19 Mag Premio Dolores Prato: intervista a Lucrezia Sarnari
a cura di Ginevra Amadio e Ivana Margarese
Indomita Dolores Prato, scrittrice di talento e donna straordinaria, che ha saputo raccontare la ferita del “non amore” e la provincia italiana nelle sue asperità, in quell’incomunicabile impasto di dolcezza e stridore.
A 130 anni dalla nascita, la sua Treia (MC) la celebra con una serie di iniziative, tra convegni, incontri e un Festival Letterario che prende il nome dal suo romanzo, Giù la piazza non c’è nessuno. A completamento del ciclo, un Premio Letterario che sarà consegnato durante le giornate della kermesse. Una novità nel panorama marchigiano e una rarità in quello nazionale, trattandosi di un riconoscimento al femminile, che mira a premiare opere di autrici donne pubblicate per la prima volta nel periodo 1 marzo 2019 – 31 marzo 2022.
Ne abbiamo parlato con la giornalista Lucrezia Sarnari, che collabora al premio promosso dall’Amministrazione comunale di Treia.
I. M.: Vorremmo sapere qualcosa sul Festival Letterario “Giù la piazza”, diretto da Stefania Monteverde e ispirato al capolavoro di Dolores Prato, il romanzo autobiografico Giù la piazza non c’è nessuno. Lei lo organizza con il Comune di Treia e le tre donne dell’Associazione Culturale EV. Come nasce? Che cosa si propone?
Il Premio Letterario “Dolores Prato – Città Di Treia”, che si svolge all’interno del Festival “Giù la Piazza”, si caratterizza proprio per la sua declinazione al femminile, puntando i riflettori sulla scrittura al femminile. L’idea che ho avuto, e che è stata sposata e sostenuta dall’Amministrazione comunale di Treia, è stata quella di far concorrere solo opere di narrativa italiana prodotte da scrittrici e pubblicate per la prima volta negli ultimi due anni. La volontà era da un lato quella di creare un’opportunità concreta per far risuonare più forte alcune voci, quelle femminili appunto, ancora troppo spesso sminuite e dall’altro ricompensare almeno in parte Dolores Prato per la sua vita professionale vissuta all’ombra di scrittori (ma anche scrittrici) e che invece oggi ci sta aiutando ad accendere un riflettore sulla scrittura delle donne.
G. A. «Treja fu il mio spazio… terra del cuore e del sogno» scriveva Prato in Giù la piazza. Quanto può un luogo farsi “campo emozionale”, raccogliere gli umori, i sapori, le emozioni di una persona? E come si sta preparando Treja allo svolgersi della kermesse?
Un luogo, qualsiasi esso sia, ha a che fare con le emozioni così come ha a che fare con i ricordi. Noi viviamo nei luoghi ma anche nei ricordi, per questo penso che ci sia una stretta correlazione tra luoghi ed emozioni. Pensate ai viaggi fatti o alle città visitate: la loro bellezza non c’entra quasi mai con quanto li abbiamo amati o meno, ma col nostro stato d’animo, il grado di malessere o benessere vissuto in quello specifico luogo.
I. M.: Vorremmo un suo ritratto di Dolores Prato
Io me la immagino come una bambina di novant’anni che non ha mai smesso di cercare le parole giuste per descrivere la mancanza e nel descriverla trovare un pieno.
G. A.: Il premio si propone di dar voce alle donne, alla scrittura femminile come campo elastico, capace di abbattere i confini di genere e misurarsi con l’ibridismo, con la letteratura di confine. Qual è la ricchezza di questi testi? Le andrebbe di parlarcene?
Le donne letterate nel corso della storia italiana in realtà sono molte di più di quelle che i programmi ministeriali ci lasciano immaginare. Le donne non smettono di scrivere e di scrivere opere intrese di rispetto della reciprocità. Un pensiero che sta alla base di molte produzioni di narrativa, scritte da donne che in questo modo si sono aperte all’altro, che con le loro opere danno vigore e puntano l’attenzione su problematiche, pensieri ed azioni spesso ancora ignorate, restituendoci un racconto unico del mondo e delle relazioni. Non esiste una letteratura femminile come forma, è vero, ma esistono differenze culturali, spesso alla base del pregiudizio che tende a sminuire la scrittura delle donne stesse. Che il premio vuole rimettere nella giusta prospettiva.
I. M.: La Prato dice: «Nell’agone ho sempre vissuto, mai vincitrice, mai vinta, ma sempre resistente». È una affermazione profonda che parla della scrittrice ma anche della condizione di molte donne del Novecento, capaci soprattutto di resistenza e di trovare attraverso questa costante forza un loro spazio, una loro voce, che seppure flebilmente c’è e passa il testimone alle nuove generazioni.
La resistenza è propria delle donne ed è abbastanza scontato ribadire quanto sia importante il racconto di questa loro caratteristica abbia fatto la differenza, nelle singole storie di ognuna di loro, ma anche nella storia collettiva. Credo però che sia importante parlare di temi come il fallimento, come la frustrazione del non farcela, perché non sempre ce la si fa. E non è vero, non sempre almeno, che se vuoi, puoi. Anche questa è vita, anche questa dovrebbe essere letteratura.
G. A.: Conoscere Dolores Prato per riscoprire – anche – la forza di un’autrice, di una donna che non accettava compromessi. Che dalla non accettazione, dal rifiuto, ha tratto linfa vitale, rifiuto delle convenzioni, delle regole imposte e ingabbianti. Quanto ci parla ancora?
In generale, oggi si parla ancora troppo poco di fallimento, di cosa si prova realmente a non centrare gli obiettivi, della frustrazione che deriva dal fatto di non essere produttivi e performanti come ci si aspetterebbe. Quando lo si fa si usa la retorica del “se puoi, vuoi”, come se davvero impegnarsi di più, lavorare fino a perdere sonno e ragione possa sempre bastare a fare gol. Non è sempre così e va detto. Va bene coltivare le proprie ambizioni, va bene trarre il meglio dagli errori e dalle cadute, ma credo che sia fondamentale anche comprendere che il valore di ognuno di noi non deriva né dipende da quello che produciamo, realizziamo o riusciamo ad ottenere.
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