10 Gen Pier Paolo Pasolini: il modo di essere intellettuali con “Comizi d’amore.”
Di Marco D’Alterio
“Perché il cinema non è solo un’esperienza linguistica, ma, proprio in quanto ricerca linguistica, è un’esperienza filosofica” – Pier Paolo Pasolini.
Un modo di essere intellettuali per Pasolini non è stato il limitarsi alla frequentazione di salotti culturali, al sottoporsi, senza riserve, all’occhio critico dei giornalisti dell’epoca, ma soprattutto di essere impegnato socialmente frequentando i luoghi (comprese le periferie, le borgate), parlando con il popolo. Interessarsi, dunque, a quelli che erano i problemi del suo tempo e le tendenze del paese.
“Comizi d’amore” rappresenta, in questo senso, il primo esempio di film documentario-inchiesta. Girato nel 1963 e selezionato tra i 100 film italiani da salvare, soddisfa quello che allora era un suo chiodo fisso: conoscere cosa ne pensano gli italiani sulla sessualità. In quel periodo, Pasolini, si trovava in giro per l’Italia a cercare luoghi e volti per il suo prossimo film: “Il vangelo secondo Matteo”. Ne approfitta per intrattenersi a intervistare persone comuni, e non solo, di qualsiasi età ed estrazione sociale cogliendo l’occasione per sfatare quello che era ancora un argomento tabù e abbattere le frontiere del sesso. Nonostante ci trovassimo in pieno boom economico, il paese era ancora legato a un’economia prevalentemente agricola e a valori profondamente religiosi. Per cui gli intervistati, il più delle volte, non nascondono l’imbarazzo di fronte alle domande pertinenti del regista e di conseguenza sceglie di indossare una maschera, quella del perbenista per intenderci, occultando la verità, o comunque, la reale opinione in merito.
C’è da dire che in quegli anni, in Italia, l’argomento sesso era trattato o in maniera troppo esplicita facendo ricorso alla volgarità, oppure con troppo intellettualismo e probabilmente Pasolini, attraverso questo documentario dal carattere sondaggistico, aveva individuato il motivo per il quale ci fossero ancora troppe riserve a riguardo. L’intento era quello di trovare un linguaggio comune a tutti e lui ci era in parte riuscito grazie a quelle interviste che, ad oggi, mostrano un’Italia cambiata nei costumi, ma non nella mentalità.
Si discute, per la prima volta, di invertiti, prostitute, divorzio. Il compito di Pasolini è di fare “Cinema verità” e Alberto Moravia, invitato a dire la sua a più riprese, suggerisce che ciò è un bene a prescindere dagli effetti, mentre per lo psicanalista Cesare Musatti, la tendenza a nascondere la verità svela l’ignoranza e la paura degli italiani in merito all’argomento. Pasolini, a proposito, avrà a dire che tutto ciò non è altro che dissacrazione.
L’analisi dell’argomento viene sviscerata in varie sfaccettature: il sesso come sesso o come hobby, come onore o come successo, come piacere o dovere. Le risposte degli italiani tra le spiagge romane, milanesi, toscane, meridionali sorprendono per interesse, ma anche per varietà di interpretazioni. Tuttavia risultano variegate. Alle risposte della gente comune vengono alternati interventi di letterati e intellettuali dell’epoca. Oltre a Moravia e a Musatti, vi è anche l’opinione di Giuseppe Ungaretti e Oriana Fallaci. Quest’ultima, in particolare, parla della condizione femminile e dell’arretratezza dell’Italia al cospetto di paesi quali America, Russia, Cina rossa ove la società tende al matriarcato e le donne hanno ricchezza e potere nelle loro mani e la possibilità di comportarsi come gli uomini. Tuttavia è convinta che anche in Italia è in atto un cambiamento in tal senso. A Milano, le donne che lavorano in fabbrica godono di una libertà sessuale che in altri tempi era impensabile. Di contro, nel profondo sud, nel sottoproletariato calabrese come da esempio riportato dal regista, il modo di pensare e i costumi appaiono assai diversificati.
La capacità di Pasolini, attraverso le sue domande, è quella di portare gli interlocutori stessi a dare una risposta (un Pasolini socratico insomma). Tra chi si imbarazza con mezze risposte, c’è anche chi stupisce per riflessioni inaspettate. Una contadina della Romagna preferisce i tempi moderni in cui la donna può concedersi il piacere con il proprio amato senza le tante restrizioni di un tempo. Studenti universitari parlano delle inibizioni mostrando la loro disinvoltura.
Il ritmo del film è incalzante e tratta temi ancora attuali se si pensa a domande del tipo: cos’è il conformismo? O l’interrogarsi sull’omosessualità. Ne viene fuori uno spaccato d’Italia con differenze ancora piuttosto marcate tra nord e sud. La linea di demarcazione fra quello che è lecito e quello che è illecito si è alzata notevolmente (e questo sinceramente è un bel progresso), rimane però sostanzialmente inalterato e molto diffuso un modo di rapportarsi ai costumi, alla morale, di tipo conformista, pigro e superficiale. Nel finale sarà Moravia a provare a dare la sua versione dei fatti. Alla domanda del regista che chiede se è vera l’Italia che ha intervistato, risponderà che certamente è vera, ma è vera anche quella che non ha intervistato. Le due compongono il ritratto storico dell’Italia unica. Rimane una larga parte che non risponde, e questo rappresenta il vuoto lasciato dalla borghesia italiana di quegli anni. Quelli che non hanno risposto hanno paura di danneggiarsi socialmente e venir meno al decoro. Il documentario termina a Napoli con gli intervistati che dicono la loro sulla legge Merlin del 1958. I vantaggi e svantaggi della chiusura delle case di tolleranza.
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