Periferico Festival: in dialogo con Serena Terranova e Federica Rocchi del collettivo Amigdala

 

a cura di Francesca Grispello e Ivana Margarese

 

A partire dal 21 ottobre è tornato a Modena Periferico Festival, l’appuntamento organizzato dal Collettivo Amigdala. Giunta alla sua quattordicesima edizione, la manifestazione internazionale che porta l’arte nello spazio urbano ci accompagnerà per tre fine settimana fino al 6 novembre. Tra gli ospiti che hanno animato gli scorsi gironi e che animeranno questo ultimo week end,  i compositori olandesi Rob Strijbos e Jeroen Van Rijswijk, il sound designer italo-ecuadoriano Ismael “Condoii” Condoy, il collettivo artistico Corps Citoyen, basato tra Tunisi e Milano. E ancora Claudia Losi, Virgilio Sieni, la compagnia Archivio Zeta, Francesca Morello e la performer e artista Elisabetta Consonni.
Il programma è disponibile su:
http://collettivoamigdala.com/portfolio-page/periferico2022/#progetti_periferico2022

Di seguito la nostra intervista a Serena Terranova e Federica Rocchi del Collettivo Amigdala.

 


I.M: La mia prima domanda è sul Collettivo Amigdala. Quali le ragioni di questo nome? Da quali esigenze nasce e che cosa si propone?

Amigdala è una parola che ha molti significati, alcuni antichi e altri ancora in uso. Il primo è quello dato a un utensile paleolitico a forma di mandorla, usato per diversi tipi di lavorazioni e attività. Amigdala è uno dei nomi stessi della mandorla, dunque un seme, che nelle fiabe sono uno degli elementi che hanno il maggior potere di trasformazione e di passaggio verso altri mondi.
Infine l’amigdala è un particolare agglomerato di nuclei nervosi, che ha sede nella parte più interna di entrambi i lobi temporali del cervello e che ha lo scopo di regolare le emozioni forti.
La sua molteplicità di significati e questo stare tra la fiabe, la manualità e l’emozione risuonava molto – e risuona tuttora, dopo oltre 15 anni di vita del collettivo – con l’identità a cui aspiravamo e che tuttora ci auguriamo di incarnare, ovvero quella di un collettivo multidisciplinare in grado di transitare tra più ambiti, quello della rigenerazione urbana e della produzione artistica, della curatela e della realizzazione di processi legati ai luoghi e alle comunità.
Molte volte ci chiedono quale sia la sintesi, quale la voce dominante all’interno delle tante sfaccettature che vestiamo, ma la verità è che noi siamo ognuna delle tante strade che abbiamo scelto di intraprendere e il fatto di essere, in partenza, un collettivo multidisciplinare abitato al suo interno da un’illustratrice, un’architetta, una cantante, una scrittrice, una drammaturga e molte altre declinazioni di noi stesse all’interno del nostro fare, ci porta a dismettere la ricerca di un’unica sintesi ma ci conduce piuttosto verso il tentativo di costruire un luogo, un’area larga che si nutre della propria

I.M: “Prendere parola” è uno dei concetti chiave legati a questa edizione di Periferico Festival. Quali potrebbero essere per voi le altre parole chiave per raccontare questo Festival?

Le parole che raccontano il festival sono esattamente all’interno del lavoro degli artisti.
Mani. Donne. Colore. Rivolta. Estensione. Futuro. Città. Voce a vento. Corpo Politico. Pratica. Segnale.
Il discorso del festival si manifesta nello scorrere da una performance all’altra, e in questo transito è compresa anche la sosta dei giorni che intercorrono tra i weekend o i pezzi di strada da attraversare per uscire da un luogo e dirigersi verso un altro.
Prendere parola è una delle linee di lavoro che Periferico 2022 costruisce attorno al tema della voce, che per noi curatrici inaugura un intero triennio dedicato a molte declinazioni che vorremmo affrontare.
La presa di parola è una declinazione diretta del titolo, Presente! che richiama a un attivismo incarnato, dove corpo e voce e identità si manifestano in uno spazio che per noi è prevalentemente lo spazio pubblico, quello dell’incontro e della discussione, appunto.

F.G: Riorganizzare, vivere e dare una nuova configurazione allo spazio urbano è una pratica che colma vuoti di esistenze che nonostante la iperconnessione, rivelano meno comunità e pratiche comuni. Il vostro festival e l’intento del collettivo cammina nella direzione di un abitare lo spazio urbano, ma cosa vuol dire Abitare?

