07 Gen PER.SEO
PER.SEO
Racconto inedito di Giuseppe Grafo Cinà
Fotografie di Giuseppe Grafo Cinà
Brano musicale “Medusa” di Mario Bajardi (Ascolta)
Nero.
Scorre sul bianco.
Traccia un segno continuo che si allunga su una traiettoria sinuosa, avvitandosi a tratti su se stesso.
Altre ciocche serpeggiano caoticamente da un nucleo comune, formando un groviglio nero come il male.
Fuoriescono a raggiera dai confini del candido cuscino, e si animano nel seguire la testa che comincia a muoversi lentamente per tirarsi su.
Strisciano per un po’ sul tessuto, ne avvolgono le forme, poi lo abbandonano continuando a volteggiare nel vuoto, senza cedere del tutto alla gravità.
Ora la testa è eretta e colpita obliquamente da una lama di luce che fende la penombra della stanza.
Per un po’ la testa ondeggia leggermente in più direzioni, accompagnata dai riccioli scuri e scomposti che non arrivano alle spalle. Sul fronte sbocciano a piccoli battiti due vitree fessure verdi accese dalla luce che le penetra dai lati.
Dal buio lo sguardo luminoso ma spento si perde nel vuoto.
La stanza in penombra è immobile, pietrificata.
Una intensa vibrazione spezza la staticità con due brevi scosse: lo schermo dello smartphone si accende per terra tra i cumuli di vestiti che occupano il pavimento come sagome di un terreno roccioso.
Gli occhi, dalle fessure, ruotano in quella direzione fino allo schermo, dove si legge un nome maschile. Puntano il nome, si aprono del tutto, poi un agile balzo in avanti e la mano afferra il dispositivo. I movimenti scattanti delle dita aprono la notifica dell’applicazione, selezionano il nome e velocemente toccano l’icona del lucchetto.
Emette un sospiro e resta in piedi tra i cumuli.
Lancia lo smartphone sul letto, facendolo rimbalzare. Poi lentamente, quasi strisciando, raggiunge la finestra e alza un po’ la serranda, appena un palmo, quel tanto sufficiente a illuminare la stanza senza cacciare del tutto il buio. Resta ferma lì, nella stessa posa, in attesa di abituare quegli occhi troppo chiari alla luce; poi riprende ad alzare molto lentamente la serranda, riempiendo di sole la stanza. Tutto si illumina, le tenebre sparite.
Altri tre passi la portano davanti all’ampio specchio, sull’anta dell’armadio. Qui si arresta, immobile, a circa un braccio dalla sua immagine riflessa.
Lo sguardo è fisso sul suo corpo nudo.
È perfetta, Medina, come disegnata. Ne è consapevole: ama contemplare le sinuosità che le appartengono.
Gli occhi vagano lentamente sulle forme proporzionate della sagoma. Poi si posano sul vello scuro del pube, che si staglia con irruenza contro la pelle marmorea. Resta a fissarlo con sguardo neutro. La mano si alza lenta e vi si posa su. Le dita centrali premono leggermente, finché quello maggiore affonda sotto il manto nero ed entra in contatto col sesso. È caldo e pulsante. Sente la carne, e sente le dita.
Lo sguardo torna sul viso, un disegno anche questo. Gradualmente la bocca si estende, forma un sorriso, quasi un ghigno. Le dita sul sesso premono con più forza, fino a procurarle piacere. Tornano vive le sensazioni dell’incontro sessuale della sera prima. Gli occhi si chiudono, la testa va indietro, il ghigno continua a estendersi fine a scoprire i denti, senza che questo ne alteri la perfezione estetica.
La sua bellezza è accecante. Ne è accecata lei stessa, da tempo, privata di mandare il suo sguardo oltre. Una bellezza che l’ha resa un mostro, bellissimo, che miete vittime per il suo piacere, uomini su uomini, ammaliati dal suo sguardo e abbandonati dopo il suo soddisfacimento.
