30 Set I sentieri della traduzione: To Autumn di John Keats
I sentieri della traduzione: To Autumn di John Keats
Dialogo con Edoardo Zuccato a cura di Paola Del Zoppo
Dipinti di Roberta Dori Puddu in esclusiva per FIT – lugano- svizzera -festival internazionale del teatro e della scena contemporanea”, direttrice Paola Tripoli (https://www.fitfestival.ch)
La collana 10×1 di Mucchi Editore, diretta da Antonio Lavieri, è una miniera di riflessioni, poesia, passione traduttiva. Nel 2019 usciva il secondo volume, che offre ai lettori la possibilità di leggere 10 traduzioni della celeberrima To Autumn di John Keats. L’ultima versione, in dialetto, è di Edoardo Zuccato, autore del volumetto, traduttore, studioso di traduzione e poeta profondo e riflessivo, che ha avuto la gentilezza di accogliere una serie di quesiti e spunti scaturiti dalla sua ricca introduzione e dalla interessantissima scelta delle versioni.
Gentile Edoardo, grazie per questo dialogo. Inizio subito da una questione sostanziale. Nella tua introduzione leggiamo: “Per seguire la storia di To Autumn in Italia, tuttavia, è necessario esaminare il testo originale. Afferrarne la natura e il senso è la premessa indispensabile per qualunque operazione in ambito traduttivo, sia essa una traduzione o un’indagine critica su una serie di versioni. Il traduttore può fare qualunque scelta, ma in nessun caso potrà prescindere dal momento filologico, preliminare necessario a questo genere di attività.”
Cosa intendi per senso filologico e in che misura esso può essere e deve essere mantenuto nella resa di un testo in una lingua diversa da quella originale?
Per “momento filologico” intendo la fase iniziale del processo traduttivo, quella in cui si legge con la massima attenzione il testo originale cercando di coglierne tutte le sfumature. Ciò presuppone una conoscenza approfondita della lingua del testo di partenza, e della cultura e della tradizione letteraria a cui appartiene. Si tratta poi di cercare di restituire tutto questo nella lingua e nella tradizione di arrivo.
Su che immaginario insiste in Keats la forza originaria dell’autunno, naturale e androgina? Nel tuo saggio ricco e stimolante, scrivi: “L’unico modo, più rozzo dell’originale, di alludere al carattere non androgino ma presessuale di questa forza (che non è un essere vivente ma genera la vita) è di abbinare all’Autunno maschile del titolo una descrizione al femminile della stagione (parola di apertura del testo).” Si può ricondurre al processo di ri-significazione in traduzione la soluzione del difficile problema della traduzione del genere dell’Autunno personificato?
Il suo è un immaginario materialista più che panteista. Keats ha usato l’autunno per descrivere la forza generatrice che è la natura, cioè la natura naturans. Tale forza non è tanto androgina quanto pre-sessuale, o non-sessuale. Per questo scopo ha utilizzato il neutro, evitando di caratterizzare al maschile o al femminile l’autunno. In italiano, invece, siamo costretti a utilizzare uno di questi due generi, accentuando l’antropomorfizzazione delle forze naturali. Non bisogna farne una tragedia, è la caratteristica della nostra lingua, inutile cercare grottesche soluzioni come l’uso dello schwa o degli asterischi che alcuni hanno pensato di iniziare a usare di recente.
Il pensiero sinestetico di Keats, che come noti riportando un brano del suo diario pervade la sua visione del mondo, in che modo si riflette in To Autumn? E come una traduzione si può porre il problema di rendere l’andamento sinestetico di una poesia?
All’autunno è una poesia sovraccarica di sensualità. Keats fa leva su tutti sensi, mescolandone le caratteristiche, per dare espressione al concetto di maturità e pienezza incarnato dall’autunno. Il testo è ricco di fonosimbolismo, perché anche la musica, il suono, l’andamento impresso alle parole partecipa di questa sensualità che è fonte di significato. Il ritmo, la musica sono elementi essenziali di una poesia, e per questo le traduzioni che si concentrano solo sul livello semantico (sul “contenuto”) sono in partenza deficitarie come testi. Pochi traduttori di Keats hanno tenuto davvero conto anche di questo aspetto. Quello che lo ha fatto di più è Annalisa Manstretta, la cui traduzione, non a caso, è meno “ricalcata” sull’originale delle altre recenti, come si vede fin dall’incipit.
