06 Ago Toccarsi è vedersi
Toccarsi è vedersi
a cura di Ivana Margarese
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Questo articolo intende introdurre al tema della disabilità visiva in ambito educativo e stimolare una riflessione sulle potenzialità che possono offrire esperienze sensoriali capaci di ampliare la nostra idea di percezione, al di là della vista, indicata già da Aristotele nella Metafisica tra i sensi come il senso più importante. La vista, scriveva il filosofo greco, è l’organo più prezioso per la conoscenza e quello che in maggior misura contribuisce ai bisogni quotidiani della vita. Nonostante i tanti elogi contemporanei della lentezza e della percezione aptica, anche in ambito educativo siamo soliti affidarci alla vista per ricavare informazioni veloci e comunicare rapidamente. Tuttavia dal momento che le esperienze interpersonali influenzano il funzionamento della mente è rilevante che queste siano quanto più ampie e multiformi possibili e che alimentino coraggio e immaginazione nell’abitare all’interno di una comunità, scongiurando quella che Anna Maria Ortese definiva “l’infinita cecità del vivere”.
L’articolo raccoglie le voci delle assistenti alla comunicazione (Maria Grazia Arriva, Elisabetta Sapienza, Irene Castronovo, Piera Lanzetta) e delle OSS (Cinzia Mondello, Antonietta Causa) dell’Istituto per ciechi Florio-Salamone di Palermo, che hanno scritto una testimonianza corale del loro lavoro, della psicologa dell’Istituto Giovanna Virga, e una intervista alla tiflo-pedagogista Cristina Baggiano.
“Questo lavoro – dicono le assistenti alla comunicazione e le OSS dell’Istituto per ciechi di Palermo – è stato frutto di una pura casualità lavorativa piuttosto che dettato da una ricerca specifica. Proprio per questa ragione ci siamo trovate a vivere questa splendida avventura nel mondo dei non vedenti e abbiamo imparato tanto: il nostro filo di Arianna è stato proprio la “sensibilità” ‘che ha preso il sopravvento sulla nostra normale routine quotidiana, e ci ha permesso di comprendere un mondo nuovo. Il toccarsi, è in assoluto, un’ulteriore e fondamentale aiuto per i non vedenti, i quali si avvalgono di questo senso in loro particolarmente sviluppato per sostituire la loro vista.
I ragazzi riescono con la loro sensibilità tattile a riconoscere persino il colore di un vestito, oppure attraverso l’ascolto riconoscere uno stato d’animo che è sempre confermato dall’altra persona. In ambito lavorativo possiamo affermare che non abbiamo trovato difficoltà, bensì un continuo adoperarsi per la ricerca di un metodo che fosse quello più consono a loro”.
La nostra speranza è una sola, quella di poter continuare a lavorare con questi ragazzi il più a lungo possibile e ogni giorno riuscire a raggiungere anche un piccolo traguardo nell’apprendimento. La psicologa Giovanna Virga, non vedente, durante il nostro colloquio, sottolinea l’importanza dell’autonomia come obiettivo nell’educazione di questi ragazzi con cui lei lavora tutti i giorni sia in dinamiche di gruppo sia con colloqui individuali. Anche lei sottolinea l’importanza della manualità per percepire la realtà intorno. Ecco che all’interno dell’Istituto vengono svolte attività di giardinaggio, di cucina e di arte-terapia. Mentre racconta rifletto sul fatto che mi piacerebbe tantissimo che anche i miei studenti potessero fare questo tipo di esperienza, non soltanto nel periodo dell’infanzia, ma anche durante l’adolescenza, e che l’attività pratica non fosse separata dallo sviluppo delle capacità di astrazione e di pensiero.
Intervista a Cristina Baggiano
Comincio con il domandarti come hai iniziato a fare questo lavoro.
