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18 Feb Nel verso giusto
di Anna Rita Merico
La chiusura dell’epoca storica del patriarcato ha lasciato dietro di sé enormi fragilità e infinite domande all’interno della riflessione su ruolo e percorsi identitari sia femminili che maschili. Fragilità e domande, oggi, espongono i corpi a forme differenti del sentire. Quello che, all’interno del patriarcato e delle sue logiche trasmissive, incluse le connivenze che tante donne hanno avuto con esso, ha agito è stato (tra l’altro) un generare forme del sentire legate ai silenzi, alle solitudini, alle esclusioni. Sono stati spazi di mutismo lontani da qualsiasi forma di simbolico in grado di poter donare espressione e voce al dolore, alla violenza, al sopruso.
Oggi non possiamo ritenere che, allontanatasi le logiche del patriarcato si siano automaticamente dileguate le dimensioni della violenza, del sopruso. Ciò che è differente, è la modalità di approccio e di riconoscimento di parola rivolta a queste realtà esistenziali.
L’antologia Nel verso giusto si colloca all’interno di una precisa linea di confine. E’ un’antologia che raccoglie scritti in cui agisce il desiderio di voler articolare, attraverso la scrittura poetica, parola dentro e intorno quel cono d’ombra che è luogo in cui la resistenza femminile tesse, con tenacia, una parola capace sia di tendere ponti verso l’esterno che di indicare bisogno di intenti.
Era un tardo pomeriggio quando
senza crederci e sparire, sotto a un tavolo
mi strinsi vomitando testamento.
Decisa a fermare quel sentire di vuoti sfitti
solo per poi dire – ecco vedi,
cosa c’è da lasciare ai tuoi occhi stanchi?-
A carponi attrice di vendette, un fetale singhiozzare
di torti sul corpo ritorti senza firma.
Mischiate piume e cera
riemergono pezzi di carta galleggiante.
Digerito il pasto non v’è traccia
dell’essere stati crudeli.
Il nulla ereditai di un tardo pomeriggio,
e mai scende la sera. ( Cinzia Accetta, pg 13)
Vogliamo pensare, con insistenza, ad una posizione altra per il termine violenza? E se, violenza, per un uomo, fosse frutto di uno storico modo di intendere la possibilità di essere, di dire ci sono, di guadagnare appartenenza a sé, di sentir vibrare esistenza uccisa? E se, violenza, per una donna fosse il sottostare all’unico modo possibile di essere, di includer-si e di dirsi in relazione? Abitare le stanze del disagio. per tessere uscite e trame in grado di mostrare i fili capaci di rendere le ricuciture della ferita. Abitare le stanze del disagio per dipanare il disagio, l’attacco alla radice, la resistenza, l’orizzonte, le storiche genealogie ancora non debellate.
Le differenze di genere in che modo hanno modellato l’esperienza e la storia sia femminile che maschile in merito alla elaborazione di invisibilità e di identità sociali, politiche, economiche? E, ancora, perché porre queste domande e questo sentire ad un’antologia di testi poetici?
L’evoluzione ed il cammino della scrittura poetica e della scrittura del romanzo femminile serbano ampiezze uniche per poter leggere, all’interno delle culture occidentali, il farsi della elaborazione del simbolico femminile, degli svelamenti e dei nascondimenti di interiorità, degli spazi sconosciuti e degli spazi desideranti che hanno agito nella storia del pensiero della differenza. Questo agito trova spazio nella scrittura. Leggere, dunque, questa antologia rende conto delle tensioni, degli orientamenti di sguardo, delle parzialità di cui donne, oggi, sentono di poter rendere conto.
