Tartarughe

di Carlo Martello

 

Ricordo con esattezza il momento in cui ci siamo incontrati la prima volta. Sono passati venticinque anni, un quarto di secolo. Io ho sessantaquattro anni e non sarei stato capace di immaginare un tempo trascorso così lungo, Suor Cecilia ne compie proprio oggi settantadue. Sono tanti, ma non è molto cambiata, è solo più lenta nei lavori manuali; era talmente svelta prima che anche adesso è più veloce di chiunque lavori insieme a lei.

Io occupo la stessa stanza che mi fece assegnare venticinque anni fa, e non si direbbe che sia cambiato poi tanto neppure io da quel pomeriggio in cui mi svegliò, mentre dormivo su una panchina di Piazza Martinez.

 

Le ho comprato la prima edizione argentina de Il bacio della donna ragno di Puig. Dovrebbe farle piacere. Ovviamente capirà che parla anche di noi, di questo posto, di questo strano anniversario, lei ha sposato Dio o così crede, io dopo la mia prima moglie non ho più sposato nessuna e vivo in pratica come una suora.

 

C’è stata una dose di casualità, come sempre in quello che faccio: ho trovato la prima edizione del romanzo di Puig mentre perdevo tempo scorrendo migliaia di titoli su un sito di libri usati. Subito ho pensato che sarebbe stato un regalo perfetto per Suor Cecilia, perché il convento è un’istituzione totale alla pari del carcere e queste mura, come quelle delle galere, non solo contengono ma contribuiscono a definire le relazioni umane, nel nostro caso la relazione d’amore.

Ho scelto Puig per chiederle uno sguardo ironico, addirittura cinico, sulla nostra vita insieme, perché mi serve che mi riporti alla realtà con la sua capacità di rendere terrene le cose. Dovrebbe cogliere il messaggio, mi conosce meglio di chiunque altro. Se invece non dovesse capire quello che desidero mi aiuti a fare, le scriverò una lettera. Del resto non ho fretta, non chiedo di cambiare alcunché, vorrei solo approfondire gli ultimi venticinque anni, vorrei che mi aiutasse a fare luce.

Suor Cecilia dice che penso troppo. È il mio lavoro. Lei non pensa di meno. La differenza è che lei pensa agli altri e a Dio negli orari concordati; io invece penso a me stesso senza orari, quando posso, e trasferisco me stesso negli altri, nei libri che scrivo.

 

Venticinque anni fa mi trovavo senza lavoro, appena separato, con una figlia piccola e l’idea che qualcosa sarebbe successa, idea che serviva solo a impedire di disperarmi.

Aspettavo appunto che arrivasse mia figlia Silvia, aveva cinque anni all’epoca. Sua madre Elena era andata a prenderla a scuola, sarebbe rimasta con me il pomeriggio e poi fino alla mattina seguente. Le avevo comprato le lenticchie e i mandarini. Di solito non ho una memoria così potente e radicata, ma abbiamo rievocato tante volte quel pomeriggio con Suor Cecilia che ormai ho cristallizzato tutto, ricordi veri e immagini successive. Sono convinto di aver sentito il rombo di un aereo quel pomeriggio, ma da quella piazza non si sentono gli aerei, devo essermelo inventato. Eppure ne sono convinto. Le lenticchie e i mandarini però corrispondono al vero senza dubbio, erano e sono ancora due dei cibi preferiti di Silvia, anche oggi che è una donna adulta; lenticchie in scatola e mandarini senza semi.

Ero in anticipo, mi capita spesso. Mi piace aspettare, è un tempo libero molto sottovalutato. Ricordo che stavo leggendo Machado de Assis quando mi prese una leggera sonnolenza, così mi distesi sulla panchina e mi addormentai. Il sole dell’autunno mi riscaldava le gambe. Era un sonno leggero, riuscivo a godere del tepore solare, mi arrivavano le voci dei passanti e di chi sostava nella piazza, i pensieri iniziavano a farsi meno netti; mi piace molto anche oggi dormire in posti dove non sono isolato, addormentarmi tra i rumori e le voci, i cambiamenti di luce dovuti alle nuvole, dormo e soprattutto sogno molto meglio.

