28 Gen Attivismo e cultura antispecista: la poesia iperrealistica di Teodora Mastrototaro
di Nerio Vespertin
Avete mai visto un mattatoio?
“Sono luoghi lasciati fuori dagli agglomerati urbani. Il come accade quel che accade deve restare il più possibile nascosto. Tutte sappiamo quel che accade ma non il come”.
Con queste parole, pronunciate nel corso di una sua intervista per la radio, Teodora Mastrototaro, poetessa e drammaturga, nata a Trani e residente a Roma, ci porta dentro l’attualità di una di quelle grandi sospensioni della coscienza che è il processo produttivo alimentare industriale. Quella grande cornucopia tecnologica che produce alimenti, apparentemente nel benessere di tutti, ma che nella realtà nasconde orrori indicibili. Forte della sua esperienza pluriennale come attivista antispecista per i diritti per gli animali, la sua poesia si è da sempre prestata all’indagine di quel ‘come’ troppo spesso taciuto, affrontando senza compromessi il difficile tema del rapporto fra l’uomo e altre forme di vita senzienti. E a ben vedere, i suoi versi non hanno mai risparmiato il più piccolo dettaglio: in molte delle sue opere, lo sguardo poetico si posiziona all’interno di uno specifico passaggio di “lavorazione” della catena industriale, con una dovizia quasi scientifica nel ricostruire i processi meccanici e chimici sulla ‘materia prima’. Grazie all’uso di un linguaggio potente e crudo, le condizioni fisiche ed emotive degli animali sono rappresentate senza ipocrisia, restituendo alla sensibilità del lettore un’immagine potente e precisa. Grazie a queste e ad altre peculiarità del suo lavoro, Teodora Mastrototaro è andata consolidando in pochi anni una vera e propria carriera di “artista dell’attivismo”, rappresentando una voce significativa in ambito internazionale.
L’interesse della Mastrototaro per la sorte degli animali è un leitmotiv che attraversa tutta la sua carriera poetica, inizia nel 2009 con la raccolta “Afona del tuo nome” (La Vallisa), dove il tema della testimonianza e della necessità di farsi sentire traspare dietro ogni verso. Tuttavia, è nel 2020 che emerge prepotente la sua vocazione a dar voce a chi non ha possibilità di esprimersi: “Legati i maiali” (Marco Saya) è un libro crudo, scabro e diretto, eppure dotato di una bellezza unica, spietata ma essenziale. Quel che colpisce maggiormente è l’intensa capacità narrativa delle poesie che lo compongono: piuttosto che rimanere su di un registro indefinito, sfumato, al centro di ogni testo viene posta una particolare sequenza di lavoro del processo industriale. In questo senso, i versi attuano una cronaca puntualissima e scientificamente esatta di quello che avviene a un animale prima di essere ‘trasformato’ in cibo. La ferocia si traveste da efficienza ingegneristica o da principio d’igiene, ma nei versi della Mastrototaro viene rivelata per quello che è, rappresentando il dolore e la paura del punto di vista di quelle creature che vengono considerare solo come merce. La varietà dell’analisi del libro è notevole: con passaggi brevi ma esaurienti, scopriamo la frenesia di un allevamento intensivo di maiali (“In ogni scatola partorisce una madre/ interrotta nel rovescio della carne./ Il mio destino è avere fame”), poi la violenza automatizzata di un macello per bovini (“Ancora cosciente mi rivolti vivo nella vasca,/ l’acqua bollente rende tenera la morte./ Un paio di minuti è il tempo che ci vuole/ per far puzzare il cielo”). Per concludere infine con la visione soffocante delle vasche di acquacultura dove si allevano i pesci di vivaio. E’ una serie di immagini molto forti, non filtrate e proprio per questo meritevoli di attenzione. Il libro vale alla poetessa di Trani un discreto successo presso la critica, portandola in finale al premio Arcipelago Itaca e successivamente la vittoria al Premio Speciale Del Presidente Di Giuria al concorso Bologna In Lettere 2021.
A seguito, la sua voce si affina, portando a uno stile ancora più asciutto, ma sempre profondamente emotivo: con il suo terzo libro, “Zoologia abitativa” (Arcipelago Itaca, 2023), il tema della natura resta al centro dell’attenzione, ma declinato in un modo diverso, più intimo e familiare. Considerando la natura attraverso una prospettiva più ampia, vengono abbattute molte barriere culturali fra umano e non umano, creando parallelismi poetici di grade bellezza. Grazie soprattutto all’attento uso di accostamenti metaforici con creature selvatiche, la vita umana moderna perde i contorni claustrofobici e frenetici, tipici delle metropoli, per rivelarsi come un ciclo di stagioni dove le cose cambiano progressivamente. L’idea che anche l’essere umano, al pari di un insetto, possa cambiare, schiudersi in crisalide e rinascere a farfalla, affiora fra questi versi e regala una speranza di salvezza insperata. É il principio della vita che si rinnova e rinnovandosi, riconosce uguaglianze insospettabili fra l’impiegato e il serpente, fra la massaia e la lucertola, fra la moltitudine degli abitanti di una città e la miriade di creature che popolano una campagna. A differenza de “Legate i maiali”, in cui il tono era crudo anche perché frutto della corruzione di un luogo malato, qui il verso ha acquisito una delicatezza impareggiabile proprio perché l’ambiente in cui si posiziona la poetessa è più pulito e meno artefatto. Leggendo “Zoologia abitativa” si ha inoltre la netta sensazione che nella poetica della Mastrototaro si sia verificata un’emancipazione rispetto al primo impeto della denuncia, a favore di una ricerca esistenziale per cui ogni forma di vita risulti collegata. Ancora una volta il pregio dell’opera viene riconosciuto sia dalla critica che dal pubblico, valendo la Segnalazione al premio di poesia e prosa Lorenzo Montano 2022 per la sezione libro inedito. Ma l’impegno della Mastrototaro non si ferma alla sola poesia.
