29 Apr Tina ed Elsa: un incontro possibile
“Tina ed Elsa: un incontro possibile”
di Masha Sergio
Un affascinante ingranaggio, costruito apparentemente senza alcuna difficoltà, si manifesta tra le pagine di Tina Modotti. Fuoco che non muore, romanzo di Gabriella Ebano, scrittrice e fotografa, pubblicato da Navarra Editore nell’ultimo tratto del 2019 (prefazione di Giuliana Scimé, fotografie di Gabriella Ebano).
Non di mero ingranaggio narrativo però si tratta, quanto di un progetto che trova la sua essenza nella magia delle coincidenze che, irrobustite dagli studi dell’autrice, esplicitano e sostengono ciò che, da sempre, nutre le comunità artistiche e letterarie: il dialogo, le affinità, l’incontro mai casuale.
Tina ed Elsa dunque, Modotti e Morante, protagoniste di un secolo di cui hanno vissuto tutte le peculiarità e le contraddizioni, che di certo le avrebbero fatte incontrare, prima o poi, se solo nel ’42 la fotografa italiana non avesse perso la vita a Città del Messico.
Rimanendo sulla soglia del nostro immaginario, parrebbe improbabile accostare queste due figure: l’una artista e militante politica in prima linea – prima in Messico e poi in Europa, soprattutto negli anni della guerra civile in Spagna – che mise più volte a rischio la propria vita; l’altra, intellettuale raffinata, protagonista dei salotti letterari, prima donna vincitrice del premio Strega nel ’57. Eppure, a ben guardare, così come Ebano ha fatto, Tina ed Elsa erano due anime idealmente molto vicine, così come vicine e affini erano le loro frequentazioni, le urgenze, le passioni.
Ed è nell’ottobre del 1943, anno successivo alla morte di Tina e poco dopo l’Armistizio, che le due artiste vengono immaginate dall’autrice, insieme, e dove se non a Roma?
La fotografa friulana, negli ultimi anni ’30, aveva chiaramente chiesto al PCI di rientrare in Italia e di continuare il suo lavoro per il Soccorso Rosso Internazionale. Se quella possibilità non le fosse stata negata – “Sei ricercata dalla polizia fascista, e poi, con lo stato d’animo così provato dal periodo spagnolo, potresti di sicuro fare un passo falso e ti arresterebbero con facilità” – sarebbe stato assolutamente plausibile che Tina attraversasse “la città eterna”, imbattendosi in una giovane Elsa, non ancora famosa ma già impegnata nella stesura di Menzogna e sortilegio (Einaudi 1948), e soprattutto già vicina ad ambienti in cui l’antifascismo, la lotta per i diritti delle donne e delle minoranze, la critica alle convenzioni e il portato civile della letteratura e dell’arte erano all’ordine del giorno.
Il romanzo le vede diventare confidenti e sodali, nel corso di un’amicizia “sognata” tra il ’46 e il ’54; Elsa e Tina si incontrano a lunghi intervalli, ritrovandosi di volta in volta in un luogo diverso di Roma, occasione sempre favorevole a un nuovo resoconto, da parte della scrittrice, dei tanti episodi tragici che la capitale aveva subito negli anni precedenti. E allora eccole a un tavolo con Pasolini e Calvino, eccole entrare alla galleria L’Obelisco insieme a Guttuso e a Moravia, cenare in casa di Luchino Visconti con Palmiro Togliatti.
Di contro, l’autrice de L’isola di Arturo è estremamente curiosa della vita della sua misteriosa nuova amica, e durante le loro conversazioni le lascia campo libero. Troppi sono i nomi menzionati da Tina che la lasciano senza fiato: Hemingway, Majakovskij, Picasso, Simone Weil, Frida Kahlo. Troppe le esperienze di sfondo politico che fanno emozionare Elsa, la quale da poco aveva assistito all’affermarsi dell’Italia partigiana.
Tuttavia, mentre racconta, ad accendere davvero gli occhi di Tina sono due elementi sopra tutti: la fotografia e l’umana gente.
Nel disegno di Ebano, Tina esprime a Elsa tutta la sua profonda frustrazione per avere abbandonato troppo presto la sua “forma di condivisione umana”, la fotografia sociale, emersa in Messico negli anni ’20, strumento con cui aveva raccontato gli orrori e le ingiustizie che riconosceva identiche nel resto del mondo. Quella di Modotti è stata una fotografia ideologica, di denuncia e d’indagine; non è un caso, del resto, se i suoi scatti sono stati accuratamente occultati per anni nel periodo del maccartismo.
Riferendole del rapporto con Edward Weston, Tina racconta: “E intanto che lui continuava a essere ispirato dall’astratto, ricercando ossessivamente la perfezione formale nelle sue immagini, io venivo sempre più folgorata dalle persone, che con la loro sofferenza mi avevano emozionato molto. Quando i miei occhi, il mio sguardo si posavano su certi paesaggi, visi e ambienti, era per me così naturale realizzare delle fotografie. Mentre lui catturava la luce, io guardavo gli sguardi dei campesinos, delle donne e dei tanti bambini, disperati e logori”.
Ma l’esperienza della guerra civile spagnola fu devastante per lei, non poteva più essere uno scatto a farla sentire utile, quando bisognava portare in salvo i civili indifesi sotto in bombardamenti.
“Ne avevo di cose più urgenti e importanti da fare: l’ospedale, i moribondi, la sala operatoria, le trasfusioni sul campo di battaglia. E tutto il resto per il Soccorso Rosso. Come avrei potuto essere più utile con le mie fotografie? Ricordo ancora gli sguardi pieni di gratitudine di quei poveri ragazzi, alcuni appena adolescenti, che assistevo durante la loro agonia fino all’ultimo respiro”.
La rinuncia consapevole e dolorosa di una esperienza artistica folgorante ma abbandonata tra i gradini più bassi di una scala di priorità che Tina continuava a salire.
A chiudere la danza delle coincidenze è dunque e ancora la fotografia, grazie a uno dei tanti elementi che hanno spinto Ebano a immaginare questo incontro possibile: nel 1978, l’ultima mostra della galleria L’Obelisco, curata da Irene Brin e Gaspero del Corso, cari amici di Elsa Morante, assidua frequentatrice dello spazio, è stata dedicata proprio a Tina Modotti.
Biografia
Gabriella Ebano, nata a Roma, laureata in Lettere, si dedica alla fotografia dalla fine degli anni Ottanta, quando vive e lavora prima a Bergamo e poi a Milano. Segue corsi e seminari tenuti da Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna e Giuseppe Leone. Svolge attività di ritrattista e fotografa di scena per il Teatro Donizetti di Bergamo e nella stessa città dirige la galleria fotografica “Il filo di Arianna”. Dal 1997 si trasferisce in Sicilia, terra natale del padre, prediligendo in particolare la fotografia sociale ed etnografica. Nel 2005 pubblica il libro Felicia e le sue sorelle. Dal secondo dopoguerra alle stragi del ’92-’93: venti storie di donne contro la mafia (Ediesse). Insegna fotografia, conduce progetti sulla legalità e laboratori di scritture creativa presso scuole pubbliche e istituzioni private. Collabora con il CRESM (Centro di Ricerche Economiche e Sociali per il Meridione) di Gibellina (Tp). Per Navarra editore ha già pubblicato Le mie signore di Sumpetar. Cronaca di volontariato nei campi profughi della ex Jugoslavia (2015) e Insieme a Felicia. Il coraggio nella voce delle donne.
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