13 Gen In Dialogo con Davide Ricchiuti
a cura di Francesca Grispello
Ho conosciuto il lavoro di Davide Ricchiuti attraverso Pro.Vocazione, una rivista cartacea, distribuita in una lunga fitta di librerie indipendenti. La peculiarità estetica ed etica è la scelta di lavorare su temi che si dipanano con e per il femminismo Intersezionale. Il femminismo è un tema scivolosissimo, ma quando la pratica si muove con un uomo che si espone e che rivendica la pratica, la Pro.vocazione risulta al pubblico più forte. Non è un caso isolato, assistiamo ad una fioritura grande del tema del Femminismo e la pratica di Davide è felice e tenace.
Non leggerete di Davide perché è un uomo femminista, non è uno zimbello, ma leggerete di un modo di far correre, nutrire, slanciare, mettere insieme una serie di pratiche che compongono tante storie.
Davide ama raccontarle, portarle alla luce, farne corsi, approfondimenti.
Scrivo cose e faccio podcast è ciò che leggiamo appena si accede al suo sito e di cose ne scrive e ne fa molte, ma partiamo un po’ più da lontano.
Quando e come la parola (scritta, parlata, condivisa, ascoltata) è diventata una porzione imprescindibile della tua vita?
La parola è sempre stata imprescindibile nella mia vita, soprattutto la parola di scrittrici e poetesse come Anaïs Nin, Emily Dickinson, Sylvia Plath, Wislawa Szymborska. Sono queste le autrici che, scandagliando in modo problematico l’interiorità degli esseri umani a partire da sé stesse, mi hanno confortato negli anni dell’adolescenza. Ma il primo libro che ricordo di aver letto fino in fondo in modo consapevole prima dell’adolescenza, intorno ai dodici anni, è stato Il lupo della steppa di Hermann Hesse, un libro profondo e difficile che, però, mi ha consentito di accettare i contrasti emotivi che stavo vivendo in quegli anni. Nel corso del tempo, ho sempre coltivato il desiderio di scrivere, annotando parole e racconti su quaderni e taccuini che custodivo nei cassetti della scrivania, ma non ho mai avuto il coraggio di tentare di pubblicare nulla fino a che non mi sono avvicinato ai quarant’anni. Nel 2019 ho inviato il primo racconto di cui fossi davvero soddisfatto alla rivista letteraria ‘tina di Matteo B. Bianchi, una tra le più longeve in Italia, e il racconto è stato accettato. Da quel giorno la mia prospettiva sulla scrittura è cambiata. Nella parola pubblicazione ho intravisto la possibilità del cambiamento, dell’allontanamento dal mio personale guscio di sofferenze e frustrazioni un po’ infantili e ho iniziato a confrontarmi con il significato reale di quel primo passo fuori dalla sfera privata. Pubblicare è stata l’occasione per iniziare un confronto con gli altri, un confronto da cui mi ero sempre tirato fuori, tant’è che le mie autrici e i miei autori preferiti, almeno fino a quel momento, erano soltanto autrici e autori morti da decenni, se non da secoli.
L’uso della voce è stata una scoperta recente oppure lo coltivi da tempo?
I miei genitori conservano ancora dei nastri che ho inciso da bambino in cui parlavo o presentavo, come se fossi uno speaker radiofonico, le varie canzoni che ascoltavo a quell’età. Ho sempre usato la voce per manifestare la mia piccola presenza in questo mondo. È un modo naturale di comunicare, che mi consente di non essere necessariamente esposto alla vista degli altri. La differenza tra ieri e oggi sta nel fatto che i podcast mi permettono di emanciparmi dal ruolo di speaker classico, quello che spesso parla del più e del meno in radio, e di riempire di significato lo spazio sonoro che riesco a ritagliarmi sulle piattaforme di streaming. Non mi piace la pedanteria e non sono un appassionato ascoltatore di persone saccenti, per cui quando ho avuto la possibilità di realizzare un podcast come Sei tu, sono io, è la vita – in cui porto avanti ricerche letterarie e filosofiche sostenendo tesi sui nostri comportamenti all’interno della società contemporanea – ho pensato di attingere all’esperienza e alle parole di autori e autrici della civiltà antica e dei giorni nostri con un approccio fresco, possibilmente nuovo e soprattutto leggero, nel senso in cui ne parlava Calvino nelle sue Lezioni Americane o Paul Valéry quando diceva che bisogna essere leggeri come una rondine, non come una piuma.