Mentre sonnecchiavo, Suor Cecilia si avvicinò e mi chiese se avessi bisogno di qualcosa, se stessi male. “Sto solo riposando”, risposi.

Riuscii a essere gentile nonostante il risveglio inappropriato. Suor Cecilia si scusò e proseguì verso la chiesa lì vicino. Ne uscì dopo pochissimo, fece la stessa strada e mi passò vicino, lei oggi sostiene perché ci fossero dei ragazzi che le impedivano il passaggio, io non ricordo nessun ragazzo. Credo fosse solo curiosa.

Avevo appoggiato il libro di fianco a me, cercavo di svegliarmi del tutto prima dell’arrivo di Silvia e Elena.

“Posso sedermi?” mi chiese. Dissi di sì. Lei spostò il romanzo. Mi scusai di non averlo fatto prima.

“Cosa le piace di Machado de Assis?” mi chiese ancora.

“La morale e l’ironia.” le risposi “E la scrittura, certo.” aggiunsi.

Scoprii una cultura sorprendente e una passione per la lettura smisurata. Quella donna avrebbe potuto parlare di letteratura per settimane senza mai ripetersi.

 

La mia stanza, il mio studio, è in una parte del convento dove le suore non vengono mai, per opportunità fu deciso così e anche se adesso mi conoscono tutte e posso girare libero per il convento, il mio studio è rimasto lì.

Fu una fortuna poter scrivere e lavorare in convento. Mi trovavo senza impiego e non avrei potuto pagare uno studio per scrivere, sarei stato costretto a farlo da casa e la scrittura ne avrebbe risentito. C’è chi ama lavorare a casa propria, magari in postazioni molto scomode, io non ci sono mai riuscito bene, a casa scrivo e lavoro molto male, può sembrare paradossale ma non mi sento a mio agio; anche se non c’è nessuno mi sento osservato dai ricordi della casa. In convento invece ho iniziato da subito a lavorare con grande disposizione d’animo. Il successo non ha tardato a ritrovarmi. Non si vive di scrittura, non è quasi mai accaduto se non a pochissimi fortunati. Per qualche ragione misteriosa ho avuto questo destino. Il merito è quasi tutto degli agenti, delle case editrici e poi, certo, ci vuole fortuna. Conservare il successo non è difficile se si è capaci di scrivere con disciplina, di un minimo di autoironia nelle occasioni pubbliche e se ci si tiene schivi nella vita e possibilmente lontani dai guai. Vivere in un convento aiuta.

 

Suor Cecilia ha iniziato ad aiutarmi già dal primo libro, rileggendo le bozze, facendo ricerche, parlando con me, in venticinque anni non abbiamo mai smesso. All’inizio lavoravamo insieme di notte, rubando ore al sonno, ora siamo più guardinghi nello sfruttamento del corpo. Talvolta capita di fare le ore piccole e il giorno seguente ci ritroviamo cisposi e arrabbiati, a lavorare di fretta.

Ci siamo toccati spesso e qualche volta si è andati più in là, nelle notti in cui le parole ci portavano via il tempo. Non ho mai smesso di chiamarla Suor Cecilia, lei sostiene mi eccitasse; io dico, oggi che sono passati tanti anni dall’ultima volta in cui abbiamo approfittato del silenzio, che si è sempre trattato di un amore fatto di regole.

