Le imperfette: May Sinclair

Le imperfette

DIALOGO CON EMANUELA CHIRIACÒ E PAOLA DEL ZOPPO

A CURA DI ERIKA NANNINI

Caricature of May Sinclair by Jean de Bosschere

Si riapre il dialogo tra la redazione di “Morel” e Emanuela Chiriacò e Paola Del Zoppo, curatrici di Le Imperfette. Storie di donne nell’Inghilterra vittoriana e post vittoriana, un progetto corale che recupera e valorizza dieci racconti, nove dei quali mai tradotti in lingua italiana, pubblicati su periodici inglesi tra il 1894 e il 1922, per riflettere sul contributo della narrazione nella comprensione delle questioni di genere, attraverso interrogativi personali e sociali nati in un momento storico in cui si assisteva alla ridefinizione dei ruoli e al consolidamento dei diritti femminili. La traduzione dei racconti è di Emanuela Chiriacò, curati in collaborazione con Paola Del Zoppo e Antonia Santopietro (ZEST/Literaria) per PE Editore. Emanuela Chiriacò e Paola Del Zoppo, ci parlano di “Lena Wrace” il racconto di May Sinclair compreso nella raccolta.

Da quel che riesco a percepire, questo momento storico è caratterizzato da un’intensa attività svolta da donne intorno al lavoro di altre donne, attività dedita alla loro riscoperta e rivalutazione. Anche “Le imperfette” è una ricerca mossa da questo intento, se non in assoluto, nel senso che la raccolta di racconti comprende anche uomini o donne che non hanno certo bisogno di essere rivalutate, come Virginia Woolf, lo è nella tematica, nell’ispirazione. Può mai essere vero che la leggendaria rivalità femminile che avrebbe impedito alle donne di fare rete e sostenersi, mostri qualche segno di cedimento? È cambiato qualcosa nella percezione dello sguardo femminile? Gli eventi più recenti (#MeToo, per citarne uno) sono bastati a cambiare la società svincolando le donne da uno schema scomodo?

 

E.C.: Nell’economia del progetto l’innesto de L’Associazione di Virginia Woolf è stato funzionale per due motivi precisi: il primo sicuramente dovuto alla coralità del racconto, un gruppo di giovani donne non sposate che si interrogano sull’operato maschile e stringono un patto di non filiazione finché non hanno scoperto come è fatto il mondo, e il secondo perché a Woolf si deve la consacrazione del modernismo inglese, sebbene utilizzi compiutamente lo stream of consciousness come pratica stilistica tre/quattro anni dopo la pubblicazione dello stesso racconto.

Ad eccezione di Woolf, forse solo May Sinclair e George Moore (autore del famoso Albert Nobbs) sono autori conosciuti, ma insieme al resto degli altri scrittori selezionati non hanno avuto la fortuna letteraria che avrebbero meritato.

Per rispondere alla tua domanda, che si manifestino segni di cedimento è più un auspicio che una realtà consolidata; credo che nello sguardo femminile la percezione di una sorellanza possibile stia prendendo piede ma la strada è ancora molto lunga. In fondo cosa manca a molte donne è lo sguardo solidale verso se stesse per un retaggio culturale maschilista ancora molto forte; una sorta di volontà di compiacimento del maschile (talvolta anche quello tossico) che permetta loro di sentirsi accettate. Credo che tutto ruoti attorno alla mancata autostima con cui molte bambine crescono e questo strappo emotivo è qualcosa che accompagna gran parte della loro evoluzione. In questo senso il racconto di Woolf fornisce la terza motivazione implicita della scelta che ho operato inserendolo; quando due delle protagoniste (Cassandra e Castalia) decidono di lasciare il lavoro di ricerca svolto in eredità ad Ann, la figlia piccola di Castalia, sono consapevoli che il loro status di sottomissione alla “superiorità” maschile non possa mutare e investono sulla generazione futura. Al passaggio di testimone simbolico nei confronti della generazione femminile futura si aggiunge anche un messaggio di speranza. Tuttavia, l’aspetto più importante che Woolf lascia emergere attraverso il racconto è la volontà di insegnare alla bambina a credere in se stessa. Base e fondamento della costruzione dell’autostima che può fare da chelante alla rivalità, alla gelosia e all’incapacità femminile di fare squadra; disvalori nutriti e amplificati soprattutto da atteggiamenti maschili.