Più avanti, nel saggio introduttivo, ti soffermi su alcune questioni prettamente poetologiche: “La rima più vertiginosa, “dies” – “skies”, posta non a caso a conclusione, è forse l’esempio più plateale di quella coesistenza di positivo e negativo, di inseparabilità degli opposti, che permea tutto il testo.”
Come le versioni (compresa la tua), hanno risposto a questa esigenza di densità poetica?
La poesia è tutta costruita attorno a quel concetto. Positivo e negativo, vita e morte sono coestensive. Al colmo della maturità già si intravede il declino, l’autunno è simultaneamente la stagione della pienezza, nella sua fase iniziale, e la stagione del declino della morte in quella conclusiva, che porta all’inverno. Questa idea la si ritrova sia nelle immagini che vengono utilizzate, sia nell’andamento generale del testo, come ho spiegato nell’introduzione. Ma anche singoli versi sono organizzati attorno a questo principio. Ad esempio, il primo verso caratterizza l’autunno come stagione di nebbie (un elemento freddo, tendenzialmente negativo) e di tenera maturità (un elemento di pienezza, di vita, positivo). La risposta dei traduttori è in un certo senso obbligata, anche se in alcuni di loro vi sono delle omissioni che qualche volta indeboliscono questo elemento, almeno a livello semantico. Per quanto riguarda l’uso delle rime, è un fatto che i traduttori che hanno utilizzato una griglia di rime esatta hanno prodotto le versioni più rigide e goffe.
Per passare alle versioni. È molto interessante l’analisi della presenza di Keats nelle antologie poetiche. Quanto credi che abbiano influito le versioni nelle antologie sulla ricezione di Keats in senso più ampio? E in che senso la traduzione si complica se si ritraduce un classico?
La fortuna italiana di Keats (come di quasi ogni autore) è dovuta essenzialmente alle antologie. L’edizione completa delle sue opere è apparsa da poco nei Meridiani Mondadori, a giochi ormai fatti. Perciò è molto importante vedere quali poesie sono state scelte in ciascuna antologia e come queste poesie sono state presentate nell’introduzione e tradotte. Da ciò dipende l’immagine che i lettori italiani si sono fatti della poesia di Keats. Un’immagine necessariamente parziale, influenzata dalle preferenze e dal gusto dei traduttori secondo le mode di ogni epoca. Il discorso sulla ritraduzione dei classici è molto complicato e solo di recente ha attirato l’attenzione della critica. Traducendo un classico inevitabilmente bisogna tenere conto anche delle traduzioni che nel corso dei decenni o dei secoli sono state pubblicate. Una traduzione riuscita e particolarmente influente nell’immaginario collettivo tende a sostituirsi all’originale, pensiamo ad esempio alla traduzione latina della Bibbia o alle traduzioni italiane da Omero. Poi non dimentichiamo che i traduttori a volte copiano uno dall’altro. Ogni caso, quando si ritraduce un classico insieme all’originale si “traducono” (cioè si adattano, si aggiornano) in un certo senso anche tutte le traduzioni precedenti che di quel classico esistono. In questo percorso non c’è nessun progresso: ogni traduzione ha i suoi pregi e i suoi difetti, e le traduzioni più recenti non sono automaticamente migliori di quelle antiche.
È davvero interessante la lettura della versione in prosa di Cino Chiarini, inserita nel saggio introduttivo, così esatta e così diversa. In che termini la traduzione in prosa, in generale, può sviluppare o ridurre il portato poetico del testo? E cosa accade con questa versione in particolare?
La traduzione in prosa della poesia può venire effettuata con obiettivi diversi. In Italia oggi non è molto comune, e quando la si vede viene in genere presentata a fianco dell’originale come ausilio alla lettura. È piuttosto raro vedere oggi esempi di “poesia in prosa”, cioè tentativi di restituire gli elementi specificamente poetici dell’originale pur evitando i versi nella traduzione. A volte una versione in prosa può essere una sorta di scorciatoia per evitare di confrontarsi con i problemi che un testo in versi presenta. La versione di Chiarini da Keats, come ho scritto nell’introduzione, è un testo un po’ ibrido dal punto di vista delle finalità. Fa parte di un’antologia in cui non sono inclusi i testi originali, per cui il lettore italiano legge solo delle traduzioni in prosa di poesie. Ciò è già piuttosto fuorviante e dà un’idea alquanto vaga degli originali. Questa versione da un lato sembra mirata alla completezza semantica, che spesso è l’obiettivo principale delle traduzioni in prosa della poesia in italiano; dall’altro ci sono una serie di piccole aggiunte e di scelte stilistiche che indicano come il traduttore abbia mirato non solo a una traduzione di servizio ma anche a un testo con una sua tenuta. Il risultato è una sorta di ibrido fra una traduzione di servizio, essenzialmente letterale, e una traduzione con ambizioni estetiche.
