Maria Messina e il diritto alla felicità

 

di Ivana Margarese

 

Che farci? Ognuno di noi 

crede di avere diritto alla felicità.

Maria Messina, L’amore negato

 

 

Maria Messina nasce a Palermo nel marzo 1887 e muore a Pistoia nel 1944,  per il peggiorare della malattia con la quale aveva convissuto fin dai vent’anni, la sclerosi multipla. A sei anni si trasferisce con la famiglia da Palermo al piccolo centro di Mistretta, nel cuore dei Nebrodi, dove abita fino al 1909, e molte delle sue storie risentono delle atmosfere e dei paesaggi dell’infanzia in Sicilia.
In una lettera a Verga, con cui intrattiene un inteso scambio letterario, Maria Messina scrive:

«Mio padre è nato ad Alimèna: à molti, moltissimi parenti sparsi un po’ per tutta la Sicilia. La famiglia di mia madre era di Prizzi. La mia sicilianità s’è dunque alimentata nelle più profonde radici dell’animo mio: sicilianità di razza, di nascita e di sentimenti, di cui vado orgogliosa». 

Nonostante questa orgogliosa rivendicazione, se si guarda alla sua opera attraverso la prospettiva critica odierna sarebbe limitante considerarla soltanto come espressione di un verismo regionalista raffigurante un mondo regionale e i suoi abitanti, non sottolineando come l’esperienza della scrittura messiniana, oltre a conferire centralità al soggetto femminile  conducendo a una prospettiva critica dei dispositivi di genere, manifesti un’attenzione particolare verso un passaggio intimo della coscienza, che da inconsapevole giunge a un momento numinoso, in cui sembra possibile distillare l’oscurità per restituire luce, flebile ma esistente:

“Pure nella loro sorte c’è sempre un bel raggio di sole: perché ciascuna di queste ragazze crede a «qualche cosa» e vuole aiutare qualcuno. E chi crede all’utilità del suo lavoro o alle parole di chi l’ama, chi rimpiange la felicità perduta per sua colpa o chi ricorda una cara creatura sparita – ciascuna esce talora dal cerchio della vita, per entrare, sola e non vista, nel piccolo mondo spirituale che custodisce, intatte, le forze più fresche le aspirazioni più nobili della sua femminilità”.

Normalmente la luce è variegata e solcata da ombre. La luce, come insegna John Berger, maestro dello sguardo, fiammeggia nelle tenebre. Sebbene Maria Messina sia stata una scrittrice a lungo dimenticata, percepita come figura umbratile e ritirata, la sua medesima vicenda biografica contraddice lo stereotipo di monotonia stanziale attribuitole. Vive in Toscana, Umbria e a Napoli, viaggia, legge e scrive moltissimo.


In una nota su di lei, Leonardo Sciascia si sorprende che la sua scrittura in un tempo maggiormente attento alle figure femminili del passato sia rimasta ancora obliata. La definisce “una Mansfield siciliana”, non solo perché coetanea della scrittrice neozelandese ma anche per la capacità di cogliere aspetti della realtà impercettibili ma decisivi. Forse entrambe, Katherine Mansfield (1888-1923) e Maria Messina, avevano trovato nello scrivere un fremito di libertà, manifesto nei loro occhi luminosi, attenti e mobilissimi.
Sciascia, a cui va il merito, insieme a Elvira Sellerio, di avere sottratto all’oblio la scrittrice siciliana, ricorda anche come Giuseppe Antonio Borgese abbia visto in lei un temperamento “tra i più attraenti della nostra letteratura femminile” con il suo essere tutta in tono minore, narratrice di “piccoli gorghi ove silenziosamente scompaiono vite cui manca perfin la forza di gemere”.


Le protagoniste delle storie di Maria Messina sono in effetti chiamate a tacere, ubbidire, dimenticarsi dei propri desideri, ma al contempo comprendono molto più di quello che si danno la forza di mostrare in un mondo descritto come incapace di mettersi in ascolto, che muove su vanità, interessi e convenzioni.
[…]
Probabilmente anche per questa semplicità ricca di vita interiore e per la sottile analisi dei fenomeni della vita la scrittura di Messina è stata accostata, già da Leonardo Sciascia, a quella di Čechov. Un teatro di voci in cui l’esperienza dell’amore è un’eccedenza che al di là di ogni mancata speranza resta: “E Gènia rise, stringendosi lo scialletto sul petto come per non lasciarsi sfuggire il suo segreto d’oro”. E le vite si risolvono in relazioni di cadenza e dissonanza.

( brano tratta dalla Prefazione a Maria Messina, Isolane. Luciuzza e altri racconti, Les Flaneurs edizioni, 2023)

 

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