24 Nov Medea o della dignità ritrovata
Medea o della dignità ritrovata
racconto inedito di Tiziana Menegazzo
Imagine di Stefania Onidi
Hanno detto di me che sono un’assassina di bambini, dei miei bambini,
dei tuoi figli,
dei nostri figli;
hanno detto di me che è stata la gelosia a farmi uccidere la giovane erede al trono
della città dove solo io fui regina in un altro tempo;
hanno detto che per te ho smembrato il fratello amatissimo;
hai detto di me, con il disprezzo della paura, che sono una leonessa selvaggia;
hanno detto…
hai detto…
ma tu, tu sai come sono andate le cose,
sai e non hai detto niente,
hai lasciato che la trama dell’inganno diventasse la tua casa;
vile e codardo,
solo il fantasma di chi ho amato un tempo sei…o forse sei sempre stato così, ma io
ero senza occhi.
Ho dovuto, alla fine, per vincere la tua cecità e farmi riconoscere, salire sul carro del
padre del padre trainato da serpenti alati…una messinscena per la tua mediocrità …
un frastuono inevitabile, date le circostanze.
Lo splendore ti è lontano tanto quanto la delicatezza alle spine delle rosa;
ho dovuto farlo,
per me,
non per te,
tu non c’eri già più.
Dunque, di me e del mio essere altro,
donna,
disobbediente
e straniera
che sia solo la mia di lingua a parlare;
tacciano tutte le altre …
La tua, l’unica che poteva dire la verità, dire come sono andati effettivamente i fatti, a
partire dal vello aureo da cui tutto ebbe inizio,
la tua, ha preferito la comodità di un silenzio omertoso a favore di una vanità
grondante di un potere che non hai mai raggiunto.
Mi hai mai amata? No, non credo… altrimenti mi avresti difeso….l’indifferenza è il
testimone più attendibile, temibile quanto le percosse…
… io sì, io ti ho amato con tutto l’ardore del sole che mi è parente,
non mi pento di questo,
non mi pento di niente.
Il mio amore per te è stata una febbre che mi ha tenuta a lungo in ostaggio… un
incendio viola dove mi sono persa a lungo,
adesso non ho più niente, non un luogo dove tornare,
se non il mio cuore;
il mio cuore che hai trattato come cibo avariato,
il mio cuore ignorato,
il mio cuore annichilito,
il mio cuore testardo;
il mio cuore… , il mio cuore ha deciso di continuare a battere lo stesso, nonostante lo
scempio; ostinatamente si rigenera … respira di nuovo e mi porta via, in posti dove i
ladri non hanno accesso;
il mio cuore neonato cerca lo stupore… è abbastanza, è tanto…. posso provare a
dormire.
Ho la notte in testa;
un’oscurità impenetrabile che mi sequestra … i ricordi s’intrecciano con i pensieri e
rimbombano più dei tuoni che lambiscono il mio tormento di acciaio;
ho la notte in testa… una notte senza sogni e senza la gioia tenera delle lucciole
estive ;
ho la notte in testa ,
ma so che l’aurora rosata verrà e scioglierà questa oscurità,
la aspetto immobile.
Libera,
senza più inganni,
abito un dolore di fuoco da cui rinascerò,
lo so.
Amare ancora,
fiorire ancora,
danzare ancora,
non so quando,
ma sarà….
fiuto in lontananza una fame sconosciuta di vita mai vinta,
aspetto.
Piove, sento la sinfonia della pioggia,
sento il profumo del gelsomino bagnato che trionfa e porta un oblio caritatevole…
tutto risplende;
acqua ovunque, acqua sulla mia faccia,la pioggia s’impasta con le lacrime,
le lascio libere di andarsene, non voglio più affezionarmi al dolore, l’ho fatto troppo a
lungo, trattenerlo mi rende prigioniera di vagheggiamenti marcescenti, prodromi di
inevitabili cancrene dell’anima;
lascio che tutto scorra.
Spogliata di ogni illusione, grido il dischiudersi degli istanti;
scorticata, assorbo tutta la vita lasciata indietro per credere alle tue bugie,
lentamente imparo di nuovo a sognare.