Era diventata bravissima a misurare le informazioni di sé quel tanto utile a finalizzare l’incontro ma insufficiente per essere rintracciata. Poi non restava che bloccarli dalla sua dating app e sparire come un fantasma, lasciando pietrificati gli illusi amanti di una notte che dal paradiso cadevano dritti all’inferno.
«Guardami. Guardami ancora… I tuoi occhi… Si, sono una droga…», le ripeteva Mauro la sera prima tenendole il viso tra le mani mentre lei dondolava con grazia il suo bacino su di lui, ignaro del fatto che era solo uno sguardo di autocompiacimento.
Davide, prima di Mauro, aveva rifiutato di posizionarsi dietro per non perdersi l’incantesimo di quei fari verdi.
Fabio invece, dopo averle chiesto di chiudere gli occhi, aveva provato a leccarglieli; lei ne fu estremamente irritata e si ritrasse di scatto, come toccata nel suo punto debole. «Non sono mica una gatta, stronzo!», gli disse prima di rivestirsi e scappare via.
Aveva raccolto una lunga la lista di vittime, di uomini, ma nessuno di questi occupava i suoi ricordi, se non in qualità di specchi che la rimandavano a varie pose di sé.
Incantata dal suo riflesso, di fronte all’armadio, dopo un po’ tornò in sé, si rimise sul letto, e aprì la preziosa dating app. L’utente in chat usava l’username PER.SEO, era un tipo particolare, di poche parole. A differenza degli altri, le aveva chiesto di vedersi in pieno giorno in un bar poco conosciuto. Era uno spagnolo, di passaggio per qualche giorno, la merce migliore, secondo le sue abitudini: annullava il rischio di richiesta di un secondo incontro, o di incontri fortuiti e indesiderati.
Medina arrivò al bar strategicamente in ritardo di quindici minuti, e non per il piacere di farsi attendere, ma per il piacere di essere guardata mentre si avvicinava, come fosse la passerella di una sfilata fintamente imprevista. La gonna bianco avorio, lunga fino alle caviglie, formava dei drappeggi animati che trasformavano la sua lenta camminata in una seducente danza orientale. Un abbigliamento poco appariscente, anche questo calcolato, per provocare una reazione di stupore quando i veli sarebbero caduti.
Eliseo la riconobbe da lontano e le andò in contro col suo sorriso accogliente: «Ciao Medina, sono Eliseo. Perez Eliseo», prendendole la mano e dandole due baci sulle guance. Lei era abituata al contatto fisico con un estraneo, ma quel saluto così confidenziale la spiazzò. Si limitò a rispondere al saluto, e poi un ambiguo: «Allora? Cosa vogliamo fare?».
«Ci sediamo per un succo, no?»
«Ah… sì, certo.»
Si sedettero al tavolino in dehor, l’uno di fronte all’altra, come in un duello.
Lui, non bello ma affascinante, aveva già qualche linea bianca tra i capelli scuri, la pelle leggermente abbronzata, e gli occhi neri e profondi. Del suo abbigliamento molto composto e formale spiccavano ai piedi delle grosse e appariscenti scarpe da basket rosso acceso. Il contrasto con la camicia grigio scuro e il pantalone nero era bizzarro, ma nel complesso gradevole.
«Belle queste naik. Giochi a basket?», gli chiese lei.
«Niche… si dice niche. O almeno io preferisco chiamarle così… come la dea alata della mitologia greca», volle premettere lui per introdurre il valore speciale che dava a quelle scarpe. Poi continuò: «Mi danno una sensazione di estrema libertà, quasi come volare per l’appunto. Ma non gioco più a basket da diversi anni ormai».
«Ah, ma allora cos’hai in quel borsone?»
«L’occorrente per ucciderti e farti a pezzi», rispose lui, secco.
Dopo un silenzio di qualche secondo che sembrò però interminabile, scoppiò a ridere, e svelò: «C’è la mia attrezzatura fotografica, puoi stare tranquilla».
Lei restò in silenzio, come perplessa, in realtà simpatizzava già con l’idea di farsi fotografare. L’obiettivo fotografico è un occhio speciale, in fondo: non si ferma allo sguardo ma rende immortale il soggetto.