Il tuo saggio è una miniera. Nella parte finale ti soffermi infine in modo particolarmente efficace, sulla percezione del testo tradotto e originale nella sua “esistenza” in traduzione: “Nel caso 1 [il lettore conosce la lingua di partenza ma non di arrivo di una traduzione] la traduzione per mepersonalmente non ha alcuna funzione, dato che non sono in grado di comprenderla. Nel caso 2 [il lettore conosce la lingua di arrivo ma non di partenza] sono totalmente nelle mani del traduttore, di cui capisco lo stile e le modalità, ma non sono in grado di giudicare se e in che misura siano appropriate al testo di partenza. Nel caso 3 [il lettore conosce entrambe le lingue], al contrario, sono in grado di confrontare i due testi ed esprimere un giudizio, tanto più motivato quanto più profonda sarà la mia conoscenza delle lingue e delle tradizioni letterarie in gioco. Non leggo un testo, ne leggo due insieme. Perciò la modalità di lettura cambia radicalmente: non un percorso rettilineo ma, magari dopo aver letto tutta la traduzione in una sola volta, un percorso a zigzag fra i due testi, per vedere come ciascun verso o distico è stato reso in traduzione. Se conosco a memoria il testo originale il confronto avverrà secondo una procedura mentale ancora diversa: l’originale sarà presente come uno sfondo sul quale scorrerà il testo tradotto.” Si arriva cioè a discutere della lettura e della risposta estetica alla lettura di una traduzione in quanto traduzione e non originale, testo complesso e doppiamente esistente. Innanzitutto ti chiederei, se puoi e vuoi, di dirci dove si colloca la “sorpresa” nella lettura di un testo tradotto di cui si comprendono entrambe le lingue.
Solo quando si conosce l’originale è possibile apprezzare fino in fondo una traduzione. Una traduzione fatta bene ci dice qualcosa di nuovo sull’originale che pensavamo di conoscere. Ce ne rivela qualche aspetto che non avevamo considerato o che avevamo lasciato ai margini della nostra interpretazione dell’originale. In questo sta l’elemento di sorpresa che speriamo sempre di trovare quando leggiamo una nuova traduzione di un testo che già conosciamo.
Infine, e prendo qui a ringraziarti per il tempo e la pazienza, vengo alla tua bellissima versione. La versione è in dialetto. Come si colloca il dialetto nel rapporto tra le lingue e nel rapporto tra testo originale e tradotto? Io, per esempio, quel dialetto non lo capisco né lo so leggere. Che “velo” si stende sul testo e cosa comporta per il testo, per la lettura, per la poesia?
Il discorso sulla traduzione e le lingue minoritarie è complicato ed è stato poco indagato dalla critica. La teoria della traduzione lo ha lasciato generalmente al margine; gli studi tengono a concentrarsi su casi specifici piuttosto che riflettere in generale sulle peculiarità della traduzione fra lingue minoritarie, o dalle lingue maggioritarie a quelle minoritarie. Keats generalmente non è un autore adatto a una traduzione in dialetto. To Autumn fa però in eccezione perché è una poesia in cui il pensiero astratto viene sviluppato attraverso immagini concrete e senza riferimenti alla classicità, come avviene in molti altri suoi testi. Perciò ho potuto tradurla in dialetto senza forzature e senza troppe difficoltà. Le persone a cui non sono familiari i dialetti dell’area gallo romanza possono comunque leggere questa traduzione aiutandosi con la traduzione in italiano, come faccio io quando leggo traduzioni di testi stranieri nei dialetti dell’Italia meridionale. La comprensione parziale che qualunque italofono ha dei dialetti è sufficiente per accedere alle traduzioni, che non di rado sono vivaci e ricche di spunti sorprendenti.
Per salutarci. Quale verso dell’Ode all’Autunno ti torna alla mente più di frequente? Nell’originale o nella tua versione?
Probabilmente il primo verso, anche se, conoscendo tutto il testo a memoria, di tanto in tanto me ne affiora qualche altro brandello. Ho in mente più l’originale delle traduzioni, anche se ho ben presente l’incipit della mia traduzione. Che ho fatto in dialetto perché mi è venuto spontaneamente questo primo verso. Come tirando un filo poi sono venuti gli altri.
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