani belle di sempre e un po’ troppi peli sulla schiena.

 

E partirono quasi di corsa e quasi felici, arati via gli ornamenti tiepidi delle sere, bianchi e astrali, e pieni di tenerezza per il loro amore quasi morto.

Una settimana come piace a me e una settimana come piace a te, e poi si ricomincia, una settimana come piace a me e una come piace a te. 

Per la sua settimana Alabiba trovò una capanna su un albero gigantesco. La capanna non aveva luce, né corrente, né bagno. Ma aveva un materasso e un copriletto fatto all’uncinetto, e tendine di pizzo. Le ragazze dell’isola cucinavano il pesce pescato quel giorno. L’isola aveva la sabbia rosa e il mare era torbido, pieno di plancton.

Per la sua settimana Cruzberut trovò un resort con una piscina e i camerieri, c’era una carta dei vini, l’aria condizionata e la piscina, con le mollette eleganti per tenere i teli ben distesi. 

Ma non funzionò: una settimana era infelice lui, la settimana dopo era infelice lei, e litigavano sempre di più.

Durante la settimana di Cruzberut, una mattina in cui la luce era arrivata prima del solito e più chiara, Alabiba sentì che sarebbe stato facile, si alzò dalla sdraio con le mollette eleganti e andò verso il mare. Cruzberut la guardò senza fermarla.

 

Nel mare, il Pesce foglia sta, con tutta la sua magia dentro, ad aspettare. È piatto, le sue pinne sembrano tre code nere. Attorno agli occhi e alle narici ha delle bande nere che salgono sulla testa e l’orlo delle pinne è seghettato come i bordi delle foglie, giallo e pieno di macchioline simili a muffe. È un po’ marroncino, un po’ verdastro, un po’ giallognolo. Sul muso ha un barbiglio, come il peduncolo di una foglia. Siccome sta quasi sempre fermo sul suo corpo crescono le alghe. Perde la pelle tutta insieme, al modo delle aragoste e dei serpenti. Pochissime sono le persone che non si fanno ingannare, che lo riconoscono.

Alabiba è sott’acqua, il suo amico le fa capire di posarsi sul fondo, poi si ferma e guarda un punto. Anche Alabiba guarda il punto, ma non vede niente, solo una foglia che dondola. Allora lui allunga un dito e la foglia salta. Perché il Pesce foglia non sa nuotare, sa solo oscillare e saltare, un saltello anche un po’ sgraziato, di due centimetri, con quel corpo tutto irregolare, convinto di andare chissà dove. 

“Ma guarda che pesciolino presuntuoso”, pensa Alabiba, “te ne stai lì tutto concentrato, con le tue pinne sulla pancia che sembrano zampette palmate appoggiate alla roccia, credi di saltare venti metri e invece stai saltando due centimetri”.

“Guarda che io posso fare salti impressionanti fuori dall’acqua per sfuggire alle reti”, le dice a questo punto il Pesce foglia che sa leggere nel pensiero, “e posso essere grande fino a un metro e dieci e pesare venti chili!”.

“Scusa Pesce foglia, non volevo offenderti”, risponde Alabiba.

“E tu sei stata fortunata a vedermi in mare, perché a me piacciono tanto gli alberi e le foglie, quelle vere, e l’acqua salmastra, quindi ogni tanto entro nei fiumi, nei laghi, nei torrenti dell’Amazzonia, in Venezuela, Colombia, Perù e Brasile. Lo sapevi questo, Alabiba?”.

“No, non lo sapevo Pesce foglia, e tu sei così bello che verrei a cercarti anche nei fiumi dell’Amazzonia!”.

Il Pesce foglia le sorride e si allontana, lentissimo, dondolando, e a quel punto più leggero.

 

Alabiba esce dal mare e la luna è scomparsa. Gli uccelli hanno attraversato il cielo e spostato l’aria. Le sue cosce, lo sente, sono di velluto. Cruzberut sta sulla spiaggia ad aspettarla. Si avvicinano e si danno un bacio lungo lungo lungo, figlio dell’ombra dell’alga e del cibo risucchiato. Non tornano ai nomi di prima.

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