Al fine di creare una condivisione emotiva e psicologica più sentita, vicina ad un pubblico sempre più disinibito e disattento, è di recente sviluppo un progetto che porta la Mastrototaro a diretto contatto con i suoi ascoltatori, riducendo le distanze fra i versi e la loro interpretazione.
“Alcune inchieste giornalistiche sotto copertura hanno fatto emergere il come – prosegue nell’intervista radiofonica di cui sopra – anche attraverso la testimonianza diretta degli ex lavoratori dei mattatoi. Ecco, il come è quello che mi ha portato a scrivere ‘Il riflusso’. Un come fatto di dolore, rabbia e forse, una specie di incredulità. Che resta sempre davanti la banalità del male e il suo spregevole guadagno economico che calpesta le vite tutte”.
Con “Il Riflusso”, la Mastrototaro esordisce nella drammaturgia, con un’opera controversa e intensa, che negli ultimi mesi ha conosciuto un discreto successo di pubblico, sia a teatro che nelle rassegne di genere. Il monologo è frutto di testimonianze autentiche di alcuni ex lavoratori, fra cui Mauricio Garcia Pereira, ex dipendente del mattatoio più grande delle Francia (a Limoges), ora attivista per i diritti degli animali. Agli spettatori vengono gradualmente spalancate le porte dell’immaginazione per quello che avviene nell’industria della carne e con una voce a tratti ironica e leggera, a tratti cruda e d’impatto, vengono rivelati i dettagli peggiori. Il testo traduce fedelmente il punto di vista di Maria, lavoratrice sulla cinquantina, che vive la sua professione in un mattatoio pugliese con semplicità e motivazione, come una qualunque lavoratrice dei nostri tempi. A poco a poco però, durante l’intervista sul suo lavoro, emergono particolari terrificanti sulla sua “giornata tipica” e anche se all’apparenza Maria dà a intendere di vivere tutto senza problemi, nelle sue parole appare sempre più palese un profondo senso di malessere. Ecco, dunque, che le risate e i canti con i colleghi, nascondono il rumore dei macchinari e le grida assordanti delle bestie, mentre l’odore del sangue e delle viscere si fa talmente violento da provocare reazioni viscerali. “Davanti a simili scene – osserva la Mastrototaro – l’unica cosa che si può fare è sputare, perché il “riflusso” non cessa e non può cessare”. Ciò che colpisce e che progressivamente conquista il pubblico, è la proposta di un linguaggio nuovo, meno artefatto rispetto alla lirica e al verso. Il registro linguistico di Maria attua un felice esempio di realismo linguistico, avvicinando il personaggio all’ambito di una periferia italiana in cui tutti possono rispecchiarsi. Rinunciando alla ricercatezza delle metafore o alla complessità filosofica dei concetti, il testo de “Il riflusso” propone un’intimità semplice e profonda con i lettori e gli operatori dei macelli, suggerendo come quella ‘banalità del male’ sia un problema attualissimo di coscienza, dove nessuno può veramente chiamarsi indifferente. Un problema dove del resto, gli stessi carnefici sono spesso vittime dell’orrore che loro stessi sono costretti ad esercitare:
“Da attivista antispecista per i diritti animali la mia attenzione cade su questi ultimi (ovvero i lavoratori, ndr). È difficile dare una risposta perché l’emotività e il dolore riflesso della mattanza porta un insieme di reazioni che in qualche modo ci forma e informa. Bisognerebbe conoscere le loro biografie, sentirle raccontare da loro. Nei piccoli paesi spesso l’addetto alla macellazione è frutto di una normalizzazione della violenza, di nuovo, la banalità del male. Ci sono però persone che non trovano altro, persone che a loro volta sono state animalizzate”.
Intensi, provocatori, realistici: i testi della Mastrototaro si presentano come una rappresentazione della vita fedele alla sua crudeltà, con particolare attenzione alla cronaca più recente.
A chiusura di questo articolo, per gentile concessione dell’autrice, proponiamo una selezione di testi tratta da “Il piano finale”, testo di recente elaborazione che descrive un complesso di allevamento intensivo noto come ‘Pig Palace’, una triste realtà nella provincia di Hubei, in Cina, dove la struttura, per ridurre l’occupazione d’area, si sviluppa in altezza. Un vero e proprio palazzo su ventisei piani d’orrori.
Piano uno
Al maiale non importa
se il suo spazio è
al primo piano o al quinto.
Risparmiato il suolo
i fulmini sul grattacielo
fanno tremare le finestre.
Per tutto il resto
il cielo che cade.
*
Piano quattro
Nessun calendario
sul muro dell’ufficio,
è un conto alla rovescia
nessun maiale invecchia.
Piano sei
Disinfettate le gabbie
pulite le celle
operai igienizzati
è meglio crepare
seguendo la profilassi.
*
Piano otto
In piena vista
per essere nascosti
si occultano così
seicentomila corpi.
*
Piano tredici
I cuccioli
hanno la faccia grande
le zampe aperte
e un dolore da farne parte.
Quest’articolo fa parte della serie “Il quarto regno”.
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