Lui, invece, credeva che la fotocamera avesse suscitato l’effetto opposto: «Non preoccuparti, non voglio fotografarti… Ne fotografo già tantissime di ragazze, per lavoro».
«Ah! Che ragazze? Immagino siano belle ragazze…»
Eliseo stava per rispondere di scatto, poi si bloccò, scelse la sincerità: «Mi spiace ma non saprei risponderti».
«Ovvero? Non sono belle?»
«Mah, probabilmente sì, il fatto è che non riesco più a distinguerle. Se tutte sono belle, nessuna lo è.»
«Scusa ma non ti seguo», disse perplessa lei.
Lui si prese un momento, spostando lo sguardo, poi tornò su di lei e rispose: «Cos’è la bellezza? È forse un bel corpo? Un bel viso? Se è così, io non riesco più a vederli. Ho fotografato migliaia di belle donne in giro per il mondo, ne ho viste veramente di ogni tipo in più di vent’anni di fotografia di moda. Sono assuefatto, ormai, non mi fanno più alcun effetto. Sono diventato insensibile alla bellezza fisica, immune. Non la vedo più.»
Quelle parole misero in crisi la ragazza. Non si era mai scontrata con l’ipotesi di non essere desiderata per il suo aspetto, di non essere vista. Il suo sguardo non avrebbe avuto alcun potere: quell’uomo l’aveva disarmata. Era visivamente confusa e disorientata.
Eliseo provò a spiegarlo con altre parole: «Se un uomo vivesse soltanto di giorno, senza mai incontrare la notte, non avrebbe bisogno di distinguere il giorno. Tutto è giorno, sempre. Il giorno è bellissimo, ma lui non se ne accorgerebbe. Poi forse lentamente potrebbe stancarsene, fantasticare su altro, desiderare qualcosa di diverso dalla condizione diurna. Forse potrebbe addirittura immaginare le stelle pur non avendole mai viste né concepite. Tuttavia non potrebbe sapere che, al di là di quel cielo azzurro, gli astri della sua immaginazione esistono anche nella realtà. E se una volta andasse oltre il giorno, se attendesse fino al buio, scoprirebbe non solo la magia delle stelle, ma anche la bellezza del giorno, in alternanza alla notte».
Lei esitò un attimo. Poi quasi sovrappensiero rispose: «Capisco», ma stava ancora riflettendo su quelle parole spiazzanti.
Eliseo trovava qualcosa di misterioso in lei, non riusciva a leggere cosa ci fosse dietro quei verdi occhi spenti. Uno sguardo impenetrabile, che aveva qualcosa di pietrificante.
«Ma parlami un po’ di te, vorrei tanto ascoltarti», chiese lui spiazzandola.
Medina si trovò impreparata a quella richiesta. Era abituata agli altri uomini, che di solito scavalcavano questa modalità di incontro, miravano più ai fatti che alle parole, all’azione più che all’ascolto. Si stupì di non saper rispondere a una domanda tanto semplice.
«Ho due sorelle. Più grandi… Poi… vado in palestra… sì, tre volte a settimana… E poi… poi mi piace dormire», provò a rispondere, con gran difficoltà.
Eliseo trovò del tenero in quella risposta, non riuscì a trattenere un sorriso. Poi disse: «Tutto qua? È questa Medina?». E mantenendo il sorriso: «Potrei farti un elenco infinito di tutti quelli che hanno sorelle, vanno in palestra e amano dormire. No, io vorrei sapere di te, cosa ti rende Medina… Tu mi parli del giorno, io voglio esplorare la notte. Parlami del tuo cielo notturno, mostrami come vedi le tue stelle».
Medina chiuse le braccia al petto e si voltò di lato. Continuava a non capire quell’uomo. Tutte quelle domande, quelle parole. Non bastava il suo aspetto, la sua bellezza?