Quello dell’abitare è un tema molto vasto, che richiede, come tante altre parole, molta cura e attenzione. Nel nostro modo di vivere e concepire lo spazio urbano è fondamentale il concetto di decolonizzazione, ovvero l’attenzione a non innescare pratiche che portino a un’appropriazione dall’alto, che cancelli il significato e la memoria dei luoghi ma che piuttosto li includa.
Il lavoro sul site-specific in generale che Periferico si dà l’obiettivo di fare attraverso le pratiche artistiche si confronta proprio con le stratificazioni di segni e significati depositate tanto nei luoghi più evidenti, come i parchi pubblici cittadini, quanto in quelli più abbandonati, come certi spazi dismessi.
Il site-specific apre un intero filone di lavoro presente anche quest’anno con i lavori di Archivio Zeta con Nidi di Ragno o di Strijbos & Van Rijswijk dall’Olanda con SIGNAL – On the other Side, ovvero il filone della Voce dei luoghi, quell’area di intervento nel quale Periferico cerca di illuminare diversamente luoghi del quotidiano o spazi invisibili, proponendo un attraversamento che passa dalla bellezza e dalla presenza di un corpo altro in maniera situata, posizionata, dichiarante e allo stesso tempo in grado di produrre un’immagine di memoria che interessi chi abita la performance.

F.G: Dare luogo alla parola, creare nuove dimore di parole in luoghi che sono considerati non domestici, ancora una volta come principio alchemico la parola del singolo è creatrice di mondi. Quando può essere ancora oggi importante una parola?

Siamo molto vicine al pensiero della filosofa Chantal Mouffe, quando scrive che le democrazie contemporanee si fondano su un “pluralismo agonistico” che non intende sopprimere la conflittualità implicita in qualsiasi presa di decisione politica, ma che al contrario vede nel confronto e nello scambio, anche non consensuali, una dinamica vitale della vita democratica. Dare valore al confronto, immaginare dispositivi performativi che consentano l’avvio di conversazioni casuali nello spazio pubblico tra persone sconosciute, ma anche non smettere di chiedersi a chi appartengono le parole che ascoltiamo più frequentemente e quali parole invece sono escluse dal dibattito pubblico perché provenienti da fasce marginalizzate della popolazione, ad esempio, o perché non rientrano nei discorsi dominanti, è uno dei cardini del festival e del suo sistema di pensiero. Pensiamo al progetto di Salvo Lombardo Atrio, ad esempio, che stimola attraverso una pratica molto semplice di condivisione di alcuni oggetti, il confronto su punti di vista e identità dei partecipanti, ma anche al concerto “site-specific” di Ismael Condoii, musicista italo-ecuadoriano che ha raccolto voci, musiche e suoni dal quartiere Sacca di Modena e le ha composte in brani musicali che incarnano una sintesi linguistica tra mondi diversi molto efficace.

 

I.M: Tra i tanti ospiti di questo anno c’è anche CHEAP, il progetto di street poster art bolognese che, per l’occasione ha previsto delle istallazioni apposite pensate per il festival. Potete dirci qualcosa in proposito?

CHEAP è presente a Periferico già da due edizioni. Nel 2021 abbiamo portato RECLAIM, una campagna realizzata in anni precedenti e che nel suo spostarsi a Modena è stata implementata. Le affissioni si sono manifestate in due atti: una prima parte metteva al centro domande dirette al pubblico della strada, domande scritte da un’ottica femminista di lettura della città e dello spazio pubblico, un femminismo inteso come lotta la sessismo e alla discriminazione, in cui le questioni poste riguardavano la città notturna, la sicurezza e lo spazio pubblico a portata di tutte e tutti.
Nel secondo atto il RECLAIM diventava una risposta attiva, con proposte di appropriazione. Cammini mai da sola di notte? RECLAIM your city! RECLAIM Public Space! Queste sono solo tre citazioni delle tante diffuse nella città.
Nel corso di Presente! il progetto in pubblico ha proseguito la forma della conversazione, dove però questa volta è la città stessa a parlare e intessere dialoghi possibili con la strada e gli abitanti. Si è allora lavorato sui muri liberi della città di Modena, censiti dal Comune negli ultimi anni in collaborazione con diversi organismi tra cui il progetto Urbaner. In questo dialogo sono coinvolti sottopassaggi che fanno interagire la possibilità di INTONARE RESISTENZE con quella di COLTIVARE PROSSIMITÀ.
Le parole sono state scelte e ricomposte a partire dai dialoghi tra CHEAP e alcune delle compagnie presenti al festival, compreso collettivo Amigdala, per far risuonare il discorso contenuto all’interno del festival con una visione più ampia sullo spazio pubblico.