Certo il #metoo ha scoperchiato una pentola che abbiamo sempre saputo bene cosa contenesse scatenando una serie di reazioni scomposte da parte dell’establishment maschile e maschilista della peggiore specie, che non intende cedere su comportamenti culturalmente radicati da sempre.

P.D.Z.: Credo che più che un’intensificazione di oggi siamo di fronte al risultato del lavoro di molti anni. Il #MeToo è stato un movimento significativo più per la sua forma di diffusione, la solidarietà tra donne è una realtà di sempre che troppo spesso è stata definita in negativo. A me pare anzi che la stessa idea che tra le donne ci sia rivalità (come se poi non fosse una questione umana, come se fosse una caratteristica “femminile”) sia una manipolazione categorizzante e in quanto tale sessista. In letteratura e nel mondo della letteratura questa attenzione al lavoro delle donne da parte di altre donne era evidente e potente già nei secoli passati. Ciò che ci viene raccontato è più spesso l’altro risvolto, perché più conveniente a molti. Molti dei passi cruciali delle varie conquiste anche rispetto ai diritti e alla giurisprudenza ottenuti nel Novecento hanno alla base grandi e incrollabili amicizie femminili, così come molti sviluppi del pensiero filosofico e letterario dell’Ottocento e del Novecento.

Kensington Womens Social Political Union May Sinclair Mary Amelia St Clair Sinclair 1910

May Sinclair è presente nella raccolta con il racconto intitolato Lena Wrace, pubblicato sulla rivista The Dial tra il 1921 e il 1922. Il personaggio principale, Lena, è una donna che potrebbe appartenere in tutto e per tutto alla contemporaneità. Ha quarantasette anni, una posizione sociale solida e la libertà di mantenere l’uomo di cui si innamora, tredici anni più giovane di lei, al di fuori di un vincolo matrimoniale. In questo personaggio c’è la rottura di molti tabù: il potere economico detenuto nelle mani della donna, la considerevole differenza d’età a sfavore della protagonista, la convivenza al di fuori di un legame ufficiale. In qualche modo è un quadro che riesce a essere scandaloso ancora oggi come se solo in piccola parte i diritti venissero conquistati con l’ottenimento di una legge che li sancisce, se poi la morale continua a condannarli. Può essere questo un ruolo della letteratura? Fungere da sutura tra le due posizioni di una ferita che non rimargina? 

E.C.: Nel racconto Lena Wrace, l’omonima protagonista è una donna ricca di famiglia, e il suo retaggio familiare (nel racconto si fa riferimento allo zio Weinberg) le permette di avere relazioni di prestigio; la più significativa con Lawson Young, ministro del gabinetto britannico nonché autore di una riforma delle tariffe doganali, prima di innamorarsi per la prima volta di Norman “Norry”Hippisley; Lena ha 47 anni e un piglio adolescenziale, e grazie alla sua superiorità economica, anagrafica, la sua relazione con Norry, quella che oggi definiremmo una normale convivenza, infrange una serie di tabù. Eppure la sua modernità non è sufficiente per permetterci di considerarla una New Woman compiuta, perché l’immaturità emotiva di cui è portatrice e vittima, la relega ad una condizione parodistica dello stesso ruolo.

C’è senz’altro una dicotomia tra conquista legale risicata e morale al candeggio con derive da pruderie, d’altronde abbiamo vissuto di recente tentativi politici di involuzione; e la letteratura è sicuramente uno specchio dei tempi, li racconta o li dovrebbe raccontare. Alcune volte non è in grado di rimarginare la frattura, altre volte fa pensare al kintsugi giapponese, ripara e colma vuoti riempiendoli con stimoli alla riflessione, il cui effetto si spera possa essere moltiplicatore.

