Siccità

di Marcello Nucciarelli

 

Le pale del ventilatore smuovono a malapena l’aria, densa e appiccicosa.

Le dieci del mattino e già non si respira più. Simão si alza a fatica dalla sedia a sdraio, la tela sembra incollata ai pantaloni e una patina di sudore ricopre i braccioli. Dal portico getta un’occhiata attraverso la finestra: sua madre sta sfilettando le sardine sopra un’assicella di legno e muove appena le labbra.
Le strofe di una canzone o forse i versi di una preghiera. Il padre è nei campi a contemplare l’ennesimo disastro della siccità, di cui renderà conto a tavola, lo sguardo fisso nel piatto e la voce intorbidita dal vino. A passo indolente, Simão raggiunge il sentiero sterrato che conduce all’oceano. Si sfila la t-shirt e ne spinge due lembi sotto la cinta dei jeans tagliati al ginocchio; il sole gli brucia le spalle e rivoli di sudore gli scorrono lungo i fianchi. Osserva la terra riarsa dei campi che costeggiano lo stradello, spaccature larghe quanto una mano la striano ovunque.

Non piove da mesi, non piove più. Nemmeno la processione di due sere prima ha portato qualche beneficio. Padre Alfonso ha guidato i parrocchiani lungo le strade del borgo: un corteo di uomini e donne che imploravano la pioggia, ceri e candele accese sui davanzali di ogni finestra. E oggi il sole splende come ieri, come l’altro ieri e come le settimane precedenti. Simão non ricorda di aver mai visto la terra così secca. Poi quel pensiero gli smuove un sorriso: i ricordi di un sedicenne in fondo non sono gran cosa, ma quando lo dice nonno Joaquim giù in taverna, tra un bicchierino di aguardente velha e l’altro, la frase ha tutto un altro effetto. Lui di anni ne ha ottanta e tutti lo stanno a sentire quando racconta delle grandi siccità del passato.

Ha quasi raggiunto l’ultima duna che nasconde la caletta dove è solito fare il bagno, quando sente un borbottio alle spalle. Si volta e rimane abbagliato. I raggi del sole si riflettono su una moto che, abbandonato il nastro d’asfalto della statale, avanza lentamente nello sterrato sollevando una nuvola di polvere dietro di sé. A mano a mano che si avvicina, Simão sente aumentare quel borbottare cadenzato; intravede appena il guidatore, nascosto quasi per intero dal manubrio imponente. Non s’intende granché di moto, ma quella l’ha vista tante volte in tv. Che ci fa una Harley Davidson da queste parti? si domanda.
Il bolide color argento lo affianca procedendo a passo d’uomo; il riverbero sulle cromature luccicanti, ricoperte da un leggero strato di polvere, lo costringe a socchiudere gli occhi. Il motociclista è fasciato in una tuta di pelle nera e il casco
integrale gli nasconde il volto. Come farà a sopravvivere con questo caldo? pensa Simão. La Harley si arresta pochi metri più avanti, a ridosso della duna. Le marmitte continuano ancora per qualche istante a produrre il loro caratteristico scoppiettio, poi sul sentiero torna il silenzio, interrotto per un attimo dalla stridio di una coppia di gabbiani che si alza in volo. Il guidatore osserva il terreno e sembra chiedersi se il fondo reggerà il peso della moto, quindi sospinge il cavalletto laterale e mette finalmente i piedi a terra. Simão si rende conto solo allora di essere rimasto bloccato sul posto e riprende ad avanzare, senza riuscire a distogliere gli occhi da quella visione così inconsueta. L’uomo si sta togliendo il casco e lui s’immagina già di vedere spuntare una barba incolta.

Il pagliaio di capelli rosso fuoco scossi all’aria lo lascia senza fiato. È una ragazza, dall’incarnato roseo, la fronte alta e gli occhi di un verde brillante. Bellissima, come non ne ha mai viste. Avrà sì e no vent’anni. Posa lo sguardo su di lui, mentre abbassa la cerniera della tuta. Gli sorride. Sotto indossa soltanto una maglietta bianca e un paio di mutandine. Simão non sa dove posare lo sguardo.
«Olá!» dice lei.
Lui ha le labbra secche, fatica a disserrarle. «Olá» riesce infine a rispondere.
«Cos’è, non hai mai visto una ragazza?» gli chiede, mentre sfila gli stivali e muove qualche passo verso di lui, a piedi nudi.
Simão non riesce a distogliere gli occhi dai seni che gonfiano la maglietta. «Sì… certo» balbetta.
Lei gli è accanto, ormai. «Io sono Maria. Ti piace il mio destriero?» dice con uno sguardo intenso, che sembra entrargli
dentro. E sorride, sorride sempre. Non ha mai smesso da quando si è tolta il casco.
«Io mi chiamo Simão. Il tuo…?»
«Destriero, la moto. È un po’ come il cavallo per gli antichi guerrieri, no?»
Ride questa volta, rovesciando il capo all’indietro. Lui si perde in quella chioma rossa che sembra vivere di vita propria.
«Ah, sì. È molto bella.»
Con quattro passi di corsa, Maria scala la duna. «Vieni, andiamo a fare il bagno!» lo chiama dall’alto. «La sabbia scotta, spicciati!»
Simão scalcia le infradito e la insegue. Corrono a perdifiato lungo la spiaggia infuocata e la raggiunge soltanto sulla battigia. Lei sfila la maglietta e gli slip e si tuffa nuda tra le onde. Allibito, lui ci pensa un attimo e poi la imita: t-shirt, jeans e boxer volano sulla sabbia. Con quattro bracciate potenti è accanto a lei.