Come sei arrivato al femminismo?
Sono arrivato al femminismo dopo aver messo in moto il processo di pubblicazione della rivista Pro.Vocazione e non prima. Quando ho creato la rivista, insieme alle redattrici, non mi definivo femminista, né con gli amici, né durante eventi pubblici a cui partecipavo, come ad esempio ai reading di racconti. Ho maturato una consapevolezza femminista documentandomi nel corso degli anni, leggendo molto, seguendo profili d’informazione femminista su Instagram come The Period, ad esempio, ma anche parlando con mia madre, beneventana, che mi ha raccontato le discriminazioni subite da giovane, quando si è trasferita nel Nord Italia per lavoro. Non solo era una donna non sposata, ma era anche del Sud. Oltre a raccontarmi la sua di storia, mia madre mi ha anche parlato delle scelte di nonna Emma, sua madre, che a Benevento, sul finire degli anni Sessanta, aveva deciso di non spendere i suoi soldi per comprare il corredo alle cinque figlie, e di usarli invece per pagare gli studi a tutte, in modo che ognuna di loro potesse rendersi indipendente in futuro. Mia nonna non è mai stata una femminista consapevole, era arrivata a frequentare la quarta elementare, nella vita lavorava la terra e si occupava della casa, ma attraverso le sue idee, condivise anche dal marito, nonno Filippo, ha permesso alle cinque figlie di emanciparsi dall’usanza sociale di dipendere economicamente dai futuri mariti. Femminismo allo stato puro.
Quattro anni fa nel luglio del 2021 è nata Pro.Vocazione una rivista indipendente, quando è nata l’idea e come è stata accolta. Come ti senti a distanza di questo tempo e quali cose auguri a questa creatura?
Pro.Vocazione è nata per compensare uno sbilanciamento. Nel 2021 mi trovavo in lockdown a Lisbona e avevo letto un tweet della giornalista Milena Gabanelli che si chiedeva, dopo l’ennesimo femminicidio, come mai gli uomini non partecipassero mai alle manifestazioni di solidarietà alle donne uccise dal proprio compagno. L’impossibilità di essere presente fisicamente alla manifestazione di cui parlava Gabanelli, indetta in quei giorni in Italia, mi ha fatto pensare a un modo alternativo di far sentire la mia voce, un modo che avesse a che fare con le mie inclinazioni personali, ovvero con la letteratura. Per questo ho creato Pro.Vocazione insieme a una redazione di sole donne: per ascoltare in prima persona (e per far ascoltare ad altri uomini etero cisgender come me) le parole delle donne. Parole che possano svelare i meccanismi discriminatori e oppressivi tutt’ora in atto in certe famiglie, in certe società o in certi ambienti di lavoro. Per essere pubblicati sulla rivista è necessario scrivere un contributo – un racconto, una poesia, un mini saggio – che tocchi i temi del femminismo intersezionale contemporaneo. Nel corso degli anni abbiamo pubblicato sia racconti di autrici esordienti che di autrici affermate e ho sempre imparato qualcosa da ognuna di loro e anche dal confronto con le redattrici della rivista. Sono contento quando Pro.Vocazione provoca dibattiti tra il pubblico quando la presento in librerie, scuole, aziende o festival. Una delle particolarità di questo progetto letterario è che, nonostante non abbia sponsor, la rivista è totalmente gratuita per l’utente finale, e voglio che rimanga sempre tale per fare in modo che chiunque lo desideri possa avere accesso ai contenuti della rivista. Questa scelta fa parte dell’approccio intersezionale per cui abbiamo optato in redazione. Sappiamo che la nostra identità è una costellazione di elementi diversi che s’intersecano – ad esempio religione, stipendio, colore della pelle, genere, orientamento sessuale – e non vogliamo precludere a nessuno, nemmeno a chi non se lo può permettere economicamente, la possibilità di arrivare a consultare Pro.Vocazione.