Nel 2009 mentre studiavo all’università ho deciso di frequentare un corso per assistenti alla comunicazione e c’erano dei moduli relativi alla disabilità visiva. L’anno successivo ho fatto il SCN presso l’Unione Italiana Ciechi e ipovedenti di Palermo. Così i miei contatti con le persone cieche e ipovedenti non erano più sporadici (in alcune esperienze di volontariato avevo avuto contatti con persone cieche) ma quotidiani. L’esperienza diretta e costante con loro mi ha portato ad approfondire i miei studi specializzandomi in questo settore, infatti ho conseguito un master sulle disabilità sensoriali e multifunzionali e sono diventata tiflologa per l’inclusione scolastica e da allora non ho più smesso di lavorare con la disabilità visiva sia in ambito scolastico che privato.
Vorrei sapere soprattutto cosa hai imparato attraverso il contatto con le persone ipovedenti e non vedenti.
Innanzitutto, desidero fare una premessa il cieco e l’ipovedente pur essendo entrambi disabili visivi hanno delle esigenze differenti che si basano sulle peculiarità che li contraddistinguono.
Lavorare con le disabilità sensoriali, in generale, mi ha permesso di guardare al mondo in modo diverso ovvero di sfruttare tutti i sensi. Pur essendo il mio stile di apprendimento dominante quello visivo, integrato in minor percentuale con quello auditivo, ho imparato a prestare maggiore attenzione al tatto e all’olfatto. La realtà che ci circonda non è fatta solo di luci e colori, ma è fatta di forme, texture e odori variegati e fare affidamento prevalentemente su un senso è altamente limitante.
Possiamo dire che toccarsi è un modo di vedersi?
Si, sicuramente perché avere una percezione aptica abbastanza sviluppata permette al disabile visivo di costruire delle rappresentazioni mentali fedeli all’oggetto tridimensionale e della realtà in questo modo potrà apprendere e orientarsi autonomamente.
Saramago in Cecitá scrive: “Non è solo la voce del sangue a non aver bisogno d’occhi, anche l’amore, che dicono sia cieco, ha da dire la sua”. E ancora: “Probabilmente solo in un mondo di ciechi le cose saranno ciò che veramente sono.”
Vorrei un tuo commento.
Quando amiamo, che tale amore sia per un figlio o per un estraneo, noi andiamo oltre all’aspetto fisico superficiale e ci lasciamo andare a sensazioni più profonde dettate da meccanismi psicofisici che ci travolgono in un turbinio di emozioni permettendoci di vivere i nostri sentimenti su una dimensione differente. Vivere in un mondo fatto di buio e ombre non penso possa rendere l’essere umano migliore poiché una delle nostre caratteristiche è quella di imparare ad adattarci e di modificare la realtà che ci circonda a nostro piacimento. Sicuramente, rispetto alla situazione attuale, non ci baseremo più sull’apparenza visiva ma ci saranno distorsioni di natura diversa dovute ai suoni e agli odori che si percepiranno.
Quali sono le difficoltà che incontri in ambito educativo e quali le tue speranze?
Le difficoltà principali che si incontrano in ambito educativo sono principalmente dovute alla poca conoscenza della disabilità visiva. Erroneamente si pensa che basti conoscere il sistema di letto-scrittura braille per poter possedere delle competenze idonee, ma non c’è credenza più falsa che mina il processo di apprendimento dell’alunno con disabilità visiva. Il braille rappresenta un metodo di accessibilità al testo indispensabile laddove l’alunno lo conosca già, ma nel momento in cui il bambino frequenta la scuola dell’infanzia o il primo anno di primaria oppure il bambino ha altre disabilità in comorbilità o ancora il bambino è ipovedente conoscere solamente il braille è pressoché inutile. È importante conoscere e saper lavorare sui prerequisiti del braille, incentivare l’utilizzo dei sensi vicari,
Conoscere le diverse peculiarità della disabilità visiva e i diversi ausili che siano tiflodidattici o infomatici-assistivi. Le mie speranze più grandi si possono riassumere con due parole: inclusione e accessibilità!
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