 

Mano nella mano, distesi all’ombra scarsa di un pino marittimo rachitico, osservano il cielo senza nubi che incombe su di loro. Simão non osa chiederle nulla, è Maria a rompere il silenzio.
«Da quanto non piove?» gli chiede.
«Da metà marzo, papà è disperato. Abbiamo già perso metà del raccolto e se dura così…»
Lei socchiude gli occhi, lui ammira il suo corpo splendido. Una ciocca rossa gli accarezza la spalla e Simão se ne sta immobile, per paura di perdere quel contatto. Si sente felice, come mai prima di allora.
«Devo andare» dice lei all’improvviso, rizzandosi in piedi.
«Dove?»
La domanda gli si strozza in gola, mentre la osserva rivestirsi. Maria si volta e sorride, tendendogli una mano. Simão si rialza e lei lo bacia. Un bacio casto, con le labbra che si sfiorano appena. Poi si avvia di buon passo e lui la segue, tentando di infilare i jeans con movimenti goffi. T-shirt e boxer sono rimasti sotto al pino. In cima alla duna lei si ferma ad attenderlo. Gli appoggia le mani sulle spalle e lo fissa. A lui pare di nuotare in un mare verde.
«Ti rivedrò?»
La voce gli si spezza; non sa come, ma conosce già la risposta.
«Nei tuoi pensieri, sempre.»
Simão rimane lì, con i piedi che affondano nella sabbia. Sente che non può fare nulla per trattenerla. Il borbottio della Harley gli sembra odioso, mentre la osserva diventare un puntino all’orizzonte.

 

«Una ragazza bellissima con i capelli rossi che guidava una Harley?» dice Martim sollevando il blocco motore di uno scooter. «Nessuno in paese possiede una moto del genere.»
«Sì, lo immaginavo. Ma nei villaggi qui attorno? Sei il migliore, lo dicono tutti. Vengono anche dalla città a portarti le moto da riparare.»
Il meccanico si pulisce le mani sulla tuta bisunta e accende una sigaretta.
«Di che colore era la Harley?»
«Grigia, lei diceva che era il suo destriero. Credo sia un cavallo.»
Martim strabuzza gli occhi, forse per il fumo. «E aveva gli occhi verdi?»
Simão fa segno di sì.
«Di’ un po’: da quant’è che non vai in chiesa?»
«Qualche anno, ma che c’entra?»
«Va’ a trovare Padre Alfonso» risponde lui e torna a chinarsi sullo scooter.

 

Il parroco ascolta la sua storia, poi lo fissa negli occhi, proprio come aveva fatto il meccanico.
«Vieni con me» gli dice. Padre Alfonso si ferma davanti a un quadro appeso a metà della navata. Simão lo osserva e sbianca. La tela raffigura un’amazzone dalla folta capigliatura rossa e gli occhi verdi, che in groppa a un cavallo grigio si lancia contro le mura di una città. Sul cartellino alla base del dipinto si legge: “La Vergine rossa sul suo destriero – anonimo del Settecento”.
«Rappresenta l’assedio di Lisbona del 1147, in cui i Crociati liberarono la città dai mori» dice Padre Alfonso. «La vergine guerriera è un personaggio leggendario, ovviamente. Devi aver visto il quadro in passato, oggi sei rimasto troppo esposto al sole e ti è sembrato di rivivere la leggenda. Capita, sai. Un buon sonno e domani ci riderai su». Simão non è riuscito ancora a riprendersi dalla sorpresa. Continua a fissare il dipinto, un’espressione di meraviglia negli occhi. «Si conosce il nome della Vergine, Padre?» mormora con un groppo alla gola.
«Maria. Non avevano una gran fantasia questi scrittori medievali, eh?» esclama il parroco con una risatina.

 

Simão si agita nel letto, con gli occhi sbarrati. Non posso averla sognata continua a ripetersi da almeno un’ora. Poi ode un colpo, la persiana che sbatte. Il vento, non sarà che… Si alza di scatto e corre alla finestra. In quell’istante il boato di un tuono sembra scuotere la casa. Un diluvio si abbatte sui campi. Simão sente accorrere gente, qualcuno grida al miracolo. Lui rimane lì a fissare il cielo squarciato dai lampi che lo illuminano a giorno. Nel balenio della tempesta una figura attraversa le nuvole gonfie di pioggia su un cavallo grigio.
O è una Harley?

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