F. G: Da un lato il rumore del mondo, dall’altro il suo silenzio, nel mezzo il vostro collettivo e i vostri progetti come il Periferico Festival a fare da direttore di una orchestra con armonie immaginifica. In musica che brano potrebbe essere?

Crediamo nella polifonia, e il coro è il luogo che meglio esprime l’idea musicale che abbiamo in mente.
Amigdala, in particolare attraverso l’esperienza della nostra direttrice musicale, Meike Clarelli, ha reso possibile la nascita di due cori transfemministi, le Chemin des Femmes e le Core – Voci indisciplinate. Il nostro prossimo lavoro artistico si fonda sulla creazione di un coro temporaneo composto da dieci donne.
Questa è la musica da cui amiamo farci portare nel mondo: musiche composte da voci nude, ognuna con la sua origine unica e il loro portato fisico ineguagliabile. Una musica che si basa sull’ascolto reciproco e sull’armonizzazione, ovvero la messa in gioco di una parte di sé, la voce, attraverso la presenza di altre voci, che suonano e giocano in maniera diversa e importante ognuna allo stesso modo, resistendo ai protagonismi.
Potremmo quindi fare un viaggio nella memoria e tornare a quel luogo fertile che è la resistenza, e ascoltare tutte insieme la Bella Ciao cantata per il 25 aprile 2020 quando i cori non potevano cantare per il lockdown sanitario: https://youtu.be/zm72eYJBnIc

F.G: La caratterizzazione delle istallazioni effimere sembra ricondurre a quelle opere della natura dove un tramonto, un alba o un fiore di poche ore diventano attimi preziosi. Quanta attenzione verso la natura c’è nelle vostre operazioni e quanta attenzione all’ambiente in chiave ecologica?

Il nostro lavoro sul paesaggio rimanda a quel filone di pensiero che cerca di ri-orientare la sua percezione rispetto all’idea che da sempre nell’immaginario europeo lo struttura come qualcosa di separato rispetto all’individuo, un oggetto da “osservare”.
Gli scritti di Francois Jullien sono su questo illuminanti: possiamo uscire dall’idea che il paesaggio sia un oggetto da contemplare, una categoria estetica, uno “sfondo” per le nostre azioni quotidiane, e ricollocarlo invece nella sfera del sensibile e dell’affettivo? È qualcosa di simile a quello che Tim Morton scrive sull’ecologia, ricordando che non si tratta di “tutelare la natura” come qualcosa di esterno da noi, un oggetto separato dall’uomo, ma di imparare a considerarci nuovamente immersi nel mondo e nella sua complessità.
Il nostro lavoro curatoriale cerca di aprire nuove forme di percezione e di mettere in evidenza nei paesaggi che attraversiamo quelle tensioni viventi che li fanno risuonare. Pensiamo ad esempio all’opera ospitata in questa edizione Bloom & Doom di Caterina Moroni, dove un gruppo di bambine e bambini prende per mano gli spettatori adulti e li conduce in una presa di consapevolezza giocosa del disastro ambientale nel quale siamo immersi, ricordando loro con gentilezza che è necessario rimanere “a contatto con il problema”, come direbbe Donna Haraway.


Quali sono i vostri progetti nell’immediato futuro oltre il Periferico Festival?

Come accennato prima, stiamo lavorando a una nuova produzione artistica che lavora attorno al concetto di KIN, ovvero di parentela così come proposto da Donna Haraway nel suo Chutluchene, libro uscito in Italia nel 2019. Quella della Haraway è una proposta di visione che chiede di riflettere sulla possibilità di includere nel proprio cerchio famigliare anche persone che non rientrano nei legami di sangue naturale, ma di costituire famiglie basandosi sulla prossimità e sull’alleanza. Famiglie di sole donne o di soli uomini, bambine e bambini che ricevono la cura di persone che non sono necessariamente i genitori naturali, animali e creature vegetali che hanno la stessa importanza degli esseri umani.
Questo concetto si sposa con quello di prossimità proposta da Diana Taylor nel suo Politics of Presence, da cui Periferico trae spunto per il suo titolo programmatico e progettuale. Il nuovo lavoro artistico, dunque, che si riflette nelle riflessioni proposte in maniera polifonica dal festival di quest’anno, chiama dieci donne a raccontare se stesse e a cantarsi, proponendo il canto come una vera e propria prassi di conversazione oltre che di risonanza, come pratica che fonda un luogo di interazione sociale e di autodeterminazione, in cui una singola storia è anche la storia di tutte, e l’identità di un gruppo si regge sulle capillari risonanze che si muovono tra i corpi e le note in scena.

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