La memoria come liturgia, su “Memorie fluviali” di Isabella Bignozzi

a cura di Franca Alaimo

Immagini di Camille Corot

 

Il titolo della seconda sezione dell’ultima raccolta di Isabella Bignozzi (Memorie fluviali, MC edizioni 2022, collana Gli insetti, a cura di Pasquale Di Palmo) è Passo d’addio, lo stesso della prima pubblicazione della Campo, e questo va certamente letto come un gesto di devozione alla poetessa e alla sua rappresentazione del mondo.

Essa, pur essendo la più breve delle tre sezioni che compongono Memorie fluviali, costituisce il suo cuore pulsante in quanto rivela la doppia incandescenza dell’atto del ricordare che, se da una parte coincide con la perdita soprattutto degli affetti primari (è immediato il parallelismo con La tigre assenza della Campo), dall’altra pretende un rito d’immersione lustrale dal quale riemergere, purificati, alla dimensione dello spirito.

L’aggettivo «fluviale» infatti, più che alludere alla comune accezione di abbondante e inarrestabile flusso memoriale, spesso involontario, come quello da cui si origina la ricerca proustiana del tempo perduto, possiede una forte connotazione simbolica e mistica, veicolata da un lessico assai prossimo a quello della Campo, a cominciare dall’espressione «cerimonia purissima» con la quale per entrambe la poesia assurge a una postura religiosa capace di collegare il mondo di qui con l’altrove, valicando la soglia sulla quale si arresta l’esperienza e la parola della quotidianità.

E dunque termini attinenti alla liturgia, quali «miniato codice», «croce», «sindone», assurgono al ruolo di metafore della bellezza e della passione (da leggere nel suo significato originario di patimento) che sono date in sorte a ogni autentico poeta.

Che la memoria sottenda lo spazio psicologico (uno dei termini più ricorrenti è la sua figura fisica «fronte») da cui sgorga l’acqua lustrale della poesia (che ha, invece, la sua figura nel termine «bocca») è attestato dalla struttura circolare della silloge, che si apre e si chiude con due testi dedicati al padre; al quale padre si affiancano altri familiari, anch’essi perduti, a fare da psicopompi, più che verso l’oltre, verso il tempo dell’infanzia, con un movimento del cuore che la Campo definì un «avanzare di ritorno», e che, nella Bignozzi, coincide, per altro, con un tentativo di ricongiungimento all’infanzia muta dell’Essere stesso e, perciò, al silenzio precedente alla creazione, a quella «matrice primaria un amalgama di uomo terra e animale / una genesi / amore purissimo di spavento bianco» evocati nell’ultima lirica.

Tale struttura ad anello serve anche a collocare la poesia sul confine lungo il quale vita e morte si perpetuano a vicenda nella ripetizione del tragitto sorgente-foce che segna il ritmo dello scorrere di un fiume (giusto per tornare al titolo della silloge), che si spera inesauribile, di contro l’ipotesi di un disastro: «Se solo fossero la mia e la tua mano, disciolte in ritorno, vicine nel sole».

Ci troviamo, insomma, di fronte al problema dell’inesprimibile, che l’autrice affronta con una tessitura linguistica suggestiva che, mentre dice le cose reali del mondo ricorrendo al lessico scientifico, tenta di afferrare il non-visibile facendo uso del parlato; e allorché immagina la sutura tra le due dimensioni, si rivolge alla metafora e all’analogia con effetti o di splendente liricità o di complessità indecifrabile o, ancora, di visionarietà mistica.

La Bignozzi sa bene che non è con l’intelligenza che si penetra il senso intimo delle cose, ma con l’intuizione, la cui «durata» paradossalmente «non si sviluppa in una serie di momenti-movimenti, ma nell’arcana percezione «di qualcosa che accade, senza che nulla accada, di eventi che prendono la pura forma di cristalli»» (Massimo Cacciari, Paradiso e naufragio, Einaudi, 2022, p. 109).

Se la Campo costituisce un riferimento forte, molti altri sono gli autori citati dalla Bignozzi, quali Mandel’štam, Celan, Herbert, ma la dedica all’amico Elio Grasso nel testo Al poeta non solo lo pone, in forza dell’articolo determinativo, in cima ad una ideale scala di giudizio affettivo e valoriale, ma tende altresì a ricalcare quella «a Cristina e Mario» che introduce la sezione centrale, intendendo sottolineare il ruolo dell’amico nella sua formazione culturale, così come in quella della Campo fu fondamentale il magistero di Luzi, che l’avviò alla lettura di molti autori, e in specie della Weil.

