20 Apr Humoursex. Pratiche di umorismo nelle scrittrici di fine Ottocento.Dialogo con Maria Vittoria Vittori
a cura di Ivana Margarese
Immagine in copertina di Giuseppe Amisani
Comincio chiedendoti del titolo “Humoursex. Pratiche di umorismo nelle scrittrici di fine Ottocento”. Lo avevi in mente dall’inizio o è nato durante la stesura del progetto? Come definiresti l’humoursex?
Devo dire che “humoursex” ha una sua piccola storia: era il titolo del mio intervento al Seminario della SIL dedicato alle autrici comiche; ed è stato proprio in quell’occasione, scegliendo di occuparmi della vena umoristica di alcune scrittrici contemporanee, che ho iniziato a indagare anche nella narrativa di fine Ottocento, per vedere se si riusciva a ricostruire una genealogia. Quando mi sono imbattuta in racconti di gustosa ironia come “Un velo bianco”, “Perfetta” o “La gloria”- conoscevo già “La virtù di Checchina”- ,mi sono detta che forse era il caso di proporli all’attenzione dei contemporanei, e “humoursex” mi è sembrato ancora una volta il termine giusto perché gioca su una duplice interpretazione dell’umorismo: come facoltà per secoli interdetta al sesso femminile e come prospettiva privilegiata scelta dalle autrici per rileggere e decostruire le relazioni che finora erano state rappresentate a senso-e a sesso -unico.
Annie Vivanti è una delle scrittrici presenti nel testo. Fu una figura cosmopolita, non solo perché scrisse e visse in molte lingue e culture, ma anche per la sua visione aperta in grado di mescolare leggiadria e profondità senza alcuna posa. Indipendente da correnti letterarie, da logiche editoriali e da poteri o gerarchie, la scrittura di Vivanti è una scrittura arguta che ha il merito di stimolare il lettore a trarre le sue conclusioni. “Perfetta” è il racconto di Vivanti contenuto nel libro, un sapiente affresco della relazione amorosa giocata sull’idea della perfezione della donna (non a caso in epigrafe appare una citazione di Dante) in un triangolo platonico, che coinvolge i protagonisti, Francesca e Karl, in maniera alternata soltanto quando è l’altro a essere sfuggente: “Lui aveva pensato di amarla per tutto questo…aveva detto di amarla perché era una donna perfetta. Non era vero. Gli uomini non amano le donne perfette”. Vorrei un tuo commento su questo racconto.
Annie Vivanti viene a dirci, in acutezza di pensiero e levità di stile, che se la perfezione ha dato forfait, nemmeno l’amore idealizzante e assoluto di cui la letteratura si è nutrita per secoli se la passa tanto bene. Direi che ci mette sull’avviso fin da quel magnifico chiasmo iniziale: “Era un bel tedesco,noioso e sentimentale, con gli occhi dolci e l’animo parsimonioso”, in cui la carica di sentimento e di romantico languore è comicamente bilanciata dal contrappeso di noia e parsimonia. E se pure una forma possibile di idealizzazione persiste, questa funziona soltanto a distanza, quando l’altra/o inizia a sottrarsi. Per tornare a Dante, mi sembra che qui vada in scena il ribaltamento dell’assioma “amor ch’a nullo amato amar perdona”.
“Checchina è condannata a rimanere tale e, in un universo letterario popolato di Bovary e Karenine, è questa la sua paradossale virtù. E quasi non sapremmo dire se sia più tragico il destino di Emma e Anna, o il suo, moglie a vita di Toto Primicerio.” Così scrivi a proposito del racconto di Matilde Serao in cui si manifesta tutto il talento dell’autrice, capace di coinvolgere pienamente il lettore nella storia di questa donna, troppo mite per poter cambiare alcunché nella sua vita. Vorrei sapere quale ritratto faresti tu di Checchina. Al racconto di Serao peraltro nel libro segue il racconto di Vivanti, che seppure con stile e scenari differenti, racconta di una donna che finisce con il mettere ordine al suo desiderio senza permettersi di viverlo.
Checchina è l’anti Bovary. Credo che Matilde Serao abbia messo in atto una sorta di parodia del romanzo flaubertiano, una parodia che si avvale di analogie ma anche di antitesi. Toto è medico proprio come Charles e con lui condivide anche la scarsa ambizione e i modi grossolani; mentre Checchina, pur desiderando l’evasione e vestiti eleganti, non ha nulla degli abiti e degli oggetti di cui si circonda Emma:non ha nemmeno il piccolo lusso del suo nome di romantica eroina dantesca, visto che viene appellata come Checca o Checchina. Inevitabile che sia destinata a soccombere di fronte a un marchese simildannunziano che la chiama Fanny: ma è proprio perché non ha neppure il beneficio di un ombrello e di un orologio, così necessari quando si esce sotto la pioggia e si deve rincasare prima del marito, che la tentazione dell’adulterio via via si affievolisce, e la presenza del portinaio è il suggello di una rinuncia già annunciata. In definitiva Checchina rinuncia a tradire per mancanza di mezzi, economici e caratteriali, mentre invece le modalità comportamentali della protagonista di Vivanti non sono sincronizzate con quelle del suo bel tedesco, in quanto viaggiano a velocità differenti. C’entra poco la passione:l’adulterio è soprattutto questione di tempi.
Amalia Guglielminetti nel racconto “La gloria” ritrae una giovane donna colta e irriverente, assai diversa dalla Checchina di Matilde Serao. Quanto è stata importante l’eterogeneità degli stili e dei soggetti nella scelta dei racconti?
