15 Gen Selma e il lavoro culturale ai margini della provincia
di Muriel Pavoni
Provengo da una piccola città della pianura padana, piccola ma civile progredita e pure operosa, molto operosa, tanto da collocare lo status professionale sul podio delle qualità morali dei suoi cittadini. Quando penso alla mia città ho l’impressione di vivere nella Grosseto anni ‘50 di Luciano Bianciardi ne “Il lavoro culturale”:
“Non c’è da stupirsi se anche nella nostra città, piccola città, ma civile e progredita, c’erano sapienti, dotti e intellettuali che ne cercavano alacremente le origini. Non erano su questo punto d’accordo tra loro, anzi, erano animosissimi e divisi, così all’ingrosso, in tre fazioni.
Una provincia come la nostra oltretutto offriva il vantaggio di non avere tradizioni, ubbie passatiste, tribù locali, come succede altrove… Nella nostra città si poteva ricominciare tutto daccapo, e in Italia quanto a cultura (ma anche per il resto) c’era un gran bisogno di ricominciare daccapo. Eravamo orgogliosi: si doveva star qui lavorare produrre. Nessuno di noi si sarebbe mai sognato un giorno di partire per Roma o Milano. Bella città Roma, senza dubbio, e piena di facili promesse: le mostre d’arte, il teatro, Cinecittà, i concerti i salotti letterari, le riviste, i caffè, e tanta bella gente (tutta venuta, a guardar bene, dalla provincia) scrittori, pittori, registi, intellettuali, insomma. Ma lì poi cosa avevano fatto? Cosa stavano facendo?
Una città parassita, ecco cos’era Roma e non soltanto per via dei ministeri. Si succhiava la provincia per vivere di splendida rendita. Uno di noi a turno andava a Roma una volta a settimana e ci informava delle novità…”
Tutte queste cose accadono nella mia città, dove negli ultimi anni sono sorte ben tre associazioni di scrittori, due delle quali, pur ignorandosi, hanno condiviso la stessa sede, frequentandola a giorni alterni; la terza di queste, fondata per ultima, si è subito sentita superiore alle prime due, salvo poi estinguersi in tempi brevissimi per colpa delle smanie di protagonismo del suo fondatore. In aggiunta a questo clima disteso e collaborativo ci sono i dantisti, gli amici della pittura, della musica, le associazioni teatrali non si contano, sono pure sorti alcuni club del libro, la costante però resta la reciproca freddezza, il sapere dell’esistenza dell’altro e ignorarlo per presa di posizione. Ignorare, in provincia dove ci si conosce tutti, è il peggior disdoro, perciò ci si ignora sadicamente. Nessuno che abbia un briciolo di notorietà provinciale presenzia alle iniziative dei colleghi autoctoni. Si osserva Bologna (dalla vita culturale pantagruelica) con compatimento e invidia, perché in fondo la provincia è più vivibile. Sì, certo, a Bologna in un pomeriggio qualunque poteva capitare di incappare in Raffaele La Capria (ora non più ovviamente) all’Archiginnasio o Martin Scorsese in Cineteca… però in città ci si perde: c’è troppo! Meglio pochi eventi settimanali da disertare puntualmente. Le giustificazioni sono pleonastiche: i troppi impegni concomitanti, la stanchezza, il torpore invernale, la calura estiva e naturalmente gli affanni dovuti al proprio lavoro culturale, da conciliare con quello remunerato di commercialista, avvocato, dirigente, mai operaio. In realtà però la vera motivazione dell’assenza è la sottovalutazione, salvo poi guardare con interesse le stesse iniziative riproposte nel capoluogo. Però attenzione, bisogna partecipare invece a tutti gli eventi cultuali indetti da amici e parenti, meglio se influenti, stando bene attenti a farsi vedere in prima fila; mentre bisogna ricordarsi che è obbligatorio disertare tutti gli eventi degli scrittori locali (non amici), con l’intento di svalutarli rispetto al proprio inarrivabile metro di giudizio.
Ecco allora che, in un clima così, più schizofrenico che letargico, aprire una libreria che conta di svolgere un vero e proprio lavoro culturale è impresa eroica.
Gli eroi – si sa – sono giovani e Michela Giordani (libraia) lo è: classe 1991. Eroico è pure l’anno in cui Michela decide di aprire: il 2020 (nel mese di novembre). Ardimentoso è il luogo prescelto, che si dà il caso sia il paese appenninico in cui mi sono trasferita da circa vent’anni, comune vasto e scarsamente abitato.