P.D.Z.: La letteratura ha molte funzioni che trascendono la natura della scrittura in sé. Sicuramente nel tempo e ancora oggi ha anche questo. La rappresentazione di alternative possibili, cioè quel momento anche sempre metaletterario in cui l’immaginazione incontra la “finzionalità” è in molti casi uno stimolo allo sguardo critico. A volte questo stimolo può essere la riapertura di quella ferita, per presentare queste idiosincrasie morali. A mio avviso Sinclair – una delle più brave e consapevoli narratrici del suo tempo – se ha ritratto quella donna splendida e ne ha affidato la narrazione al punto di vista interno di un amico, sposta addirittura oltre la problematica: tra i due non c’è giudizio, ma una sorta di rimprovero continuo, famigliare, amicale in senso profondo. In positivo, si nota come condividano, donna e uomo, il riconoscimento della vera manipolazione; in negativo, non posso non pensare che forse la rappresentazione di persone così benestanti metta anche in scena il divario tra morale per ricchi e morale per poveri, questione peraltro presente in alcuni racconti di questa antologia.

Sinclair tratteggia Norman Hippisley, l’uomo di cui si innamora Lena, come un artiere di poco conto incapace di essere fedele alle proprie donne come a un’arte: “Scriveva tanto quanto dipingeva, recitava tanto quanto scriveva, e non era mai veramente appagato da un talento finché non l’aveva del tutto svilito.”. Questo quadro somiglia molto ad alcuni personaggi de La grande Bellezza di Sorrentino che, tra un cocktail e l’altro, affacciati alle più belle terrazze romane, parlano di recitare a teatro subito prima di decidere di scrivere un romanzo proustiano. Trovo interessante l’invarianza delle tipologie umane, l’archetipo che continua a tornare fedele a se stesso anche se intorno a sé tutto è mutato, è un nodo che chiede di essere sciolto e liberato dalla propria parodia? Sinclair ce lo mostra come il bambino indica il Re nudo? 

E.C.: Con questo racconto potrebbe sembrare che Sinclair abbia voluto proporre una critica sociale dei tempi in cui viveva, secondo Martha S. Vogeler voleva ritrarre Ford Madox Ford, considerato uno scrittore senza successo, e la sua amante, la scrittrice e attivista, Violet Hunt. La sua in realtà non è una denuncia morale tout court, se consideriamo che un anno dopo la pubblicazione di Lena Wrace, Sinclair dimostra particolare attenzione al lavoro di Hunt.Per Sinclair, maestra del realismo psicologico, la letteratura non può prescindere dalla costruzione e rappresentazione dell’essere umano animato da pulsioni e desideri inconsci. Come Charlotte Brontë, si preoccupa delle tempeste della vita intima dei personaggi che ritrae, e ne lascia emergere contraddizioni e fragilità.

P.D.Z.: A me Norman ha fatto pensare a molti altri personaggi anche meno innocenti dell’accidioso protagonista di Sorrentino. Mentre lavoravo sul testo mi sono tornate alla mente diverse rappresentazioni di uomini vigliacchi e manipolatori, in particolare di uno sgradevole eppure umano personaggio di Girotondo di fanciulle, un bellissimo racconto di Lou Andreas Salomé, forse perché è parte di un’altra raccolta a cui lavoravo, in cui un uomo decide di “guarire” una giovane donna dalla sua tendenza all’emancipazione; ma anche dei personaggi più palesemente malvagi eppure socialmente scaltri, come il terribile cialtrone assassino di Torno presto di James Barlow, o di alcuni personaggi di Daphne du Murier, o, ovviamente, i manipolatori di Patricia Highsmith. Mi sembra cioè che la dinamica messa in scena da Sinclair sia più quella ritratta in molti “gialli” di Agatha Christie, di cui tendiamo a ridimensionare la portata critica e terribilmente unheimlich della visione di una società addomesticata che assimila, coinvolge, valorizza e giustifica i carnefici finché non è troppo tardi. Dunque Sinclair addita tutti e non il singolo, e mostra lei a noi il Re nudo giocando sulla nostra – e dei lettori suoi contemporanei tendenza (o anche forse desiderio?) di scindere questa cattiveria e violenza pervasiva maschile composta anche di vigliaccheria e pigrizia da altre violenze e dall’organizzazione sociale che di esse si nutre. E che ci induce a leggere Agatha Christie o May Sinclair come addomesticate o irrealistiche.

