01 Dic “Hopper Mode”. In dialogo con Antonio Sinisi
a cura di Ivana Margarese
“Hopper Mode” muove dall’idea di usare la struttura narrativa dei quadri di Hopper per dar vita a un progetto teatrale e realizzare una lettura alternativa e personale dei quadri di Edward Hopper. Si tratta di immaginare e rappresentare i dialoghi dei personaggi dipinti, le loro azioni, i desideri, i contesti in cui vivono.
Le figure dei dipinti di Hopper sono figure che attraggono nel loro stare immobili, bloccate in una sorta di non-azione. Personaggi spesso soprappensiero o totalmente assorti in un’attività, che sembrano raffigurare quello che Ortega y Gasset (1949) chiamava ensimismamiento: la capacità di isolarsi dal mondo, di tornare ad un intus esclusivo, quello della propria esistenza. Per Ortega, questo luogo è uno spazio in cui non accade nulla, in cui ci si prepara per l’azione sul mondo. In effetti, la dialettica di Hopper è sempre quella di uno spazio sospeso, tra un interior, un dentro, e un fuori, tra ciò che è e ciò che immaginiamo possa accadere.
Antonio Sinisi ha accolto il nostro invito a dialogare insieme su ciò che ha dato vita a “Hopper mode”.
Parlaci della genesi di “Hopper Mode”.
La scelta di praticare il testo di “Hopper Mode” nasce dopo il precedente lavoro fatto con la compagnia VLAT X, “Yassassin Jack” ispirato all’ultima opera incompiuta di Jack London “Assassini SpA”. Avevo già letto il testo di Marco Andreoli che è andò in scena nel 2005 e finalista al Premio Scenario e dopo aver lavorato su testo sommerso mi sembrava giusto approfondire un autore contemporaneo (oltre una persona che conosco), ma soprattutto mi hanno appassionato le sospensioni, i silenzi, i non detti. Insomma è un tipo di scrittura che è nelle mie corde perché già nella drammaturgia vedevo ben chiare parole/silenzi e movimenti/stasi.
Qual è il tuo percorso professionale? Puoi raccontarcelo in breve?
Ci provo anche se credo sia molto frastagliato. Sono teatrante e autore. Teatrante perché pratico il teatro come regista sia facendo formazione per ragazze e ragazzi, nonché adulti, sia producendo messe in scena. Quest’anno oltre, “Hopper Mode” sono in scena con “Soffio”, un omaggio a Jean-Luc Godard a febbraio 2023 al Teatrosophia e con “Tetro” a Fortezza Est a maggio. Autore perché, oltre che assemblare tutte le drammaturgie che metto in scena, nel 2019 è stato pubblicato il mio primo libro, “Astratti / operette amorali” che è stato disegnato da Martoz, edito per Lorusso Editore. Due miei racconti brevi fanno parte della raccolta Multiperso edita da Piedimosca. Dal 2020 curo la collana di scrittura per il teatro “Opere da Tre Soldi”. Agli inizi di tutto sono stato anche attore e sono tornato a farlo ultimamente nel nuovo film di Fabrizio Ferraro “I Morti rimangono con la bocca aperta” in concorso alla Festa del Cinema di Roma 2022.
Hopper è un artista che ben racconta, attraverso le sue visioni, un mondo fatto di isolamenti, di finestre in cui ciascuno osserva la vita dell’altro o fa in modo che osservino la sua, tuttavia i tuoi personaggi, quasi raccogliessero un lascito tacito, vogliono uscire dai confini del quadro scenico. Parlaci di questa dialettica tra interno ed esterno all’interno della tua messa in scena.
La scena di “Hopper Mode” è marcata e segnata, sembra divisa ma in realtà non si sa chi sia dentro chi sia fuori. Anche gli spettatori non sono esclusi da questo gioco infatti non si sa se siano anch’essi dentro un quadro oppure se lo stiano soltanto guardando. “Hopper Mode” è un lavoro complesso. È come se per tutta la durata della messa in scena abbiamo continui ribaltamenti e punti di vista che si spostano. Come un orologio in cui ognuno può sospendere il tempo, il proprio. È una sensazione che mi ha dato guardare i dipinti di Hopper e cioè che solo per un attimo il tempo è sospeso e assoluto, poi ci deve pensare chi guarda il quadro a trovare il proprio, di tempo.
Presenza e assenza sono lo stesso unico mistero, attraverso cui fiorisce il colore, in cui la forma respira — scrive Yves Bonnefoy in “Edward Hopper. La Fotosintesi dell’Essere”. Cosa significa per te questa considerazione?
Presenza e assenza come pieno e vuoto, vengono sempre, per comodità messi agli antipodi. Hopper ci mostra come tutte le contrapposizioni facciano parte dello stesso enigma. L’ombra e la luce, l’aria tra i corpi dei personaggi, sempre accessori rispetto al tutto, la natura e gli edifici. Tra tutte queste cose ci sono zone dove il colore prende vita. Colore e soggetto insieme sono la forma del lavoro artistico di Hopper e di tutti gli artisti, credo. C’è un qualcosa che c’è tra presenza e assenza ed questo qualcosa che va ricercato di continuo quando si vuole portare Hopper sulla scena. Il libro di Bonnefoy mi è servito per potenziare il tra ovvero ciò che c’è tra il detto e il non detto di “Hopper Mode”.
Progetti per il futuro?
L’imminente l’ho già raccontato. Ci sono tanti progetti in ballo. Meglio che mi concentri sul qui e ora. Per ora.
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