
23 Mar 8/8/2020 Barcellona-Napoli 3-1: ampia sintesi
di Eduardo De Cunto
Zio Mario apre la porta tutto trafelato, con lo sguardo rivolto alla tv. «Mertens ha preso il palo!», dice, senza guardarmi né salutare. Porca miseria, un minuto e trenta secondi di gioco e già mi perdo un’occasione da gol. Il palo, che peccato!
Guardo il replay: da due passi, quando sembrava fatta, ha svirgolato sul legno.
La mia solita sfortuna: sto facendo di tutto per non pensarti, ma ci si mette anche Mertens. Stesso inizio partita, stesso piglio brillante e propositivo. Stesso piede che tremola, senza riuscire a mandare la palla in rete.
Che ci vuoi fare, lo sport è fatto di episodi e circostanze più o meno felici: eravamo ubriachi, eravamo emozionati… Però, pure tu, diamine, con quel tuo piglio predatorio e la tua esperienza internazionale, sembravi il Barcellona. Mertens, col Frosinone, quel gol l’avrebbe fatto.
Il punto è che sono uguale a Mertens: basso. Tante ottime qualità, sì, ma basso. Questa cosa non ti piaceva, lo so.
Ok, alla prima occasione da gol la palla non è andata in rete, pazienza. Quel che conta è continuare col buon gioco, a maggior ragione se si è al cospetto di un avversario blasonato. E io e il Napoli lo facciamo: nonostante l’inconveniente, la partenza è incoraggiante.
Per i primi dieci minuti, infatti, è il Napoli ad attaccare. A testa alta. Consapevole. Coraggioso. Ottimo inizio, non puoi negarlo. Ricordi, ad esempio, quella gita, proprio a Napoli? La corsa dalla stazione a Castel dell’Ovo, per vedere il tramonto sul mare? Non puoi non ricordare: arrivammo nel momento esatto in cui il sole si rifletteva su ogni singola finestra degli edifici del vesuviano, facendola avvampare, e dipingeva di rosa il vulcano. La luce capiva quali colori avessimo in petto. Sì, dai, un ottimo inizio di partita.
Al min. 9’ e 27’’ la doccia gelata: su calcio d’angolo, Lenglet insacca di testa. 1 a 0 per il Barcellona. Non mi ero neanche accorto che era corner, mi hai fatto distrarre.
Dal replay si vede chiaramente che c’era un fallo: l’attaccante avversario ha spinto Demme facendolo carambolare su Koulibaly e liberandosi così dal marcatore. Il gol è da annullare.
Magari l’annullano, magari l’arbitro lo rivede al VAR e annulla tutto.
Secondi d’attesa che pesano come minuti. Come quelli dopo le spunte blu sui messaggi a cui non rispondevi.
Macché, gol validato, arbitro di merda!
Vedi? Faccio di tutto per non pensarti, ma questa partita è il film di me e te: anche la nostra storia è stata arbitrata di merda e condizionata da episodi sfortunati. Era la fase dei concerti, delle gite, del ritorno fischiettante a casa (ognuno alla propria). E invece… Chi ce lo doveva dire a noi che proprio a inizio match doveva arrivare nientemeno che una pandemia mondiale? Ma quando mai nella vita?!
Non era il momento per quel colpo. No, per nulla. Pure zio Mario è d’accordo, perché sta bestemmiando.
Insomma, la storia cambia: a inizio partita vorresti lasciarti andare, divertirti, pensare che il risultato è questione che verrà poi; vuoi tenere la difesa ben serrata, che per scoprirti c’è tempo. Adesso invece bisogna rischiare un po’ di più, e il gioco diventa incerto: verticalizziamo o non verticalizziamo, sfruttiamo le ali o andiamo al centro, andiamo a convivere o non andiamo a convivere?
E va bene, andiamo a convivere. Se l’alternativa, per vederci, è autocertificare ogni volta una scusa, andiamo a convivere.
Palla al centro. Il match riprende. Un po’ più chiuso, un po’ più mesto, ma riprende. Con molta dignità.
La squadra ci prova e fa del suo meglio. Si vede, non puoi dire che non si vede. Solo che con loro gioca uno che è il dio dell’imprevedibilità.
Min. 22’: Messi scarta tre difensori, cade, perde il pallone, lo riprende, scarta il quarto avversario, ricade. Ma, cadendo, riesce lo stesso a calciare nell’angolino sinistro e fare gol.
E che gli vuoi dire?
Pure tu, però… pure tu! Che vuoi che ti dica? Tu e la tua frenesia, la tua costante insoddisfazione, il tuo volere sempre di più… Metti ansia alla squadra, lo capisci? E infatti adesso tocca farne due, porco demonio, sarai contenta!
Ma ce la faremo. Andrà tutto bene.
Al min. 29’ e 50’’ la situazione precipita: sono ormai mesi che non posso tornare in Campania dai miei e io e te abbiamo un legame che senza lockdown non sarebbe così stretto. Ma litighiamo, litighiamo troppo, ce le diamo di santa ragione. Magari sono piccole incomprensioni, ma tanto basta al dio dell’imprevedibilità, lui non perdona la benché minima increspatura: arriva come un fulmine, stoppa di petto il passaggio di non capisco bene nemmeno quale compagno e insacca nuovamente con un bolide.
