“L’arte non si crea, ma si trova”

“L’arte non si crea, ma si trova”

Dialogo con Nicoletta Bidoia

a cura di Ivana Margarese

 

 

Veramente? è un libro di poesia attraverso l’arte dei collages, edito da Edizioni La Gru (2021):

Ecco, chi fa un collage è già morto una volta e non si capacita del dissesto. Ma guarda il vero, lo osserva, lo taglia, per poi trovare il respiro esatto che lo ricrei diverso o lo rimetta in sesto.
Finché si muta lo sguardo, finché lo sguardo cambia lo stare delle cose, si può rinviarne la fine e calmare la mente. Si può – oltre a stupirsi di impacci e spaventi – si può, dicevamo, stupirsi dell’altro che siamo, per dire ancora una volta: “Dai, veramente?”

Comincio col chiederti del titolo “Veramente?”

É lo stupore e la sorpresa di fronte a ciò che cambia nella nostra vita. A volte siamo increduli per la meraviglia, altre per lo sconcerto. Abitiamo e pensiamo il reale prima di tutto nella nostra mente e così ne rimaniamo sempre un po’ discosti. Aspettative e delusioni se ne appropriano spesso e lo deformano. Sarà per questo che, quando viene il suo momento, il vero ci disorienta e ci poniamo quella domanda per riallinearci. Sempre che sia vero, e quindi, forse, per illuderci di farlo.

L’esercizio del collage racchiude una lunga tradizione estetica che da Joseph Cornell a Hannah Höchn racconta il mondo in maniera poetica e intima. Come è nato questo tuo interesse?

Ho cominciato a incollare ritagli sulle buste delle lettere venticinque anni fa e non è un caso che, da allora, i miei collages abbiano tutti la misura di una cartolina postale, 10x15cm. É un limite, una specie di metrica che mi sono imposta e uno spazio preciso in cui trovare libertà, ma l’invio postale è anche un incontro e nel tempo ne ho spediti tanti agli amici. Lo faccio ancora.

In quegli stessi anni vidi il museo del teatro di Amsterdam e, da appassionata d’opera e di danza, mi incantai a guardare le piccole riproduzioni, i loro meccanismi nascosti. Lì comprai una miniatura tridimensionale per ricordo e cominciai a costruirne per conto mio. Nei teatrini di carta l’immagine di un rosmarino si trasforma allora nella foresta di Birnam del Macbeth, il pizzo di un indumento diventa i Giardini dell’Alcázar de La Favorita. Una volta la foto di un pezzo di formaggio grana ha vestito il soprano del Simon Boccanegra. Poi, come un impresario, si porta in scena chi si ama. Tagliare la sagoma degli artisti amati è fare loro un po’ da sarta, se ne sceglie la posa come farebbe un regista, si inserisce una colonna come una scenografa. Occuparsi di tutto, insomma, come in un delirio.
Coi collages continuo a procedere per ‘serie’, cioè per gruppi omogenei, che sono numerosi e diversi tra loro. Cambio spesso il modo di comporre cartoline e ultimamente uso immagini sempre più piccole. Ogni tanto smetto di incollare per qualche anno, ma nel frattempo continuo a conservare pagine di riviste, calendari, volantini, spartiti, pezzi ingialliti di libri… per poi ricominciare a tagliare il materiale accumulato negli anni. Sono queste le ore beate del ritaglio, il tempo disteso e silenzioso in cui tutto diventa possibile. Ed è insieme sollievo e formula magica.

Joseph Cornell, con le sue scatole segrete e lunari, l’ho conosciuto più tardi. Lui è una luce. Indimenticabile è il ritratto che gli ha dedicato il poeta Charles Simic nel libretto Il cacciatore di immagini, edito da Adelphi, dove scrive: “L’arte non si crea, ma si trova”. Cornell è stato un esploratore instancabile e ci ha mostrato come creare sia prima di tutto un rovistare, fuori o dentro di sé.

“Ma nelle immondizie troverò tracce del sublime buone per tutte le rime” di Andrea Zanzotto è una delle due epigrafi del tuo libro.

Osservare tutto, setacciare, sostare con lo sguardo sia nelle figure che innamorano come nei dettagli che sembrano trascurabili, dare attenzione agli scarti che finirebbero in un cestino, isolarli e poi farli slittare in un altro spazio, creato per loro, dove possono dialogare con altri frammenti e iniziare così un nuovo canto. Le possibilità di colloquio tra pezzetti di carta sono infinite. Con quel verso di Zanzotto mi piaceva che fosse la poesia ad aprire questo libro di immagini, così come lo chiudono i visi di Caproni, Sereni, Dickinson e Szymborska (fu bellissimo, dopo anni, scoprire che anche quest’ultima si divertiva a spedire cartoline di ritagli agli amici e in questa raccolta non poteva mancare un suo sorriso.) Poesia e collage non sono così estranei fra loro. Per entrambi è necessario tenere gli occhi aperti, accogliere e mettere in relazione ciò che accade e tentare di salvare anche un minuscolo particolare.

Vorrei unire due concetti, quello di morte e quello di sguardo. Tutti moriamo più volte per poi ricomporre i pezzi e mutare sguardo creando un nuovo inizio. Il montaggio, la riparazione, il ricavare un nuovo modo di guardare entrano a far parte dell’azione creativa del collage. Vorrei avere una tua opinione in proposito.

É il motivo per cui li compongo. Viviamo molti dissesti in una vita e con la forbice viene la tentazione – che poi diventa urgenza – di riprodurre la nostra scissione sulla carta. Il gesto di tagliare il mondo è apparentato a quello di una morte. Col taglio avviene una separazione, uno sradicamento, ma lo sguardo continua a creare ponti, accostamenti più o meno inattesi (più o meno ironici o rarefatti) e custodisce altrove quei frammenti, provocando così altri inizi. Da qui lo stupore per tutto ciò che finisce e per tutto ciò che in noi, e sulla carta, comincia nuovamente. É una tecnica e un buon promemoria di rinascita.

Nei tuoi lavori di collage ci sono spesso dei bambini che osservano, sorridono o giocano, piccoli testimoni della realtà che hai immaginato.

Le immagini di bambini sono molto diffuse e quindi più reperibili, ma è soprattutto un modo per ritornare a ciò che sono stata e ritrovarne intatta la gioia.

Ho un’ultima domanda legata alla tua raffigurazione del femminile, ci sono diverse delle donne nei tuoi collage…

Questo libro rappresenta una piccola scelta, rispetto alle centinaia di collages composti tra il 2010 e il 2013, e qui ho cercato di equilibrare con diverse presenze maschili la mia tendenza a scegliere spesso immagini di donne con pretesti diversi: una danza, un venire incontro, un’attesa, una furia, un’esultanza, un bacio, una fuga… Lo riconosco come uno stratagemma: mentre si ritaglia, si diventa anche quella donna, si fa quello che lei fa e, incollandolo, lo si fa per sempre. Perciò col collage si vive di più, si raddoppiano i mondi. Sembra un ritaglio di carta che pesa niente, ma è tutta vita.

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