I sentimenti ci rendono vulnerabili e l’amore rende Lena, una donna bellissima, emancipata e sicura di sé, sospettosa, gelosa, febbrilmente disperata, preda del terrore di un abbandono sempre incombente e, a maggior sfregio, minacciato da un uomo di scarso valore. Sinclair che nel 1912 era intervenuta per smentire le teorie promosse da Sir Almroth Wright secondo cui le suffragiste erano mosse dalla frustrazione sessuale causata dalla mancanza di uomini ci racconta una donna che, al contrario, cede all’isteria per la presenza troppo ingombrante di un uomo. In qualche modo preconizza l’evoluzione dei rapporti sociali dove scelte di solitudine sono sempre più frequenti. Si può dire che un effetto delle battaglie a cui partecipò Sinclair in prima persona è l’emancipazione della donna anche dalla sua stessa spinta biologica?

E.C.: In Life and Death of Harriett Frean (1922), Sinclair mette in luce due aspetti contrastanti eppure interconnessi con il materno, vale a dire l’idealizzazione vittoriana della maternità, e la descrizione della crescita dei figli, il lato oscuro e represso della maternità vittoriana. Ecco perché colloca le donne in situazioni sempre diverse e problematiche, mossa dal desiderio di un cambiamento sociale radicale di per sé problematico e in conflitto con il codice prestabilito e idealizzato dell’identità femminile, cercando però di collocarle al di fuori del paradigma figlia-moglie-madre. Sinclair ci parla di sublimazione, cioè di uno spostamento del desiderio da un oggetto scomodo o su cui non vale la pena concentrarsi per uno più comodo e calzante: lo slittamento tra “the mothering of children” e “the mothering of texts”. In The Creators (1910) con il personaggio di Nina Lempriere, Sinclair parla dell’essere un artista donna in un mondo marcatamente maschile. Il personaggio di Nina non a caso è contrastante; è una donna forte e autosufficiente animata da passioni e desiderio sessuale e pur apparendo simile ad un uomo nel carattere, è anche vulnerabile. Nel tentativo di sciogliere questo dualismo, Sinclair rende Nina la consapevole rappresentazione dell’androginia e, come l’Orlando di Woolf, può essere vista come la quintessenza dell’artista.  È proprio l’androginia a liberare Nina dalla femminilità che la tiene prigioniera, permettendole di scrivere e di diventare infine un’artista di successo. La sua esperienza ci dice che non c’è posto per una scrittrice in un mondo androcentrico; sarebbe naturalmente destinata al fallimento. L’uso di un linguaggio violento è la prova della mascolinità di Nina, del fatto che possegga qualità simili a quelle di un uomo, le uniche che le permettono, per contro, di rafforzare il suo io femmineo. Quella di Sinclair, e per estensione di Nina, è una potente protesta contro l’ipocrisia di un mondo che promuove il maschile a norma di pensiero e relega il femminile ad un costante esercizio di inferiorità. Per diventare esseri sociali, le donne dovevano identificarsi con l’ordine simbolico maschile ed accettare i significati e i valori del patriarcato. Solo così una donna poteva interiorizzare gli ideali maschili della competizione, dell’aggressività e del potere per ottenere successi e riconoscimenti. Ecco perché Sinclair pensava che negare la maternità alle donne dotate di spinta biologica, sarebbe stato nocivo; quindi la sua scrittura e le sue battaglie ci dicono che ogni donna deve seguire la sua istintiva forza vitale.

P.D.Z.: Se per spinta biologica intendiamo la procreazione, per molto tempo il lavoro sulla “non necessità” di essere madri per essere donne è stato al centro del dibattito femminista e femminile. Come ho accennato nel saggio a postfazione del testo, la resistenza al rito di passaggio in quanto tale, una resistenza creativa, attiva e nonviolenta, in ultima analisi, è al centro di diversi testi tra quelli presentati. Al giorno d’oggi è evidente che le teorie di Wright sono ridicole, come d’altro canto appaiono superate e difficilmente applicabili molte concezioni psicosociali anche freudiane, che però hanno improntato il pensiero novecentesco anche sul rapporto fra i sessi. Sinclair certamente ragiona su queste problematiche e si spinge anche oltre: ridimensiona il luogo comune della costruzione dell’identità e dei rapporti sociali basati su una falsa spinta biologica, l’atto sessuale e l’“attrazione sessuale”; mette in scena la falsità dell’idea di una “solitudine” misurata sulla presenza di un compagno/ compagna; fa riflettere sull’amicizia tra uomo e donna, su cui ancora viviamo di luoghi comuni proprio anche per la difficoltà a combattere battaglie comuni. Inoltre, non c’è in questo testo una condanna del sentimento amoroso, ma dell’inganno perpetrabile proprio in base a manipolative concezioni di “natura” femminile e maschile.