La mia pelle, a cui hai negato le carezze promesse, in nome di una convenienza da
ragioniere, torna a respirare, sente di nuovo, si intride di pioggia che porta via tutta
l’acidità di desideri domati da assenze, dove ho accettato il peggio sperando
nell’inatteso;
via, via tutto.
Tutto, ma non il ricordo di quello che mi hai fatto: usata per la celebrazione del tuo
essere eroe, cibo per il tuo ego, dalla tua bocca uscivano solo parole di miele,
promesse che mi hanno fatto rompere ogni pudore…sono stata tua da subito, ti ho
creduto, le parole sono carne e pugnali;
hai giurato sul cielo eterna presenza,
poi mi hai chiamata barbara, perché non chinavo la testa come le donne della tua
civilizzata terra, che confonde la spiegazione col significato,
perché mi sono rifiutata di esserti complice, diventando la tua seconda moglie, di un
oltraggio indicibile: accettare rassegnata l’ingordigia maschile, le tue smanie di potere
e, magari gioire nei frammenti di tempo dedicati a me, di quel “solo tu puoi capire, la
tua intelligenza ti fa essere diversa dalle altre”,
diventare una seconda scelta
orrore, l’ira mi annebbia la vista;
che l’offesa diventi memoria tatuata sotto pelle, affinché la dignità non venga più
calpestata in nome di un amore che è solo rinuncia e inganno, veleno travestito da
miele;
le tue donne sono state abituate alla sottomissione in nome del padre e di una logica
che non sa più vedere il sole nel serpente, che non ha più la conoscenza del mistero,
che fa del desiderio di una donna la vergogna da punire;
per questo mi avete chiamata maga, perché non riuscivate a ridurre la complessità in
una questione di causa ed effetto;
ma io sono Medea non Arianna che ha subito l’abbandono dell’altro bugiardo per
calcolo;
improvvisamente mi sono ricordata di me , ho sentito di nuovo scorrere il sangue nelle
vene, ho rialzato la testa….no, tutto quello che mi proponi non è amore, adesso lo
so;
lo so con la certezza delle cicatrici.
Ho dovuto armare il mio cuore e fare quello che era giusto, che non era uccidere i figli,
quello lo hanno fatto gli abitanti della città dove io fui regina e dove tu non sarai mai
re;
ho dovuto prendere me stessa e andarmene, liberarmi di te.
La mia sola colpa è stata amarti tanto quanto il sale ama l’acqua del mare;
ma non mi hai piegata, umiliata sì, ma solo fino a quando te l’ho permesso;
poi ho fatto quello che andava fatto.
Di te, ora, resta l’opacità di chi non potrà mai commuoversi per il dischiudersi delle
viole dopo la neve,
vigliacco senza gloria che scambi pozzanghere per oceani.
Risplenderò ancora, ma la tenerezza infinita, la meraviglia di quel precipizio di miele e
rose, dentro occhi che credevo solo per me, quella fiducia nella parola, quell’affidarsi
senza timore…. no, tutto questo non c’è più;
l’incanto si è nascosto,
ma tornerà come torna sempre il giorno.
La foresta, grondante di pioggia verde, accoglie la mia libertà senza trappole e mi
culla;
aspetto che le ginestre dipingano di giallo le rocce, che il grano danzi la baldanza del
sole, che un vento fiorito accarezzi le onde, che tornino i tori nelle notti di
luna….aspetto,
devo avere pazienza.
E adesso addio
devo curare il mio tempo, aspettare che l’intero si ricomponga,
aspettare che finisca l’inverno;
avevi ragione, sono una leonessa selvaggia,
farò ricami di questo strazio
e ruggirò ancora.
Ti lascio, per ricordo, le parole di un’altra donna che ha molto amato:
Sentirai il tuono e mi ricorderai pensando:
lei voleva la tempesta
l’orlo del cielo avrà il colore del rosso intenso
E il tuo cuore, come allora,
sarà in fiamme.
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