Eppure Isidoro, quel ragazzo maggiorenne di cui era stata innamorata al terzo anno delle medie, era stato chiaro; quando un giorno, all’uscita di scuola, le aveva rubato la verginità prima di accompagnarla a casa, aveva detto: “Non credere che io voglia stare con te, l’ho fatto solo perché sei di una bellezza irresistibile”.
La sua idea di amore era quella. La portava avanti da allora, quella stessa dinamica appresa a tredici anni. E ora uno sconosciuto le sconvolgeva quell’abitudine tanto comoda. Parlava del giorno, della notte, di cose “invisibili”, le chiedeva di tirar fuori cose che nemmeno lei sapeva dove cercare.
Eliseo continuò: «In molti paesi orientali c’è la credenza diffusa che la fotografia possa rubare l’anima al soggetto ritratto, come se l’essenza di questo restasse imprigionata nell’immagine. Avrei raccolto le anime di migliaia di donne, ma la verità è che l’obiettivo della fotocamera è come un occhio: si ferma alla superficie. Un bravo fotografo potrà forse riuscire a raccontare qualcosa in più del soggetto ritratto, conoscendolo a fondo, ma una fotografia mostrerà sempre solo la superficie di un soggetto. Non mi interessa più fermarmi a questa, non mi basta più. Voglio andare oltre. La superficie senza l’essenza è un’illusione vuota ed effimera. Non voglio fotografare l’ennesimo corpo, voglio ascoltare la tua voce. Se ti va di parlarmi, io sarò felice di ascoltarti».
Medina ascoltò fino alla fine con lo sguardo basso, perso nel vuoto.
Non aveva mai nemmeno ipotizzato l’esistenza di qualcuno interessato ad ascoltarla, aldilà del suo corpo. Era contrariata. Attratta e impaurita allo stesso tempo. Ma qualcosa si sbloccò dentro lei, come un meccanismo mai avviato. Si era azionato un ingranaggio in profondità, che avviò una catena di leve e rotelle sommerse, attivando una vibrazione intensa. Sentì delle corde interne cominciare a suonare una musica vitale e trascinante, che non aveva mai sentito.
In silenzio alzò gli occhi, svelando un’aria nuova, uno sguardo non più spento ma acceso da una luce viva, animata.
Poi, con incertezza, tirò fuori una voce timida: «Mi chiamo Medina… ho ventisette anni… e non so nulla dell’amore».
Biografie
Giuseppe Cinà è un designer palermitano, conosciuto anche come “Grafo” dalla sua esperienza nella street art nel decennio degli anni ’90, esperienza che sfocerà nella scenografia e l’illustrazione, e poi nella grafica, la fotografia, il design. La passione per le diverse forme di creatività viene riconosciuta con la premiazione e la pubblicazione di alcuni suoi lavori fotografici e di design (tra cui: Sara young designer award, Domus Academy; Bag-pack, Comieco; Immagini precarie, Ist. Arrupe). Dopo la laurea in design, e varie collaborazioni con studi creativi siciliani, intraprende un progetto di autoproduzione con una linea di prodotti da lui disegnati, che dal 2015 al 2017 verranno selezionati per numerose mostre e pubblicazioni di settore (tra cui: Farm Cultural Park, Biennale della Ceramica Siciliana, Tao design). Nel 2016 è ospite del Fuori Salone durante la design week milanese col progetto “Smooth Kami” realizzato nel corso della residenza “Think Tile”. Attualmente svolge la sua regolare attività di designer presso una nota azienda siciliana. Per Morel, voci dall’isola, ha realizzato il logo ed è curatore della parte grafica.