3 a 0.
Speranze finite.
Andrà tutto bene un cazzo! L’umanità sarà spazzata via dal coronavirus, io e te smetteremo presto di sopportarci e ci manderemo a cacare, l’universo intero esploderà (o forse imploderà, chissà) perché, per quanto brillanti, le spiegazioni scientifiche finora avanzate, “a quanti”, “a stringhe”, “a dadini”, sono tutte inadeguate. Il punto non è se l’universo va espandendosi o contraendosi, il punto è che va a puttane, ed è arrivato il momento che è andato a puttane. 3 a 0. Punto. Partita finita.
O forse no?
Forse no, forse no… l’arbitro sta di nuovo guardando il VAR.
Zio Mario è in apnea.
Gol annullato.
Guardo e riguardo la moviola e non trovo un briciolo di motivo che giustifichi la decisione: hanno sanzionato un tocco di mano di Messi inesistente.
Tutto storto, la partita doveva chiudersi qui. Sarebbe stato meglio per tutti.
Arbitro di merda.
Così la nostra storia è continuata, oltre e nonostante Messi e il lockdown.
E sul 2 a 0, se si è ancora al primo tempo, la speranza, in fondo, non è morta.
Nel momento più difficile mi sono rivelato maturo, solido e nobile come non sospettavi.
Me lo hai detto tu.
Ho avuto comprensione e cura del tuo dolore, delle difficoltà del tuo passato recente, anche se significava smettere i panni dell’attaccante d’estro e vestire quelli meno appariscenti del centrale difensivo. Mettermi un po’ da parte per pensare al collettivo. Nobile. Solido. Maturo. Proprio come Koulibaly.
Come si fa a non amare Koulibaly? Una diga, un titano nero che non lascia passare una palla e che all’occorrenza si butta all’attacco, che reagisce ai “buh” razzisti rivendicando la propria identità di africano/napoletano. Nel Napoli ci sta proprio bene: è una città che ha mille difetti, ma non la malattia del razzismo, qui ogni diversità è ben accetta come forma di bellezza. Che orgoglio avere un Koulibaly in squadra. Mi piace pensare che con te, a volte, magari non sempre, sembravo lui.
Al min. 43’ e 50’’ Koulibaly si trova a gestire un pallone banale. Deve impostare il gioco dalla propria area di rigore, come capita decine di volte in una partita, migliaia in una carriera. E lui lo fa con calma, come al solito: alza lo sguardo, cerca il compagno libero, carica il passaggio… e colpisce il polpaccio di Messi con un calcio.
Perché mai vuoi essere come lui, perché vuoi recitare sempre la parte del Messi? Perché non capisci che ciò ti rende invisa agli altri, che spiazza i compagni non meno che gli avversari? Un Koulibaly lo si ama, mentre Messi lo si detesta (almeno io e zio Mario): si è infilato alle spalle del gigante nero, rapido come uno sputo, ha interposto il piede tra quello del difensore e la palla e gli ha fatto fare una figura di merda.
Rigore.
Al min. 46’, dunque, la diga crolla. Il sistema valoriale del mondo si rovescia: l’impulso, l’imprevedibilità, l’immediatezza prevalgono sulle virtù della pazienza, della costanza, dell’affidabilità. Prevalgono in Champions League, prevalgono tra me e te, prevalgono nelle intenzioni di voto, nei rapporti socioeconomici del Paese, nelle norme che regolano i rapporti di vicinato. E ripropongono con forza la teoria cosmologica dell’universo a puttane.
Te lo confesso: già mi identificavo a fatica con Koulibaly, ora che me lo vedo con quell’espressione da cane bastonato mi sembra che ogni sforzo sia vano, e che ogni filosofia di vita che immagini una ricompensa a fronte di un comportamento retto, che si chiami karma o si chiami paradiso, sia un’enorme illusione, o se preferisci una cazzata.
Io e zio Mario non ci stiamo a tribolare più di tanto per il tiro dal dischetto: lo segnano. Ma era chiaro che lo avrebbero segnato, è il Barcellona.
Partita chiusa nella prima frazione di gioco. Vieni a riprenderti le cose che hai lasciato a casa, non facciamoci del…
Min. 48’. Terzo di recupero. Bisogna avere del caos dentro per essere una stella danzante. E io e te di caos dentro ormai ne abbiamo in abbondanza. Tanto meglio poi se sei una stella nana, che si è capito che non è giornata per i giganti. Mertens piomba in area di rigore, anche lui come un dio, Mercurio con le ali ai piedi, anticipando Rakitic e beccandosi il pestone di quest’ultimo sul malleolo. Le ali, dai piedi, gliel’ha staccate, ma si è guadagnato a propria volta un rigore.
Dal dischetto l’altra stella nana danzante della squadra non sbaglia. Min. 50’ del primo tempo: Insigne trasforma spiazzando il portiere.
