“Ma il cielo le salva e le fa arrivare in porto”: nota su Michele Iacono

“Ma il cielo le salva e le fa arrivare in porto”: nota su Michele Iacono

di Nino Cangemi

 

“È destino delle grandi opere di perdersi sì, ma il cielo le salva e le fa arrivare in porto”. Così si legge in “Giangiacomo e Giambattista”, un singolare romanzo, quasi un apologo filosofico, di Antonio Russello. Chissà se ciò corrisponda al vero e accadrà per i romanzi di Michele Iacono, scrittore di stupefacente talento e però sconosciuto nel panorama letterario nazionale. Da un canto lo si auspica, dall’altro è legittimo nutrire pessimismo. Lo alimenta, il pessimismo, l’osservazione oggettiva del mercato editoriale italiano retto da regole che ne garantiscono, sotto il profilo qualitativo, l’omologazione verso il basso.

L’editoria, specie quella delle grandi catene, predilige livelli medi, se non mediocri, per catturare il maggior numero di lettori. Ciò non aiuta Iacono, la cui cifra di scrittura e il cui spessore estetico superano i parametri ai quali è saldamente ancorata la nostra narrativa. Certo non mancano eccezioni alla regola, ma sono poche e investono autori già affermati assistiti da un patrimonio di lettori acquisito, ai quali comunque (come appreso direttamente da alcuni di loro) non sono risparmiate le raccomandazioni a porre qualche freno all’estro creativo. Inoltre non agevola l’affermazione di uno scrittore meritevole ma fuori dei circuiti che contano – come Iacono – l’autoreferenzialità e la chiusura falsamente elitaria della generalità degli ambienti letterari.
A complicare il tutto l’esordio narrativo non più in tenera età di Michele Iacono. Con un romanzo che resta tuttora l’espressione più alta della sua inventiva letteraria, “Il bambino senza tempo”. A pubblicarlo fu, nel 2017, una piccola casa editrice nel silenzio della stampa, cartacea e online, e senza che alcun critico letterario di rilevo nazionale, e nemmeno regionale, se ne accorgesse. E’ un romanzo, ambientato nel centro storico di Palermo, che parte da un fatto di cronaca: la morte di un bambino nel corso di un’esplosione di guerra. Da lì s’intrecciano riflessioni etiche e religiose con accadimenti vari e convulsi in un’atmosfera sospesa tra il reale e l’onirico. Nulla appare di ovvio e conforme a regole preconfezionate nel gusto affabulatorio e trasgressivo dell’autore, che sorprende per la capacità di tessere una trama accattivante e allusiva e di mettere a fuoco – pur proiettando il lettore in dimensioni fantastiche, allucinate e allucinanti – le più antiche e centrali questioni esistenziali e filosofiche: il rapporto con Dio, la presenza del male, i vincoli del destino e il libero arbitrio, il declino dell’umanità, l’ansia di riscatto, gli aneliti di speranza.
Dopo, nel giro di pochi anni, Iacono, ha dato alle stampe altri tre romanzi, quasi dando sfogo, liberandolo, a un ingegno letterario che prima era rimasto represso e succube dell’arte figurativa sino allora coltivata: “Checkpoint Charlie” nel 2018, “L’imperfetta bellezza” nel 2019, “Ciò che hanno visto le rondini” nel 2020.

Nessuno dei tre raggiunge i livelli eccelsi di “Un bambino senza tempo”, ma tutti confermano la limpida ispirazione di un autore incline all’apologo etico e al travaglio speculativo tramite la suggestione di una scrittura a metà strada tra la metafisica e l’immanenza materiale, la finzione e la realtà più attuale. In “Checkpoint Charlie” s’indaga sul mistero di tutto ciò che segna un confine, sulla sua sfumata e labile traiettoria, sull’oscurità inquietante dell’oltre la soglia, con una rappresentazione scabrosa del potere e delle sue perverse manifestazioni. Ne “L’imperfetta bellezza” le riflessioni su quanto la bellezza, a cominciare da quell’artistica, sia precaria, ingannevole e illusoria, si abbinano alla narrazione – profetica – del regresso culturale e politico che culmina nel trionfo del populismo. In “Ciò che hanno visto le rondini” Iacono ribadisce la sua attenzione ai temi universali e religiosi cui rinvia attraverso percorsi labirintici, surreali e lunari.
Tra le poche voci che si sono spese sulle sue opere, quella di Mariagrazia Pia, che nella prefazione de “L’imperfetta bellezza” osserva come Iacono “decostruisce i dogmi della letteratura di genere: il giallo, il romanzo filosofico, il realismo e il surreale”. Cogliendo la sua atipicità e il suo essere fuori e sopra gli schemi, malgrado la sua narrativa tragga linfa dai classici: Kafka su tutti per le cornici sinistramente grottesche dentro le quali si snodano le sue storie ricche di spunti esistenzialisti, ma anche Bulgakov per la galoppante fantasia visionaria e Saramago per i conturbanti rimandi politici.
E mentre si attende che il prolifico Iacono ci offra un nuovo romanzo (dovrebbe arrivare a breve stando ai tempi cui ci ha abituati), si rinnova l’augurio – rivolto non solo all’autore ma anche a un panorama letterario più sensibile alla qualità di quanto non lo sia al momento – che, parafrasando Russello, il cielo salvi le sue opere e le faccia arrivare in porto.

 

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