 

May Sinclair con il suo gatto.

In passato ho avuto l’opportunità di trascorrere molto tempo accanto a un artista nel pieno della sua forza creativa, una potenza sostenuta da una risposta di mercato che può definirsi sicuramente rara, e una considerazione che spesso abbiamo fatto insieme è che senza le opportunità che il consenso gli conferiva – soldi da reinvestire nella sua ricerca e una fiducia sostanzialmente illimitata nelle sue potenzialità – tanto del suo lavoro non avrebbe visto la luce, nemmeno sarebbe stato concepito. Partendo da questa considerazione devo ammettere che quello che si sta facendo oggi per restituire luce al lavoro dimenticato di tante donne a me sembra la ricerca della punta dell’iceberg senza iceberg. Quel che possiamo fare oggi mi pare non sia restituire il giusto posto a un lavoro marginalizzato, ma ipotizzare, da tracce residuali, tutto quel che non ha avuto luogo.

E.C.: La punta dell’iceberg senza iceberg è uno spazio aereo e nebuloso tra il marginalizzato e l’in-compiuto? Sì, se penso che un editore come Alessandro Laterza posta un tweet per affermare che essere scrittori è altro dal saper scrivere bene, lo cito: “è avere uno ‘stile’, un proprio uso del lessico, sintassi, figure retoriche, ecc. Trama, personaggi, soggetto sono marginali.” E cerca lumi sulle scrittrici italiane contemporanee perché per sua lacuna si ferma a Ginzburg e Morante (poi si è scusato per l’uso improprio delle parole, e ha aggiunto solo Ortese). Senza gli strumenti adatti qualcuno potrebbe credere a quello che dice, cioè che quel “letterario” non abbia avuto luogo; io credo invece che non abbia avuto lo spazio che merita per essere conosciuto e apprezzato. La batofobia letteraria femminile di Laterza, e di tanti come lui, è in linea con il processo negazionista del femminile letterario delle antologie scolastiche, già lacunose di loro nell’impianto generale oltre che gravemente colpevoli di queste morti letterarie bianche che relegano le scrittrici all’esercizio fantasmatico del fine riconoscimento mai.

P.D.Z.: Il mio lavoro di ricerca e, come editor, di ricollocazione editoriale e letteraria di testi è legato proprio a ciò che scrivi qui. Non si tratta ovviamente solo della scrittura delle donne, ma di scritture di donne e uomini trascurate perché scomode, o viste come fuori moda, o non collocabili accanto ad altre scritture sia in traduzione che nei paesi di provenienza. Qui l’operazione di scelta così ben strutturata da Emanuela Chiriacò e Antonia Santopietro guarda alla ri-presentazione di opere di autori e autrici conosciuti e meno conosciuti, e già la giustapposizione e il collage che non si basano su una “fama” mai correttamente desunta dalle presenze e assenze nell’editoria evidenzia l’importanza di queste operazioni anche dal punto di vista critico. Stiamo di fatto parlando di canoni e dei cosiddetti “contro-canoni”, parola che però non si pone secondo me sul giusto livello dialettico. I canoni “nuovi”, o “rigenerati” sono frutto del lavoro di ricerca di tanti, ricerca che spesso a fatica può essere portata avanti. Letterature “dei margini”, di outsider politici o letterari, persone emarginate, e anche delle donne, devono essere riportate al pubblico dei lettori, più che degli specialisti, tramite operazioni rigorose ed evitando ghettizzazioni. Mi rendo conto però, per esempio, che delle ricerche sulla letteratura scritta da donne se ne occupano più donne che uomini, un po’ perché non è una vera categoria – come spesso non sono le categorie letterarie a posteriori definite – un po’ perché è un insieme di testi composito ma spesso strumentalizzato, sottratto a un’analisi critica “alla pari”, di carattere estetico narratologico, ad esempio, o di impostazione filologica e/o teorica oltre che socio-letteraria. Credo che in questo possa funzionare, sul medio periodo, un procedere della teoria e della critica davvero “insieme” alla pratica editoriale, alla riflessione sulla lettura e sul pubblico della letteratura e dell’arte, potenzialmente universale.

No Comments

Post A Comment