Dentro di me lo so che è solo un modo per continuare a soffrire, ma sento affiorare un sentimento che si chiama “ottusa speranza”.
Fine primo tempo.
Quello che si svolge negli spogliatoi la diretta Sky non lo racconta. Educatamente come sempre, chiedo a zio Mario il permesso di andare in bagno, e lui, educatamente come sempre, me lo accorda. Una volta nel bagno, come sempre accade, mi trovo a tu per tu con la mia coscienza. E dunque un po’ ci piscio, nella tazza, un po’ ci piango, pensandoti.
Cosa starà dicendo Gattuso ai giocatori? Me lo chiedo stringendomi il pisello per la scrollata, rimproverandolo per gli errori commessi in campo. No, le telecronache non mostrano tutto tutto di ciò che accade all’interno degli spogliatoi, ed è meglio che sia così.
Ritorno nel salotto, per il pane e mortadella dell’intervallo. Zio Mario me lo offre con il solito spirito cameratesco.
A me la mortadella non piace. Non ho mai trovato il coraggio di dirglielo.
Secondo tempo.
Ho provato a vestire i panni della stella nana danzante, ho provato a vestire i panni del gigante. Niente, con te, è mai abbastanza. Adesso, dunque, non te la prendere se il secondo tempo è una noia mortale e il gioco procede lezioso.
Quando in una squadra non ci si parla più, quando le tensioni si sono accumulate e l’entusiasmo è scemato, va a finire che il secondo tempo è di merda.
E infatti, questi gli episodi degni di nota: min. 51’ tiro di Fabian Ruiz che passa a cinque metri dal palo sinistro avversario e va a infrangersi sulla scritta Gazprom, ricordandomi che tutto è nient’altro che mercato e scambio di denaro. Per quanto ci si possa illudere. Per quanto ci si possa affezionare ai giocatori. O alle ragazze. Min. 70’: cross di Insigne per l’incornata maldestrissima di Lozano, il quale alza un pallone a palombella che supera di molto la traversa avversaria e va a sbattere sulla scritta Mastercard, tanto per ribadire il concetto di cui sopra. Min. 79’: qualcuno bussa al citofono.
Zia Lara sta rientrando in casa prima del previsto, infrangendo un patto non scritto. Io e zio Mario ci guardiamo con l’espressione di chi si è appena messo il pigiama ed è costretto a rivestirsi perché si è scordato di buttare la spazzatura.
Perché non apre con le chiavi? Perché lo sa (la rompiballe!) che quella è un’incursione indebita.
Ma è casa sua, e quindi accetto che vi ritorni, anche se di malavoglia. La saluto pure. Educatamente, come mi si addice. Lei si sente in dovere, per cordialità, di imbastire un minimo di conversazione: giusto appunto quello che non vuoi che accada mentre stai guardando la partita.
Ecco, vedi, tutto, ma proprio tutto, porta sempre di nuovo a noi due. Siamo arrivati all’84’ e non stiamo capendo più nulla di cosa succede in campo, o forse più semplicemente ci siamo disinteressati al match. Sappiamo solo che 3 a 1 significa eliminazione. Intanto c’è gente del parentado che gironzola attorno e dà fastidio.
C’è sempre un momento, nell’arco di una stagione calcistica, in cui una determinata sostituzione dà il polso preciso della situazione. In genere è quando si fa entrare in campo quello scarso, il che può significare due cose: se stai vincendo, che il risultato è in ghiaccio; ma se stai perdendo…
Non mi ero mai chiesto, a suo tempo, come si dovesse sentire un Calaiò a entrare in campo al posto di Cavani, accompagnato dagli “Evvabbé, abbiamo perso anche questa!”. Adesso lo so. Adesso, per colpa tua, penso spesso a cose del genere.
84’: fuori Insigne. Gattuso gioca la carta Milik.
Ma mica il Milik in forma dei tempi belli; no, il Milik devastato da mille infortuni. Adesso dovrebbe raddrizzare la situazione in extremis col Barcellona… la riconosco, è la “mossa Calaiò”, abbiamo gettato la spugna.
Proprio come me con te, proprio così. Mi hai fatto iniziare la partita come un Mertens e me l’hai fatta finire come un Calaiò.
Zia Lara gironzola ancora tra i piedi, passa davanti allo schermo, e a me viene da pensare a quando ai nostri ultimi appuntamenti ti presentavi con tuo fratello.
Le statistiche dicono che mai una partita è stata raddrizzata da Calaiò.
Al triplice fischio la telecamera indugia su un piccolo tifoso partenopeo. Il mento gli si corruga, il labbro si piega.
Ingenuo, lui, doveva saperlo: quando dall’urna peschi il Barcellona il destino è segnato, anche su questo le statistiche parlano chiaro.
Come per rimando, senza accorgermene, mi ritrovo anche io con la schiena piegata e la faccia raccolta tra le mani inzuppate di lacrime.
Zio Mario si avvicina e mi poggia una mano sulla spalla. «Uaglio’, non te la prendere, è solo un gioco», mi dice, «andrà meglio la prossima volta».
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