Essere uomo bianco etero cis porta con sé una serie di privilegi, nel nostro tipo di società, che non sono identici a quelli che può avere, ad esempio, una donna nera lesbica di religione non cattolica sul suolo italiano.
Di recente, l’interessamento del MACTE, Museo di Arte Contemporanea di Termoli, nei confronti della rivista ha portato, per la prima volta, a una collaborazione culturale, ma anche economicamente rilevante per noi provocatori. Il Museo, infatti, ci ha messo a disposizione dei fondi per la produzione, stampa e distribuzione di un numero speciale, cartaceo e online. Dopo questa esperienza, c’è stato l’interessamento anche da parte di altre librerie, ad esempio Libreria Barbarossa di Benevento e Elsa Libreria Creativa di Monza per la creazione di un numero speciale finanziato o co-finanziato insieme a noi. Mi auguro che situazioni del genere possano ripetersi sempre più spesso, perché questo dà la possibilità alla rivista di avere maggiore impatto sul singolo territorio in cui si innescano riflessioni femministe, creando sempre nuovi dibattiti. Rimane poi sempre aperto il crowdfunding di Pro.Vocazione sul sito GoFundMe.
I tuoi podcast sono un mezzo per viaggiare, per attingere a luoghi e autori/autrici, persone e atmosfere preziose come li componi? Cosa scatta nella tua sensibilità che ti fa cadere in una storia?
Molti episodi nascono da viaggi reali che ho fatto, altri da viaggi che ho intrapreso solo attraverso la letteratura, ma che mi sembrano sempre altrettanto reali. Il denominatore comune di ogni puntata è la curiosità filosofica nei confronti di noi stessi come esseri umani, ma anche del mondo e del periodo storico in cui ci è capitato di nascere. È un tipo di curiosità simile a quella che Aristotele, nel libro della Metafisica, chiamerebbe in causa per raccontare l’origine della filosofia, ossia la meraviglia. L’esercizio della meraviglia, nel mio caso, non è rivolto solo alla conoscenza di nozioni teoriche, ma abbraccia anche gli stati d’animo di una persona, di un popolo, di una comunità umana o animale. Nel Sudamerica si tramanda la storia che il Condor delle Ande, ad esempio, quando è vecchio e stanco – e magari ha avuto anche la sfortuna di subire la perdita della sua compagna – salga sul picco più alto della catena montuosa in cui vive e si lasci cadere, suicidandosi volontariamente. Ecco, storie come questa sono materia fondante per il podcast Sei tu, sono io, è la vita perché hanno a che fare con le domande sul senso dell’esistenza che, prima o poi, ci poniamo tutti.
Per tornare al tema del femminismo, è vero che ancora oggi le donne sono oppresse, anche nella nostra società occidentale, da vari meccanismi di discriminazione, ma se consultassimo gli antichi a questo proposito, cosa potremmo scoprire? Che queste discriminazioni hanno origini molto lontane. Nella democrazia greca della Polis del V secolo a. C., ad esempio, le donne non potevano votare nello spazio pubblico perché erano equiparate agli schiavi. E se tornassimo ancora più indietro, all’VIII secolo a. C., ci renderemmo conto che la prima donna mortale creata secondo il mito, Pandora, non ha fatto altro che distribuire per prima il male tra gli esseri mortali scoperchiando il vaso che li conteneva: questo è ciò che ci racconta Esiodo ne Le opere e i giorni. È facile, quindi, accorgersi che il sistema patriarcale di cui si parla oggi, così come i nostri comportamenti discriminatori nei confronti del genere femminile hanno, in realtà, radici molto antiche. Dato che poco fa parlavamo di viaggio, sarei tentato di dirti che è proprio questo il tipo di viaggio che propongo attraverso i miei podcast. Un viaggio alla ricerca del significato dei nostri comportamenti attraverso la storia, la letteratura e la filosofia.