Sebbene sia il perduto a predominare nella trama poetica della Bignozzi, proprio in funzione di esso, se «dice il vero chi parla di ombre», secondo un verso – citato dall’autrice – di Paul Celan, anche il presente si fa spazio nei versi di Memorie fluviali, innanzitutto come rilettura della propria infanzia in chiave sacrale: ne è un magnifico esempio il testo Teatro familiare (in cui il termine «teatro» rimanda all’atto del ri-vedere che compie la memoria), nei cui versi anche gli oggetti quotidiani assumono una significazione evocativa, spiritualmente alonata, iscritti come sono nello spazio della casa-cattedrale; dimora in cui ogni persona svolge il ruolo di ierofante, interpretato, al sommo della sua solennità, dalla nonna che «alla fonte lustrale / del rubinetto» colma d’acqua la brocca che aggiunge alla farina, per dare forma concreta al «suo gesto liturgico / cuocere il pane»; e, siccome è Domenica, esso rammemora la cena cristica.

Un altro elemento del presente che irrompe spesso nella poesia della Bignozzi è il paesaggio «che rinvia d’ogni cosa / la radiosa spina»; ché le immagini delle cose, tutte destinate a sparire, evocano, nella loro fragile bellezza, la dimensione dolorosa e insieme sfolgorante della fine («c’è pace nell’ultimo raggio»), dalla cui ineluttabilità sgorga la consapevolezza del compito del poeta, chiamato più di ogni altro all’attenzione nei confronti del dettaglio, «al dovere della cura». La parola poetica diventa metodo con cui raggiungere l’Abaton, il recesso sacro, sotterraneo e buio del tempio interiore dell’anima, dove l’uomo contemporaneo non riesce più ad arrivare, accettando il dolore e trasformandolo, secondo la lezione ancora della Campo, in luce e amore, «anche se – come scrive Marco Ercolani – questo sentimento amoroso di accordo arriva dopo un viaggio complicato e straziato nel corpo e nella mente».

da Isabella Bignozzi, Memorie fluviali, MC edizioni 2022

 

Alba

Sanguina il gelso

nel pianto degli archi

un adagio in minore

suonato di taglio

si misura nel crollo

la premura d’amore

negli steli recisi

la morte che ha cura

balsamo miele

mio barbaro

mia nuda tra le dita

preghiera

e tu

candido altare

alba di vetro

che ogni cosa sai

del nuovo giorno

spezzami piano.

*

Lirica del padre

Le frasi dette

i gesti delle mani

lasciano memoria nell’aria

come traiettorie aeronautiche

rotte alate

a calcolo numerico

ogni desiderio

che esca dalle labbra di un bambino

disegna a terra

con pietra bianca, di gesso

i quadrati

del gioco del mondo

dicevi intelligenti sì, ma siete fragili

la vita tatuata

da una medaglia

strazio – prigionia – fame

dismessi

in altra pelle

emergeva, a volte,

in una smorfia di diniego

una stranezza orfana

inattesa

un dispetto

io ti dicevo

vieni papà

ma mi pareva tardi

come fossimo sorvegliati

due stranieri in autunno

avrei voluto conoscerti infine

prima che la vita finisse

di strapparci gli occhi

ti cercavo

ti cercavo

con la nostalgia dei ritorni

nel rovescio assopito

delle parole

ma sono rimasta a guardare

inebetita

il nostro cristallo

farsi anisotropo

deformarsi

la tua voce

divenire

massa mancante

priva di trasmissione.

*

Il senso

 

Viottoli di bianco esteso candore

acuminato negli occhi lo sfascio

dei petali

bellezza taciturna divampa

segna le ore al quadrante

della sete

il negarsi precipite immacolato

del florilegio che grida

l’incanto

i cordogli custoditi oltre

quell’intagliato margine

di scogliera

che rinvia d’ogni cosa

la radiosa spina

e puro serbato il senso.

 

 

Biografia

 

Isabella Bignozzi è odontoiatra, autore di articoli medico-scientifici di rilevanza internazionale. Ha pubblicato racconti, prose e contributi critici su varie riviste letterarie. Alcune sue liriche sono apparse su «Inverso – Giornale di poesia», «Poesia del nostro tempo», «Versante ripido», «Atelier poesia», «rivista ClanDestino», «larosainpiu», «La foce e la sorgente», «Formicaleone». La sua prima silloge Le stelle sopra Rabbah, è uscita per Transeuropa nel maggio 2021, con una postfazione di Elio Grasso. Una sua prosa inedita è stata finalista alla 35^ edizione del Premio Lorenzo Montano. Con il romanzo storico a memoriale Il segreto di Ippocrate, edito da La Lepre edizioni, è stata finalista al premio Como 2020. La sua seconda silloge, Memorie fluviali, è nella collana Gli insetti di MC edizioni, curata da Pasquale di Palmo.

No Comments

Post A Comment