“Madonne con la Polaroid”, un’ode alla sregolatezza

di Giuseppe Calabrese

 

 

Ti è capitato di morire dal ridere, di batter le ciglia o piangere mentre fai il conto alla rovescia per venire al mondo o far venire al mondo? Tre, due, uno e parte la risata, il batter di ciglia, il pianto.

I primi gesti che aprono la bocca e gli occhi alla vita; le prime reazioni alla luce, a quella stessa luce che scandisce il primo secondo della tua storia o la prima immagine di quella storia che racconterai nel corso del tempo. E Madonne con la Polaroid è risata, batter di ciglia e pianto.

Andare per pagine tra la pagine di Madonne con la Polaroid restituisce la perenne sensazione di trovarti a un attimo da, a un salto verso. Perché il libro di Concetta Rundo ha due versi, in effetti. Due lati, a dirla tutta, esattamente come i long playing di una volta: lato A e lato B. Poesia l’uno, prosa l’altro.

C’è dell’isterismo e della magia in Madonne con la Polaroid, a partire dalla struttura dell’opera, libera, raminga, “ondivaga”, “on the road” come la definisce l’autrice. Lo scatto dell’impeto, il freno della ragione, il colpo di acceleratore dell’incoscienza, le discese in folle quando tutto si affida al destino o, se preferiamo, al “così doveva andare”.

Madonne tirate giù dagli altari con una provocazione voluta, invitate a indossare collant, sottane, Chanel n.5 e bigodini, diventando così donne, mistiche, la parte di divino manifesta in terra prima che in cielo.

Donne-madonne che impastano azolo per sbiancare i panni come Giotto per i suoi affreschi. Donne-madri di figli di altre, culle uterine che si riempiono e si svuotano nell’atto del dare e del darsi. Fragole da annaffiare, case di bambole da mettere all’asta, solstizi, preghiere, paure, superstizioni, zucchero al velo sui dolci. E altri veli. Dieci, un milione, più resistenti del burqa: l’occhio della società e le condanne mattutine. Perché la porta sul retro, qualcuno l’ha lasciata socchiusa anche ieri notte.

Ora nella poesia, ora nella prosa, Madonne con la Polaroid è un’ode alla sregolatezza, un invito alla beatitudine, una promessa di infedeltà, uno spasmo di vita contemplata ovunque c’è una donna che per non cadere continua a ripetersi: respira respira respira. “Bocca a bacio”, con l’ossigeno che si moltiplica e basterà a salvare e addormentare anime in avaria.

“Eccomi!” esclamano impettite, come nel giorno della Prima Comunione, le “Madonne” di Concetta Rundo. Eccole, a far quadrare i conti a fine mese, a infornare pane per qualche preoccupazione in meno, a interrogare gatti per sapere se pioverà.

Delle volte si abbracciano da sé, per perdonarsi di non essere abbastanza o di essere state troppo. Delle volte, sì, preparano rosoli alle rose per ospiti che non busseranno mai alla porta.

Forse è proprio in momenti così che si sentono la Miriàm di turno, con il cuore chino sui campi dentro la cui terra il Divino o il caso semineranno ancora vita, altra vita. Fino a che ci saranno “Madonne” in tailleur ma con le buste di spesa nel cofano, moltiplicatrici di miracolosi accadimenti e intercessioni, sui vetri appannati dal vapore del sugo sul fuoco, ogni bambino – e non importa se non è figlio tuo – potrà trascrivere lettere e parole, e sentirsi grato, immenso, tutto in quello stato di “ma(e)ternità”.

C’è della gratitudine nelle pagine di Concetta Rundo, c’è la forte riconoscenza alla parte di divino che abita nell’umano, nella donna, madre della vita in ogni sua manifestazione. C’è, in Madonne con la Polaroid, latte, fiele, miele, disperazione, salvezza, condanna e redenzione imprescindibili dalle forme di amore terreno, che masticano rose e riempiono placente. C’è, ancora, una presa di coscienza della potenza della parola scritta, detta, data, verso la quale converge l’armonia di quelle creature con le loro stesse storture. Sante e ladre a braccetto nella medesima notte che le protegge, le inganna, le illude, le salva, però.

E non può esistere salvezza senza una colonna sonora; non può esistere nessuna messa senza salmo cantato; non ci si può mettere in cammino senza bisaccia né musica.

Lo sa bene l’autrice, che di viaggi a fior di pelle ne intraprende di continuo nella sua opera, sostando per motel e immettendosi in strade con doppio senso di circolazione. Un motivo tra denti e labbra e ad ogni sosta un sorso d’acqua di sorgente. Motivi ora affannati, assonnati, ora rinfrancati e rimodulati. Raccolti e trascritti, ciascuno con il proprio titolo su due playlist che chiudono le due sezioni del libro.

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