Le ho chiesto, è stato inevitabile, come facesse a tenere dentro l’amore fisico e l’amore divino e i precetti di entrambe le pratiche. Non l’ho chiesto per polemica, né tanto meno per condannare uno dei due amori, ma solo per comprendere meglio lei, per provare a capire come ne fosse venuta a capo, considerato che non sembrava soffrirne per niente. Mi ha spiegato più di una volta, perché purtroppo posso essere insistente e ripetitivo con le domande, che il suo rapporto con il divino è poco o niente legato ai dogmi, che su ognuno di questi aveva riflettuto e continuava a farlo ogni giorno. Se vi aderiva era perché si trovava d’accordo. In un certo senso, e questo in effetti rendeva le cose più semplici, lei credeva e crede tuttora, che Dio esista, che abbia fecondato Maria per tramite dello Spirito Santo, crede che Dio parli attraverso il suo rappresentante in terra, ovvero il Papa, tutti i Papi, i più illuminati e più arraffoni. Crede che il disegno di Dio sia imperscrutabile. Semplicemente non è d’accordo sul divieto di dedicarsi ai piaceri del corpo, quindi non lo rispetta. Non si ribella apertamente, mi ha detto qualche volta dopo aver fatto l’amore, perché non ne ha il carattere e neppure l’ambizione. Non è d’accordo, sosteneva e sostiene, con una semplicità e una coerenza interna così solide che mi stupiscono ogni volta e mi lasciano ammirato e invidioso della sicurezza che lasciano trasparire, nemmeno con la proibizione del sacerdozio femminile, ma non ha mai avuto l’anima della leader rivoluzionaria. Le vie del Signore sono infinite, ma non possiamo percorrerle tutte.

“Dove termina la fede e dove inizia il cinismo?”, le chiesi una volta, con poco tatto.

“Dove e quando terminano le possibilità umane.”, mi rispose, con meno tranquillità di poco prima. Suor Cecilia è ancora molto permalosa, nonostante continui a lavorare su questo aspetto di sé.

 

Nel corso degli anni siamo arrivati al mio diciottesimo romanzo, più una miriade di articoli, brevi saggi. E una montagna di denaro, se si considera quanto poco guadagnano gli scrittori nel mondo. Credessi in Dio come crede lei, mi sentirei autorizzato a parlare di miracolo.

Alcuni dei romanzi sono buoni libri, un paio sono ottimi libri, il resto sono idee mediocri scritte decentemente e vendute solo perché ormai riuscirei a vendere qualsiasi cosa, vendo il mio nome.

Suor Cecilia, che pure concorda con me sulla generale pochezza di alcuni lavori, mi rimprovera di soffrire troppo di questo eccessivo riconoscimento che come è ovvio è ormai completamente slegato dalla realtà. Pecco di superbia e di troppa ambizione, secondo lei. Credo sarebbe vero se credessi in Dio, dal momento che non credo non ho termini di paragone verso i quali peccare e niente di cui essere perdonato. Dove e quando terminano le possibilità umane. L’ha detto lei. Non sono così antipatico da ripeterglielo. Mi basta essermelo ricordato.

Continuerò a soffrire questo mondo senza senso, dove anche il successo diventa una coazione a ripetere, dove la pigrizia governa gli animi, dove vivere in un convento mi ha fatto prendere a scrivere come una suora, il che è una delle chiavi del mio successo, ma non mi ha mai fatto dubitare del mio ateismo.

 

Abbiamo deciso di prenderci una vacanza. Siamo vecchi ma non troppo, o forse non ne abbiamo ancora voglia. Una sorta di rinascita temporanea, alla maniera di Cristo, ho osato dire. Suor Cecilia non ha sorriso ma ha incassato con pazienza. Andremo al lago, confondendoci tra gli altri anziani. Non è lontano e potremo lavorare per la prima volta in un luogo diverso dal convento, fare forse qualche passeggiata.

Nessuna delle suore ha avuto da ridire, da tanti anni hanno accettato il nostro rapporto, in verità sembra importargliene molto poco. Dopo venticinque anni non sono sicuro di averle comprese se non in minima parte. Suor Cecilia dice che è normale, capire una suora è come arrivare a comprendere Dio. Ho lasciato correre via l’argomento.

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