Il percorso formativo di Mario Bajardi lo porta a diplomarsi in violino presso il Conservatorio di Caltanissetta, per poi dedicarsi agli studi di musica elettronica fra Catania e Palermo. Qui cura il relativo laboratorio del Conservatorio “V. Bellini”; in seguito l’attività di docente lo vede impegnato anche con il Centro Sperimentale del Cinema, il Liceo Musicale Regina Margherita, l’Università degli Studi e l’Accademia di Belle Arti. Nel 2001 è finalista dell’International Competition of Electronic Music Pierre Shaeffer. Unico vincitore italiano con “BJM Violin Studio 7” all’ICMC 2002 di Goteborg, con “BJM Piano Studio” si aggiudica invece il concorso Luigi Russolo 2004 e il CEMAT 2005. Nel 2006 è scelto per il disco “Electroacoustic Music from Sicily” prodotto dalla EMF di New York, mentre nel biennio successivo crea la comunità di artisti “Insemina” e l’omonimo programma tv. Le sue note fanno da sfondo a numerosi eventi nel corso degli anni, tra i quali il festival internazionale Musica d’Alta Quota, il Palermo Film Festival e il Festino di Santa Rosalia. A questi si aggiungono il primo videomapping in Sicilia e alcune installazioni realizzate per l’Accademia. La sua particolare inclinazione per colonne sonore, documentari e produzioni multimediali fa nascere collaborazioni proficue con tanti registi fra cui Roberta Torre, Salvo Cuccia, Giuseppe Carleo, Giuseppe Gigliorosso, Sergio Cannella, Sigfrido Giammona, Ruben Monterosso e Federico Savonitto, Alessandro Ferrara, Moscò, RosaMundi, insieme a qualche esperienza oltreoceano tra New York (“An Internet World”, Carlo Fiorletta/ Mara Lesemann) e Los Angeles (“Sweetheart”, M.A. Pate, assistente di Quentin Tarantino). Nel 2016 scrive musiche inedite per “Sgalambro” di Mario Bellone e Marcello Faletra e “Vedozero” di Andrea Caccia. Le sue musiche sono state presentate alla Biennale di Venezia 2017 grazie alla collaborazione con WISH/BIAS e Rosamundi nel padiglione Iraniano. Nello stesso anno pubblica il suo ultimo lavoro CD “SCHENGEN” che sarà rappresentato con una performance live ed una mostra permanente all’interno del Museo Riso di Palermo. Nell’Aprile del 2018 apre la BIENNALE DI ARTE “BIAS”, in anteprima nazionale, con la sua composizione OFFICIUM tratto da Schengen per Orchestra, Elettronica, Coro e danza eseguite alla Cattedrale di Palermo e al Teatro Massimo di Palermo. Nel Luglio 2018 il suo progetto INSIDEOUT e le sue ,musiche tratte da Schengen album vengono eseguito al Teatro Massimo di Palermo. Di recente riprendono al teatro Massimo le repliche dello spettacolo INSIDEOUT con su musiche inedite. I suoi tre lavori discografici precedenti, “ BJM Archives” (2012), “BJM Glass Orchestra” (2013) e “Inverse Ep” (2014), “SCHENGEN” (2017) sono tutti editi da Iter-Research, label ONDE.Fra gli altri, collabora anche con Giovanni Sollima, Giovanna Velardi, Rosamundi, Lucina Lanzara la Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana (nel 2011 cura il sound design per i “Carmina Burana” di Carl Orff e la “Tosca” di Puccini), l’Orchestra Instabile Disaccordo, l’Orchestra Giovanile Mediterranea diretta da Alberto Maniaci, e i Pivirama di Raffaella Daino, Sergio Pausig, Mario Bellone, Marcello Faletra, Oscar Kogoj, Francesco Gallo, Paola Cassarà, Daniela Megna, Gianluca Scuderi, Francesco Vinci, Isobel Blank, Salvo Cuccia, Sergio Cannella, Diego Agullo, Sigmona Sigfrido, Manlio Noto, Yaya Visconti, Juan Perno, M.A. Pate, Giuseppe Vasapolli, Manlio Noto, Philippe Berson, Roberta Torre, Carlo Cecchi, Rosamundi, Bias, Wish, Biennale di Venezia.
Toti
Posted at 11:51h, 30 SettembreComplimenti all’autore per lo stile e il ritmo della sua scrittura. Altri complimenti per il chiaro messaggio sottostante al racconto e che induce molto a riflettere su valori e modalità di vita.