L’idea era quella di comporre, attraverso i racconti, una sorta di parabola che dalle prime fasi della relazione come il corteggiamento (vedi “Botta e risposta”), si dipanasse nel matrimonio, nella tentazione o nell’esperienza dell’adulterio, fino ad arrivare alla riconquista dell’indipendenza sentimentale (come attesta “Le due signore Derossi”). Inoltrandosi nel Novecento, e in particolare in quei movimentati anni Venti che fanno da sfondo al racconto di Guglielminetti, s’incontrano sempre più donne appagate della loro indipendenza faticosamente raggiunta: e di questa trasformazione il personaggio di Silvia, con la sua attività di scrittrice, la vivace intelligenza critica e il carattere risoluto, è la testimone più efficace. Ma mi piace ricordare che, al di là della grande varietà delle situazioni e dei linguaggi, la parabola si apre e si chiude all’insegna di una risata. Ride con irriverente provocazione la protagonista del racconto di Regina di Luanto; le risponde, a distanza di trent’anni, la consapevole risata di Silvia.
Il racconto “Un velo bianco” tratto da “Serate d’inverno” è un tripudio di ironia. Non ho letto altro di Maria Antonietta Torriani, in arte Marchesa Colombi, e sarei curiosa di sapere qualcosa di lei e del tuo incontro con la sua scrittura.
Di Marchesa Colombi ho letto diverse opere e ti premetto che ho avuto modo di conoscere le autrici qui raccolte – e altre ancora- fin dai primi anni Novanta, avendo curato, insieme a Francesca Sanvitale, un volume antologico dedicato alle scrittrici dell’Ottocento, all’interno della collana “Cento libri per mille anni”.
Ho sempre apprezzato, di Marchesa Colombi, la capacità di cogliere la complessità delle relazioni sociali e il formidabile talento ironico, a cui – tra l’altro – è stato dedicato un pregevole saggio di Clotilde Barbarulli e Luciana Brandi, “L’arma di cristallo”, edito da Luciana Tufani. Ma non ci si può dimenticare del suo impegno militante: Maria Antonietta Torriani, che ha preso il suo nome d’arte dal personaggio di una commedia satirica di Paolo Ferrari, è stata un’assidua collaboratrice del giornale emancipazionista “ La donna”diretto da Gualberta Alaide Beccari con una redazione tutta al femminile, e ha affiancato più volte Anna Maria Mozzoni, lagiornalista e attivista politica che possiamo considerare la prima femminista italiana: insieme hanno progettato e messo in atto la fondazione del Liceo Maria Gaetana Agnesi a Milano, dedicato alla formazione delle ragazze, vi hanno insegnato e hanno tenuto conferenze politiche e letterarie in diverse città. Si tratta di figure importanti che costituiscono le radici profonde della nostra consapevolezza, in quanto ci hanno indicato e aperto nuove prospettive, nuove possibilità di essere e di agire.
Ti chiedo due parole sulla casa editrice 8tto Edizioni.
– È una casa editrice indipendente, fondata a Milano nel 2019 da Alessandra Barbero, Cristina Cigognini, Manola Mendolicchio e Benedetta Vassallo, già attive nel mondo dell’editoria. Pur essendo specializzata nella narrativa straniera di lingua inglese, da qualche anno si dedica anche alla narrativa italiana, con la riscoperta di voci importanti dell’Ottocento e la scoperta di voci significative della contemporaneità. Si potrebbe aggiungere che la sua produzione si caratterizza per la ricerca di tutto ciò che devia dall’ordinario, che ogni suo libro custodisce un piccolo germe di eccentricità, che sia nella costruzione dei personaggi, nella voce narrante, nella trama o nella struttura narrativa.
Infine ti domando se stai portando nelle scuole questo tuo libro e se stai lavorando a un nuovo progetto.
Ho insegnato italiano e storia per molti anni e so perfettamente che nei testi di letteratura destinati a licei e istituti queste scrittrici dell’Ottocento che pure costituiscono la nostra genealogia culturale sono scandalosamente assenti, fatta eccezione per qualche riga frettolosamente dedicata a Serao…e quindi penso che sia giusto portare libri come questo nelle scuole. L’ho presentato agli studenti di un istituto alberghiero, su invito della loro insegnante Annalisa Comes, compagna di redazione a “Leggendaria”, e vorrei continuare l’esperienza proponendo alla lettura anche il romanzo di Regina di Luanto “Gli agonizzanti”, pubblicato nel 1900 e mai più ristampato, che uscirà a breve, con la mia prefazione, da 8tto edizioni: una storia di forte impatto ideologico in cui, al tramonto di un’epoca e dei suoi miti, entrano in scena donne radicalmente nuove. Mi piacerebbe avere la collaborazione di tante insegnanti e bibliotecarie interessate, perché trovo assolutamente necessario che queste scrittrici entrino a far parte stabilmente della nostra cultura. E per questo, non c’è opportunità migliore delle giovani generazioni.
Maria Grazia Ferraris
Posted at 11:07h, 20 AprilePreziosa intervista a un volume “nuovo”, interessante che tratteggia personalità artistiche femminili dimenticate, non solo dalla scuola, che non dedica tempo e spazio nemmeno al Nobel Grazia Deledda, ma anche dalle lettrici in generale, ignare di tanta ricchezza, profondità e umorismo presente nella storia della scrittura femminile. Come sempre il loro ricordo passa, quando c’è, nella rievocazione delle figure maschili che le hanno accompagnate nella vita. Di Annie Vivanti se ne parla citando G. Carducci, di Amalia Guglielminetti parlando di G. Gozzano, della Marchesa Colombi parlando del marito Eugenio Torelli Vollier ,fondatore del Corriere della Sera…..
Tanti complimenti all’autrice.