“Casalfiumanese è un piccolo paese della Valle del Santerno, territorio ampio in cui una libreria indipendente e specializzata non c’era mai stata e si sa che le librerie indipendenti comunque hanno un bel po’ di lavoro da fare per attecchire sul territorio”, dice Michela, e prosegue:
“Però era proprio il grande desiderio del 2020, la cosa bella di cui si aveva bisogno in un anno così complesso, anche per riscattare quei mesi così difficili e strani. L’inizio è stato complicato, diverso da come me l’ero immaginato, perché anche il 2021 ha avuto importanti strascichi di Covid. Da primavera però è stato possibile allentare le regole, vivere gli spazi aperti e ritrovarsi, e da lì finalmente è partito il progetto per come lo pensavo, composto non solo da un negozio di libri, ma luogo da vivere e sentire come fosse casa. Un posto in cui conoscere altre persone, sentirsi al sicuro, sperimentare e magari imparare. E così sono passati quattro anni, a volte sembra un lampo, a volte sembra di esistere da sempre per tutti i momenti vissuti con la piccola comunità che rappresenta la libreria”.
Da Selma, infatti, non si acquistano solo libri, ci sono i consigli mirati di lettura, la ricerca a cui Michela si dedica con cura e attenzione e gli eventi di aggregazione per tutte le età a partire dai bambini.
“C’è un grande lavoro sulla letteratura per ragazzi e le graphic novel”, continua Michela “poi c’è la ricerca di case editrici piccine, indipendenti, diverse o che nella grande distribuzione, in mezzo a mille libri e proposte, non trovano spazio e la giusta attenzione, cercando sempre di portare alla luce temi che stanno a cuore alle persone.
Gli eventi proposti hanno la missione di aggregare prima di tutto, cosa che sembra semplice, ma così facile non è, soprattutto quando al centro della questione c’è la cultura, la lettura, l’arte, la creatività. L’idea è di dedicarsi tempo per ascoltarsi e ascoltare l’altro, vale per gli adulti come per i bambini e per le famiglie. Un modo anche per scoprire attitudini inaspettate, capire cosa ci piace e cosa ci corrisponde meno e conoscere soprattutto artisti/e e creativi/e il cui lavoro merita attenzione, ma che nel marasma delle proposte non è facile individuare.”
Infatti la libreria, incastrata in uno spazio a tratti surreale: una specie di area commerciale, prima dismessa poi pian piano rioccupata da nuove attività, è un’oasi a pochi passi dalla provinciale che da Imola porta verso l’appennino, verso paesini ben più isolati, sempre meno serviti, sempre più spopolati, ma molto bisognosi e forse più sensibili al senso di comunità offerto dalla cultura condivisa, rispetto a coloro che abitano nel paesone (Imola).
Succede, entrando da Selma, di trovare la libreria trasformata in nursery, laboratorio artistico, asilo, sala conferenze, sede del gruppo di lettura, ma la cosa che stupisce, e che ha sorpreso me in prima battuta (disincantata frequentatrice di attività culturali), è la ricchezza di eventi e di ospitate che travalicano i confini locali. Tutti gli eventi attirano una moltitudine di persone considerata la località remota, sfido chiunque a localizzare sulle mappe, ma anche in relazione ad ambientazioni metropolitane e librerie “blasonate”.
Selma organizza una quantità di laboratori: disegno, legatoria, ceramica, mercatini. Invita autori, fumettisti, illustratori. Nei suoi spazi ogni mese si trova il gruppo di lettura Il portico dei lettori, la libreria aderisce a #ioleggoperchè, al Patto per la lettura e organizza Indie comics: una rassegna che indaga il mondo del fumetto e dell’editoria. Tutto questo avviene in sede ma anche in maniera itinerante spostandosi in vari luoghi della vallata del Santerno e verso Imola.
L’aspetto che più sorprende, per le ragioni sopracitate, è che suoi eventi sono frequentatissimi e da un pubblico piuttosto giovane, ignaro delle logiche e dei meccanismi malsani che regolano la vita culturale della provincia.
Mi ritrovo quindi a considerare che, mentre la mia città d’origine resta all’ombra della Grosseto anni ’50, è la periferia a riscattarsi grazie all’intraprendenza, e all’attenzione a quello che oggi manca: il senso di comunità. Restino le conventicole cittadine a farsi la guerra silenziosamente, è una giovane realtà a sparigliare le carte e a sovvertire certe usanze un po’ buffe un po’ malinconiche!
Questo articolo fa parte della serie “Librerie Indipendenti”
Leggi anche: Libreria “Europa” di Palermo
No Comments