23 Lug “Il caffè concilia il sogno”
di Valentina Riva
Nonostante sia ancora buio, il cielo è di un arancione denso. È da quando sono arrivato che è così. Le notizie dicono che si tratta di pulviscolo desertico trasportato dalle correnti d’aria, ma comincio a pensare che sia tutta colpa di Beatrice. Avrei dovuto distruggere il biglietto appena mi ha lasciato. Sistemo di nuovo le coperte e mi sdraio, ma non riesco a trovare una posizione abbastanza comoda.
Profumo di pesca e vaniglia sulla pelle, luci arancio tra le onde dei capelli, nuvole e vapore.
La sveglia suona. Rimarrei a letto tutto il giorno, ma non posso sprecare la vacanza in questo modo perché Beatrice non merita la mia sofferenza; ci penserà la Murcia a farmi dimenticare di lei.
È un po’ che girovago e sarà la stanchezza, o questa città impolverata d’arancio, ma quasi vado a sbattere su un muro che mi si apre davanti all’improvviso. Il murales che lo ricopre rappresenta due chicchi di caffè che sembrano venire fuori dalla parete per davvero. Mi avvicino per toccare, ma un miagolio lamentoso mi distrae. Tendo l’orecchio mentre scandaglio con lo sguardo tutto intorno: ragazzini in borchie e pelle ascoltano Chopin a tutto volume, monaci tibetani ballano avvolti in drappi del colore del pulviscolo, castelli e palazzi di sabbia si riflettono nel mare diventato una lastra d’acciaio, ma nessuna traccia di gatti. Rimango sospeso per un momento tra nuvole e asfalto e il miagolio affiora di nuovo nel chiacchiericcio della strada. Mi volto ancora e scorgo una vecchia che si affretta con una gabbietta scura in mano. Cerco di infilare lo sguardo tra le sbarre, ma i miei occhi sono costretti a fermarsi prima: le braccia di quella donna sono completamente coperte di bubboni color carne. Vado in apnea; con tutti i virus che girano, meglio non rischiare. Inizio a correre e mi infilo in una strada parallela. «¿Quieres un caffè?» Una ragazza all’angolo mi porge un volantino. Il movimento del suo braccio alza un profumo di pesche e vaniglia. «Gracias». rispondo mentre riflessi arancio balenano fra i suoi capelli scuri. Sorride e, non so come, la perdo di vista. Di lei mi rimane la sua pubblicità: due chicchi di caffè e un indirizzo. In effetti, una caffetteria sarebbe proprio quello di cui ho bisogno. Allora imbocco la via indicata dal volantino che più che una strada è una strettoia lunghissima tra due palazzi.
È la seconda volta che percorro questo viottolo inutilmente. Decido di tornare alla mia passeggiata quando vedo, al di sopra di un portone in legno, un’insegna scolorita che prima non avevo notato: “Café Morfeo”, poi sotto, “il café que ayuda a soñar” e più giù ancora, il disegno di due chicchi di caffè. Entro accolto da un rumore di caffettiere che cozzano tra di loro e mi blocco sulla porta a cercare di interpretare l’atmosfera multiforme del locale e dei suoi clienti. A fianco a me c’è un uomo seduto a un tavolino che sembra il ripiano di un artista. Beve caffè da un narghilè e, allo stesso tempo, disegna delle figure meravigliose a una velocità incredibile. Il ritratto di un bambino dallo sguardo vivo cade ai miei piedi. Lo raccolgo, lo appoggio sul tavolo aspettando un “gracias” o un sorriso, ma l’uomo non sembra accorgersi di me e continua a disegnare disperatamente. In fondo alla stanza, oltre il pavimento ondulato, c’è un angolo con un divano rosso che mi ricorda la casa che condividevo con Beatrice. È lì che decido di sedermi. Il cameriere arriva all’improvviso da non so bene dove e mi dà il menù. Inizio a scorrere la lista delle proposte, ma un miagolio vispo mi interrompe. La donna e il gatto di prima sono all’angolo della cucina vintage. Il gatto è sul tavolo e beve qualcosa da una grossa conchiglia, mentre la vecchia sorseggia caffè da una clessidra. Scatto in piedi per andarmene, quando noto che le braccia della donna sono perfettamente lisce. Come ha potuto liberarsi di tutti quei rigonfiamenti in pochi minuti? Ma non ho tempo per capire perché la mia attenzione viene assorbita dal rumore delle caffettiere: l’artista è sulla soglia con un mucchio di fogli bianchi in mano. Chissà dove avrà messo tutti quei disegni stupendi, sul suo tavolo è rimasto solo il narghilè vuoto. «¿Listo para pedir?» Il cameriere mi fissa con un’espressione ansiosa. Non capisco tutta questa fretta, ma torno al menù. I tipi di bevande sono stravaganti, quasi illeggibili. Tra quelli che riesco a decifrare trovo: “Caffè alla Griffonia” e “Caffè all’Iperico”. Il mio spagnolo non è abbastanza buono per poter chiedere consiglio, quindi, scelgo a caso: “Caffè alla Rodiola”. Il cameriere annuisce: «Buena elección». Passa qualche minuto e ricevo un barattolo bollente riempito a strati: uno verde denso, uno bianco cremoso e uno liquido che dovrebbe essere caffè. Inizio a tirare su con la cannuccia. Buono, strano, ma buono. Mentre il mio petto trova conforto in quelle consistenze calde, qualcuno mi sfiora il braccio: è la ragazza del volantino. Vorrei dirle qualcosa, ma rimango incantato dai suoi lineamenti che sembrano cambiare. Sembra Beatrice! Si avvicina.
Sentore di pesche e vaniglia, labbra di velluto caldo sul mio collo.
Continuo a bere.
Un vapore di capelli rossi mi scivola sul petto, occhi scuri e lucenti come il mare di notte si fermano a guardarmi.
Il mio caffè è quasi finito; un brivido di freddo improvviso rende tutto sfocato, ma bevo l’ultima goccia e il mio corpo torna a scaldarsi.
La sua camicetta si apre, scorci di pelle bianca, allungo le mani e…
… e il gelo mi paralizza, mentre dalla cannuccia ormai tiro su solo aria. Beatrice non c’è più, la ragazza del volantino nemmeno; accanto a me c’è solo il barattolo vuoto. Allora finalmente capisco e chiamo il cameriere: «Un altro caffè». La bevanda arriva presto, cremosa come la precedente. Basta un sorso e Beatrice, sorridente, è di nuovo accanto a me.
Valentina Riva vive a Dublino da diversi anni. È laureata in Scienze della Comunicazione e in Economia. Di giorno lavora come Finance Manager, di notte scrive. Ha pubblicato il suo primo racconto con Historica Edizioni e ha seguito un corso di scrittura presso La Scuola del Libro. Il suo cassetto nasconde un romanzo in fase di editing, storie varie e pensieri sparsi.
(Nell’immagine: Pablo Picasso, Il caffè di Royan)
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