Neanche la negazione dà sollievo
tutto è un covo d’insufficienza
come l’abrasione della caduta
è simile ad un’ustione
così si vive d’oltre e oltraggi
subiti al pari di un’offesa
e l’innocenza sembra una colpa
da scontare muro contro muro
non meno della grazia
che illumina a stento
il guado della genuflessione. (Loredana Semantica, pg. 35)
Sostare nelle linee dello strappo, dello sradicamento vissuto ad infinite latitudini per capovolgere la parola. Dire dolore, taglio imposto, dirlo dal punto di vista di chi ha subito il gesto del recidere radice consente, come accade in questa antologia, di sentire le forze centripete che governano i gesti quotidiani di cui la violenza si nutre e in cui la violenza si genera. La parola poetica diviene fonte capace di nominare la verità racchiusa nella dimensione esistenziale, autentica. La parola poetica, in queste pagine, diviene strumento di sforamento verso significati orientati nella direzione del voler essere viste/i, lette/i, comprese/i.
Occorre tenere piccola
la sofferenza, là dove risiede
non farla germogliare, se sporgono
tagliare le punte invadenti
coltivare soltanto disturbi
che non disturbano.
Poi stendere la calce sulla voce
murata, su tutte le parole
appena smettono di sanguinare,
insaporire i lividi con il correttore
smemorare le ore, questa economia
non tralasciare, per il bene della casa,
la casa tenuta insieme dalle cose.
Con premura
curare ogni oggetto meno che
perfetto, perché si trovi a posto
nel pregevole ammasso, e per cena
si piegano le ossa delle dita
veloci, mentre un certo passo
striscia fuori dalla porta
e una chiave gira nella toppa. (Rossella Caleca, pg 76)
Le minutaglie del quotidiano, all’interno dei versi in Antologia, scorrono emorragiche e battono il senso di vite involtolate nelle perdite di soggettività e di statuto proveniente da una parola che non è stata in grado di potersi dire, mostrarsi e mostrare.
L’Antologia Nel verso giusto, sguardi di resistenza di poete siciliane a cura di Bia Cusumano e Stefania La Via è articolata in quattro sezioni: Discriminazione, Emarginazione, Invisibilità; Migranti; Guerra; Donne tra violenza e resilienza. Già le parti in cui è suddiviso il testo narrano il senso di questo progetto di scrittura ossia: consentire uno spazio di parola alle mille sfaccettature che vengono attraversate dalla dimensione della violenza subita, la violenza che priva d’ogni forma di cittadinanza perché rende scissi e drammaticamente privi di umano orientamento. All’interno di questa dimensione, Nel verso giusto indica la centralità e l’importanza dello stare a contatto con la fonte della propria produzione di senso, mostra la scrittura intesa come esperienza e come luogo necessario per aver cura del domani e della risalita dalle molteplici dimensioni del pozzo segreto.
La prefazione, curata da Anna Maria Bonfiglio rende conto, oltre che della struttura-contenuti dell’antologia, delle scelte di metodo che hanno guidato le curatrici ad individuare Autrici e testi utili a dipanare i contenuti di un progetto che, al termine della lettura, si colloca all’interno del desiderio di proseguire nel percorso di determinazione di sé e di sé nel mondo.
Ho traversato deserti di attenzioni
le parole germogliavano come miraggi
ho avuto ferite di spine cucite
col filo della corolla del sole,
il tutto per un sorriso di aghi di pino
a ferire il vento. (Chiara Catanese, pg.79)
Molte le Autrici presenti, l’Antologia mostra un tratto rappresentativo della scrittura poetica, oggi, in Sicilia. Durante la lettura di queste pagine scorrono domande sulle esperienze differenti di scrittura, sulle dimensioni legate alle intergenerazionalità, sui legami che tengono vita e scrittura. E’ un’antologia che si mostra come un caleidoscopio di differenti sentire e di differenti approdi. Ne emerge un posizionamento di fronte ai dati di realtà. E’ un posizionamento che indica una ricca molteplicità di movimento dello sguardo. Un posizionamento che mostra una forte libertà vissuta come necessità di essere in scrittura ma un’altrettanto forte libertà dal desiderio di appartenenza ad un canone o a qualsivoglia altra modalità di contenimento. Molteplici i passaggi da contenuto a contenuto e da forma a forma. Nell’insieme un progetto di bella libertà e di altrettanto pregnante significato, in poesia.
NOTE: AA.VV. Nel verso giusto, Sguardi di resistenza di poete siciliane, l’Arca di Noè ed. 2024
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