20 Ago Tra romanzo e poesia: il mondo di Alessia Bronico
a cura di Giorgio Galli
Alessia Bronico -Atri, 1981- ha al suo attivo tre raccolte di poesia molto apprezzate, L’abito della felicità, Un dio giallo e Amore a posteriori, le prime due edite da LietoColle e l’ultima da Ensemble. Recentemente ha dato prova di essere anche una valida scrittrice in prosa pubblicando con Francesco Brioschi il romanzo Splendora. La sua scrittura, cruda, essenziale, diretta, affronta spesso i temi della violenza e della sopraffazione -specie sulla donna-, ma conserva una genuina, quasi primordiale forma d’incanto. Lo stupore di fronte a ciò che è e diviene sembra il suo sentimento dominante. Luigi Ghirri ha dato una bellissima definizione della spontaneità: “È l’indomani della creazione, prima che le cose si siano abituate le une alle altre”. La scrittura di Alessia è piena di questo tipo di spontaneità, di questa capacità di meraviglia. Dora, la protagonista del romanzo, ha una famiglia violenta e indifferente, ma osserva con trepidazione l’arrivo dell’upupa a febbraio. I titoli della poetessa rispecchiano questa scelta di stare dal lato luminoso della vita anche se questo è difficile, anche se costa fatica e a volte non ci si crede più.
Cara Alessia, la tua scrittura ha una potenza che deriva in gran parte dalla capacità di stare nella luce, di superare anche l’esperienza più cupa attraverso lo splendore della tua visione. Si tratta di una scelta, o rispecchia semplicemente la tua natura?
D’istinto ti dico che è nella mia natura ma è anche una scelta, una direzione. Non sempre è semplice, spesso cado nella tentazione della cupezza, la vita riserva prove dolorose, esattamente ciò che accade a Dora nel mio romanzo e che considero sia esperienza comune, seppure in diverse misure.
Splendora è ambientato in Abruzzo, tua terra d’origine, in un paese che per tutto il romanzo viene chiamato “Regina delle colline”. Della protagonista, dici che è orfana coi genitori vivi, e del mondo che la circonda scrivi che “forse il peggiore abbandono è quello del mondo intero che finge l’inesistenza di chi muore di dolore”. Eppure il libro tende a una riconciliazione col quel mondo, la sua trasfigurazione poetica è molto forte. La tua stessa prosa, paratattica ed ellittica, sembra suggerire il ritmo cadenzato e lento di certe canzoni tradizionali della tua terra. In che rapporto stanno, per te, la crudezza, la capacità di vedere le cose nella loro realtà anche tremenda, e il sentimento di meraviglia che alimenta la tua scrittura?
La mia scrittura tende alla sottrazione e alla ricerca della parola esatta, e questi aspetti sono utili alla descrizione, alla trasposizione della realtà. Dall’altro lato coesistono ritmo e musica, elementi che, forse, lasciano emergere il sentimento di meraviglia di cui tu parli.
In alcune delle tue poesie parli della natura e dell’amore quasi identificandoli, tendi a un rapporto fusionale fra l’io poetico e la natura. Il tuo corpo sembra fuso al corpo della terra, come tu fossi una Dafne. So che senti molto il tema dell’ambiente. È sbagliato ricondurre questa tua caratteristica a una ricerca tutta immanente della bellezza, che rifiuta le aperture metafisiche, la ricerca di varchi montaliani, ed è tutta radicata nella realtà? Un realismo meraviglioso -non magico- sembra ispirare tutta la tua produzione: sei d’accordo?
Un realismo meraviglioso e non magico credo sia una descrizione perfetta. Il mio io poetico si identifica, si fonde con la natura, è vero. Esiste una poesia, inedita, cui sono molto legata che mi descrive e in cui mi assimilo ad un calanco.
i miei capelli erba calanchiva,
spina dorsale esposta al sole,
mani mie, rami
adagiati al calore che ferma
l’ora arsa nel grembo sterile
di madre argilla, i miei occhi
fiori radi, arroccati, piedi nuovi
steli a proseguire il paesaggio,
e tra i venti di fuoco il ritmo,
io: i cui seni custodiscono
un calanco eroso dalla storia
La tua penultima raccolta di poesie, Un dio Giallo, affronta con sincerità, senza fare sconti prima di tutto a te stessa, il tema dei rapporti di forza all’interno di un rapporto d’amore. Denuncia la contaminazione dell’amore con le convenzioni sociali -inclusa quella del matrimonio-, lo sgretolarsi del trasporto originario col passare del tempo. Lo fa senza tralasciare nessun aspetto, nemmeno quello del sesso, di cui scrivi esplicitamente. In Splendora, invece, sei molto pudica, il romanzo stende una benevola ellissi narrativa sugli amori della protagonista, cui accenna con grande sobrietà. È più difficile scrivere dell’amore in prosa che in poesia? Oppure c’era un’esigenza narrativa alla base di questa scelta? Oppure, ancora, rispecchia la tua evoluzione umana e autoriale?
Semplicemente è stata un’esigenza narrativa, a volte per stemperare la durezza del racconto, altre per assecondarne la dolcezza. Un dio Giallo, invece, è la mia raccolta più cruda e diretta, nessun segreto, nessun nascondimento.
Nadia Terranova, nella prefazione ad Amore a posteriori, ti descrive come un’autrice che sta crescendo e trasformandosi. Credi di stare ancora trasformandoti oppure la tua visione e la tua voce hanno trovato un punto d’approdo? Ti senti ormai matura o ancora in crescita?
Mi sento in continua trasformazione, cerco sempre forme nuove, modi da sperimentare. Spero di non sentirmi mai matura ma di mantenere intatta la mia voglia di scoperta, penso sia questa tensione a stimolarmi quotidianamente.
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