La stralunata corsa

di Sara Grosoli

Mentre rigovernava le bestie, Bepi pensò che forse era quella la notte giusta. La stanchezza non smorzava mai la sua noia. Una sera che erano tutti nella stalla a scaldarsi, la Rina del Toni- lei raccontava sempre storie strane, come quella che il latte delle loro mucche in città lo davano da bere agli operai per ripulirli da tutto lo sporco che le macchine gli avevano messo dentro al corpo- raccontò quello che le aveva detto una sua amica andata a servizio alla villa: la signorina, la nipote venuta da fuori, pareva che non facesse mica le cose come gli altri cristiani. Prima di dormire si metteva delle erbe magiche sotto il cuscino. Dicevano che alle volte la notte faceva delle feste che non si sapeva bene cosa erano, ma l’amica della Rina non ne sapeva niente. Di sicuro non sopportava l’odore dell’incenso perché in chiesa la si era vista davvero poche volte. Era più facile vederla camminare tra gli alberi del parco con un grazioso parasole appresso. I signori, gli zii, avevano delle figure tozze da cacciatori di campagna: sempre impegnati a armeggiare con i loro cani e i loro fucili, non avevano pretese di eleganza. La nipote era diversa, lo si capiva al primo sguardo. Lui non ci credeva: una strega mica può essere così bella, che cammina che pare portata dalle onde. O forse essere così belli è già una magia? Per andare a vedere aspettò una notte in cui la luna illuminava bene i sentieri che separavano la casupola bracciantile dalla residenza dei signori. Dormivano tutti. Bepi al buio trovò solo lo scialle della madre e alla meno peggio si coprì con quello. Stando molto attento a non urtare le fascine di legna che erano per terra vicino alla porta, uscì e si avviò per i campi bassi. Nell’oscurità la terra sembrava un nido vuoto. Bepi non si era mai spinto più in là di Grazzano in Piano: vi aveva visitato la chiesa dove si erano sposati i suoi bisnonni e i parenti gli avevano dato da mangiare una torta morbida morbida, fatta con riso cotto nel latte e con uova belle gialle. Anni dopo quante ne avrebbe viste di chiese- altissime e bianche, brulicanti di angeli e mostri, con statue del Figlio di Dio misericordioso e della Madonna bellissima- tornando, a piedi e con lo zaino in spalla, dalla guerra. Ben oltre la chiesa plebana, la torretta della villa era tranquillamente visibile al chiaro di luna. Bisognava solo sperare che i cani della casa lo lasciassero stare mentre percorreva il viale d’accesso. Da una finestra bassa veniva una luce rossastra: una candela era stata accesa nella sala al pianterreno. Si avvicinò curvando la schiena e spiò il locale in cui non era mai entrato: i ritratti bianchi e neri dei morti pendevano dalle pareti accanto ai mobili pesanti e scuri. Alcuni di essi avevano delle vetrine che erano piene di libri. S’alzò il vento e Bepi si spaventò come se fosse stato sorpreso dai padroni stessi a guardare in casa loro. All’improvviso si spalancò l’uscio del portico ed una frotta di servette scattò fuori dall’ingresso padronale. Correvano forsennate, come per salvarsi la vita, tenendo le braccia sollevate e trascinando dei lunghi teli bianchi. La signorina era al centro del gruppo: alta e leggera, sembrava che stesse per volare via in un chiarore tutto suo. Bepi si rifugiò dietro uno dei grossi alberi che bordavano il viale. Un diavolo, o chi per esso, le aspettava perché alla fine della corsa comparve un piccolo astro di brace, e poi divampò il fuoco. Tra i giochi delle luci e delle ombre le donne ripresero a correre, stavolta accerchiando la fiamma. E se ci volessero bruciare un cristiano? Il ragazzo indietreggiò e, nel freddo dello sgomento, si lanciò verso i distanti campi. Fioche scintille si dileguavano nel buio. La mattina, quando si svegliò, si sentì stupido come un vitello appena nato. I magri rami neri degli alberi circostanti sembravano le sbarre di un cancello costruito per tenerlo lontano per sempre. La mandarono via, probabilmente per farla sposare. Bepi, immobile davanti allo specchio maculato dagli anni e circondato da tutti quei liquori zuccherini che non si poteva permettere, apprese la nuova dal chiacchiericcio dei clienti nella drogheria del paese. A volte, in un moto di pietà e di paura, Bepi si chiedeva se il viaggio della strega continuasse ancora.

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Sara Grosoli è laureata in Lingue e letterature straniere presso l’università di Bologna. Collabora con  svariate case editrici in qualità di traduttrice letteraria. Suoi testi in prosa e poesia sono apparsi in diverse antologie e nella rivista “Steve” edita dal Laboratorio di Poesia di Modena. Attualmente insegna in Francia.

In copertina: Marc Chagall, Alla Russia, agli asini e agli altri, 1911

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