Prima di prendere una posizione nel mondo cosa consideri sia saggio fare per rendersi saldi nel proprio sentire e efficaci nella propria pratica?
Non è facile prendere una posizione nel mondo. Hannah Arendt dice, nel libro Disobbedienza Civile, che chi sa di poter dissentire, sa anche che nel momento in cui non dissente sta esprimendo un tacito assenso. Ma per arrivare a una consapevolezza del genere, a me sono serviti tempo e meditazione. Approfondendo lo studio delle pratiche meditative tramite diverse fonti – dal monaco buddhista vietnamita Thich Nhat Hanh a Chandra Livia Candiani, passando attraverso maestri come Ramana Maharshi, Alan Watts, Marco Aurelio o Lao Tzu – ho colto l’occasione per aumentare la consapevolezza del dolore come parte integrante della vita e mi sono potuto concentrare sulla comprensione di tutto ciò che sta fuori di me. È stato un processo graduale, che è tutt’ora in corso. Sicuramente dedicare un tempo (anche minimo) e uno spazio (anche piccolo) a sé stessi ogni giorno ci consente di focalizzarci meglio su ciò che è importante per noi e su come ogni nostro comportamento crei delle conseguenze nella rete sociale dei nostri contatti, sia quelli a breve distanza che quelli a lunga distanza. Per essere efficaci nella propria pratica è necessario prima conoscere sé stessi, comprendere, frenare o favorire i propri pensieri e le proprie azioni e reazioni ad un evento o a un particolare pensiero. E poi è opportuno leggere, documentarsi, trovare fonti di informazioni attendibili e infine agire in base alla conoscenza che abbiamo acquisito rispetto a un fatto o ad una situazione.
Quali sono stati gli autori e le autrici imprescindibili della tua formazione?
I libri della mia formazione, quelli che ho divorato durante l’adolescenza sono stati:
Sylvia Plath con Lady Lazarus, Ariel, i Diari. Wislawa Szymborska con La fine e l’inizio. Anaïs Nin con Il delta di Venere. Emily Dickinson con le Poesie. Hermann Hesse con Il lupo della steppa, Siddharta e Il coraggio di ogni giorno. Jack Kerouac con Sulla strada e I vagabondi del Dharma. Hannah Arendt con La vita della mente e Vita Activa, Antonio Damasio con L’errore di Cartesio. Julio Cortázar con Rayuela. Virginia Woolf con Gita al faro. Fedor Dostoevskij con Le notti bianche. Ovidio con Le metamorfosi. Omero con Odissea. Marco Aurelio con Pensieri. James Joyce con Gente di Dublino e Ulisse. bell hooks con Il femminismo è per tutti.
Quali sono le difficoltà che trovi nel tuo lavoro di azione/divulgazione?
Le difficoltà che incontro hanno a che fare soprattutto con la ricezione del messaggio di Pro.Vocazione da parte degli uomini bianchi etero cisgender come me e delle transfemministe radicali. Le critiche che mi rivolgono più spesso sono dirette al fatto che sono un uomo e non posso capire le esigenze e la vita reale di una donna nella società contemporanea. Ma proprio perché non sono una donna ho messo in piedi un progetto come Pro.Vocazione dove l’approccio che mantengo non è verticale, bensì orizzontale. Intendo dire che non sono un uomo che dall’alto dei suoi provilegi dà voce alle donne attraverso la rivista, perché le donne sanno e hanno sempre saputo come rivendicare la loro voce e i loro diritti quando sono stati calpestati o silenziati. Sono, invece, un uomo che si mette in ascolto delle donne.
