25 Mar Liturgia dell’acqua di Daìta Martinez
a cura di Antonino Cangemi
Immagini di Eric Zener
In più passi dello “Zibaldone” Leopardi osserva come alcune parole posseggano una potenziata vitalità poetica. Non diversamente la pensa Daìta Martinez che affida il suo messaggio poetico alla forza immaginifica delle parole accuratamente scelte e assemblate senza una consequenzialità logica almeno apparente, svincolate comunque da un significato che il lettore può cogliere se non vagamente.
La sua ultima silloge “Liturgia dell’acqua” (Anterem edizioni) ribadisce la sua singolare poetica enunciata già nella prima raccolta “(Dietro Luna)” e confermata nelle successive opere: le parole, libere da schemi sintattici, ribelle alle gabbie di costrutti comuni convenzionalmente significativi, nel loro accidentato itinerario evocano e invocano, rivelano e turbano, scuotono l’anima, s’inabissano nei suoi meandri, risvegliano emozioni e si librano nello sconfinato universo lirico.
Naturalmente il discorso poetico dell’autrice palermitana col tempo si è affinato raggiungendo esiti estetici consolidati ed è aperto ad ulteriori sviluppi, come s’addice a ogni poesia sperimentale sempre che la si voglia, per comodità espositiva, così etichettare fermo restando che ogni elaborazione lirica può considerarsi tale in quanto frutto di travagliata ricerca espressiva anche quando non la lascia intravedere. In particolare, “Liturgia dell’acqua” presenta più di un’affinità con le ultime sillogi: “Il rumore del latte” e “Nutrica”, entrambe edite nel 2019 (la prima da Spazio Cultura, la seconda da LietoColle). Ciò che accomuna queste raccolte è soprattutto l’anelito di purezza e l’ansia di candore che le animano, rivelato anche dai titoli: il richiamo all’acqua – “simbolo di rinascita e grazia celeste” per Franca Alaimo – e al latte fonti di fresco e primordiale nutrimento e, in “nutrica”, all’età dell’innocenza.
Nei versi della Martinez – frammenti di pellicole prima del montaggio (la sua poesia è accostata all’arte filmica anche in un’intelligente recensione di Sebastiano Adernò) – si rincorrono limpide effusioni: “è al tuo bianco che s’accorcia il / cadere della tortora improvvisa”, “zanna bianca ha il cuore della neve / l’odore del gelsomino ruba il verso”, “d’aurora un oltraggio è il bucaneve / immacolato il bianchissimo seno” e quasi s’implora la tenerezza. Canta Sandro Penna – con Montale il maggiore poeta del nostro Novecento – : “La tenerezza tenerezza è detta / se tenerezza cose nuove dètta”. E quella amorevole tenerezza agognata detta tenerezza negli slanci lirici della Martinez, nei segmenti di per sé poetici di un mosaico volutamente non ricomposto: “…quel toccarsi lieve / lieve di promessa fiorita…” , “s’innamora sotto i portici il cardellino”, “soave sapore d’un sì d’amore”, “…nascosto / si lascia ninnare dalla tenerezza di Dio” (solo Dio e Padre Nostro compaiono in maiuscolo nei suoi versi sottotraccia intrisi di laica religiosità). Attenzione però: in “Liturgia dell’acqua” la sublimazione della purezza e della tenerezza non sconfina in ingenui sentimentalismi e anzi trova un argine in un’asprezza che pure affiora, come affiora un vissuto graffiato da sofferte ferite: “con un cappello di carezze alla bocca / le offrì un assaggio tondo per l’inferno”. La poesia della Martinez d’altronde è un incessante scavo interiore fino all’esplorazione di realtà remote e ancestrali. Da qui gli spazi bianchi che talvolta intermezzano i suoi versi, vuoti che la memoria non riesce a colmare dinanzi a barriere invalicabili.
La silloge è divisa in tre sezioni: “Sintesi a priori”, “Armonia tendenziale”, “31 dicembre”. Nella seconda, “Armonia tendenziale”, si dispiega maggiormente, anche per diversi espliciti richiami, la musicalità della poesia della Martinez, quella musicalità che mette in risalto Maria Grazia Calandrone nella prefazione e che è da sempre un suo tratto fondamentale. La cantabilità dei suoi versi è però una cantabilità dall’andamento sincopato, un po’ come nel jazz, e non priva di dissonanze, alla stregua della musica classica contemporanea. L’armonia, come suggerisce il titolo, è “tendenziale”: è cercata, vagheggiata, ma ad essa si frappone l’atonalità della realtà circostante. Il tutto riconduce a una melodia comunque accattivante nel suo mix di silenzi, cantilene (“…l’incantesimo / di una cantilena”), suoni angelici (“il suono degli angeli lievissimi”), dissonanze corrispondenti agli ondivaghi moti dell’anima.
Nell’ultima sezione, “31 dicembre”, una sola composizione di chiusura, di congedo della silloge e di un arco temporale. Una poesia, l’ultima, che nella struttura visiva si confonde con la prosa quasi a volere annunciare la sperimentazione di nuove modalità espressive già tuttavia presenti in “Nutrica”.
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