Un’altra critica che mi è stata rivolta è che io sia un figlio di papà che ha il privilegio di spendere dei soldi per produrre, stampare e distribuire Pro.Vocazione, ma anche qui l’errore è evidente. Sono uscito di casa a diciannove anni per frequentare l’università e lavoro da vent’anni a questa parte. I soldi che utilizzo per la rivista provengono dai miei risparmi personali e dalla piattaforma di crowdfunding che è tutt’ora attiva.
Nei laboratori di scrittura che proponi c’è una misconoscenza sulla quale ti imbatti molto spesso?
I laboratori che ho tenuto finora, ad esempio al MACTE e presso Libreria Barbarossa, sono laboratori di Pro.Vocazioni Urbane. Non sono veri e propri laboratori di scrittura perché non insegno scrittura creativa. Racconto, invece, il modo in cui viviamo le nostre città oggi attraverso i libri di Leslie Kern, La città femminista e di Caroline Criado Perez, Invisibili, e provo a instillare l’idea nelle partecipanti e nei partecipanti che le nostre esperienze urbane siano determinate dalla nostra identità di genere. Un’idea che di solito è invisibile agli uomini etero cis come me perché le esperienze degli uomini sono ritenute la “norma” e il cittadino urbano medio tipico di riferimento per la progettazione è sempre un uomo.
“Perché sono costretta a percorrere mezzo km in più per tornare a casa visto che prendere la scorciatoia è troppo pericoloso perché il parco che devo attraversare è poco illuminato?” si chiede Kern. E ancora, riferendosi a sé e al fratello: “Dubito che Josh sia mai rientrato a casa correndo e stringendo in mano le chiavi o che sia stato maltrattato per aver occupato troppo spazio con un passeggino. Dato che, oltre al colore della pelle, condividiamo religione, capacità, classe sociale e una buona parte del nostro Dna, devo concludere che quella di genere è la differenza che conta”.
Quando tengo laboratori come questi nelle scuole ricevo delle grandi soddisfazioni perché vedo che le studentesse e gli studenti hanno spesso il desiderio di raccontare le proprie esperienze positive o negative nella città in cui vivono e poi, dopo questa fase di raccolta di esperienze personali, risulta più facile provare a stilare una mappa scritta di urbanistica femminista, utile sia per progettare una ipotetica città ex-novo, ma anche per implementare con nuove idee una città che già esiste.
C’è una domanda che ti hanno fatto molto spesso?
Gli uomini mi chiedono spesso che senso abbia per un uomo definirsi femminista e se non mi sento ridicolo a dichiararlo in pubblico.
C’è invece una domanda che non ti hanno mai fatto, ma alla quale hai sempre desiderato rispondere?
Dato che la vita non è fatta solo di libri, azzardo a dirti che nessuno mi ha mai chiesto quale birra preferisco. La risposta è una birra ambrata. È quella che ordinerei mentre rispondo a qualcuno che mi volesse porre le domande di cui parlavo nella risposta precedente.
Un brano musicale
Loom di Ólafur Arnalds, sia il pezzo che il videoclip.
Un pasto
Gamberoni grigi e totani scottati in padella con pak choi e salsa di ostriche.
Un odore
Il profumo dei gelsomini.
Un luogo
Un sentiero collinare all’alba e al tramonto.
Un ricordo
Le estati dell’infanzia in vacanza con i miei genitori.
Un sogno
Riuscire ad applicare nella vita quotidiana la pratica dei 4 mantra di cui parla Thich Nhat Hanh nel libro Il dono del silenzio. C’è un breve video su YouTube a questo proposito di Thich Nhat Hanh che racconta la pratica dei mantra a Oprah Winfrey nella trasmissione Super Soul Sunday. È una pratica che si può applicare con qualunque persona con cui si ha qualche screzio. Io provo ad applicarla tutte le volte che qualcuno mi rivolge una domanda provocatoria riguardo a Pro.Vocazione, ma non sempre ci riesco.
Una persona
Zia Lidia
Davide è qui:
https://davidericchiuti.net/
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