Penelope alla fine s’è rotta

Penelope alla fine s’è rotta

di Savina Tamborini

Immagini di Stefania Onidi

 

Sono a questo cazzo di telaio da anni. La mia vita è un inferno. E lui, invece? È vivo? È morto? Chi lo sa.
Dal piano di sotto scatta un applauso. Mi alzo e lo sgabello cade. Che nervi questi Proci! Raccolgo lo sgabello. Sono qui a sbafo, uccidono i nostri animali, mandano in malora il patrimonio dell’isola e si scopano pure le mie ancelle. Mi siedo con le braccia abbandonate lungo i fianchi. D’altronde io le capisco! Hanno voglia, sono giovani e belle.
Le mani mi tremano. Ma anche io ho voglia! Passo tante volte il filo della trama sull’ordito. I fili si ingarbugliano. Ma che faccio? Che pasticcio! Ridacchio. Ecco devo disfare tutto. Sorrido come un’ebete. Tutte le scuse sono buone. Mi prendo il viso tra le mani. Oh dei! Per quanto reggerò? Do un calcio ai pesi del telaio. Sbattono e riproducono un suono cupo. Oscillano. Li blocco con le mani. Perché te ne sei andato a Troia a riprendere Elena? Caro marito, guarda che i Prociacci non mollano, se non ti sbrighi dovrò sposare uno di loro. Sbuffo. Riprendo a intrecciare. Ma loro vogliono Itaca, la mia isola, il mio regno e non me, la sua regina. Non mi ama nessuno!
Mi giro alla finestra, cerco nel mare ma è deserto, solo acqua sotto il cielo. Conto sulle dita. Mi sono rimastə Euriclea, qualche ancella fidata, il povero Femio, costretto a cantare da questi porci, e l’araldo Medonte. Sospiro, mi tocco la fronte. Nel cielo due corvi volano insieme. Scatto in piedi. «Ancelle, presto, chiamate Medonte!».
L’araldo è in piedi al mio fianco. In silenzio segue il volo. Corruga la fronte. I corvi compiono dei cerchi come in una spirale. Su di loro piomba un’aquila. I corvi si separano. L’aquila grida, ne insegue uno spietata e il corvo via che gracchia. Fanno curve, si impennano e come puntini svaniscono nelle nubi.
Medonte ha gli occhi fissi nei miei. Mi metto la mano sul cuore. «Medonte, se Telemaco è ancora vivo, è grazie alla tua profezia. Ti prego, non indugiare, svelami questo presagio».
Lui fa un gesto con la mano come a impugnare l’aria. «O fedele e coraggiosa Penelope, la dea Atena, protettrice di tutta la Grecia, di Telemaco e di Odisseo, verrà presto a darti notizie di tuo marito». Spalanco la bocca. «Allora è vivo!». Saltello, batto le mani.
Lui fa qualche passo verso le scale. «Ricevi la dea e nascondila nella tua dimora». Appoggia il dito indice sulle labbra. «E non dire nulla a Telemaco. Condividi il segreto del tuo talamo con la prodigiosa Atena e fa quello che ti dice lei». Mi lascia sola.
Le sale rimbombano del fracasso prociano. La cena è pronta, scendo. Sbocconcello senza appetito. Antinoo beve calici su calici di vino, spolpa l’osso dello stinco, mastica e il grasso gli cola sul mento. Mi fa l’occhiolino. Mi copro gli occhi con le mani. Che orrore! Mi giro verso Telemaco. Povero figlio mio! Ha l’aria così triste, come vorrei svelargli la profezia di Medonte e dirgli che Odisseo tornerà. Lascio il piatto e vado nella mia stanza. Mi avvicino al talamo, ricavato dal grande ulivo, il centro della nostra reggia e del mondo intero. Sfioro gli arabeschi d’oro, d’argento e di avorio che ha decorato Odisseo, con le sue mani possenti e dolci. Mi bacio i polpastrelli.
La luna è piena, la sua luce squarcia di bianco il mare. Femio canta con voce rotta dall’emozione.

«Capitano, che hai negli occhi/Il tuo destino…»

Mi sfilo il peplo, che scivola sul marmo.

«Capitano, che risolvi/Con l’astuzia ogni avventura…».

Mi sdraio sul talamo. Chiudo gli occhi.

«Itaca, Itaca, Itaca/e a casa io voglio tornare/dal mare, dal mare, dal mare/Itaca, Itaca, Itaca/la mia casa ce l’ho solo là/Itaca, Itaca, Itaca/e a casa io voglio tornare…».

Mi accarezzo il braccio, la spalla, il collo.
Un rumore metallico mi fa sussultare. Odisseo! Ah no. «Atena, sei tu!». Mi tiro su, afferro il peplo e mi copro.
Il suo elmo giace a terra. Lascia cadere la lancia e lo scudo, si toglie il mantello. «Penelope, scusa, non ti volevo spaventare».
Che voce profonda! Sospiro. «Sapevo che saresti venuta».
Si siede vicino a me. È bellissima, muscolosa. Si slaccia i sandali. «Ti porto buone notizie, cara Penelope».
Mi protendo verso di lei come un’assetata.
Mi guarda. «Ma qualcosa non ti piacerà». Piega le gambe e le incrocia. Alza le braccia, intreccia le dita, le scrocchia e appoggia le mani sulla testa. «Odisseo tornerà presto». Si distende su un fianco. Sorrido e il calore dalla pancia sale, attraversa il cuore, lo pompa e colora le mie guance. «Presto quando, Atena?». Tiro il peplo su fino al collo, i miei piedi si scoprono.
Mi guarda come se si tuffasse dentro l’iride. «Manca poco, dolce Penelope». Con un dito traccia ghirigori sul talamo. «Cosa sono poche settimane in confronto ad anni?».
Evviva! Stendo le braccia in alto, il peplo scivola giù e le mie tette risplendono alla luce della complice luna. Ho i capezzoli duri, in fuori. Riacchiappo il peplo, mi copro. Abbasso lo sguardo. Atena mi tocca il mento e me lo alza. I suoi occhi sono accesi di un bagliore intenso. Mi accarezza la guancia. «Penelope, perché ti trattieni, dolce e cara regina?». Mi prende la mano. «Capisco che i Proci ti facciano schifo». Mi bacia il palmo. «Ma Odisseo, sai, non si è mica frenato in tutti questi anni».

Sbatto le ciglia. Tanto lo sapevo. Mi mordo il pugno. Il pisello è così: quando si alza vuole entrare da qualche parte. Faccio il broncio. E io che con l’olisbos ho sempre e solo pensato a lui!
Atena mi accarezza il braccio. «Odisseo ti ama, Penelope, ti ama tantissimo». Mi tiene la mano. «Per questo tornerà da te». Mi piega il mignolo. «Anche se è stato con Circe per un anno». Piega l’anulare. «Con Calipso per sette». Trattiene il medio. «Nausicaa, non se l’è fatta, sicuramente perché era troppo piccola e lui ci tiene a queste cose».
Tolgo la mano dalla sua presa. «Non è giusto». Piego le gambe e mi ancoro alle ginocchia. «Sono una povera cornuta! Eppure ci speravo che mi fosse fedele come io lo sono stata con lui».
Atena mi sorride. «Penelope, hai ragione, non è affatto giusto». Si alza. «Ecco perché ci sono io qui con te». Si slaccia il peplo. «E rimarrò al tuo fianco fino a quando Odisseo tornerà».
È nuda, il suo corpo è sodo, la pelle bianca, la figa nera.
Mette un piede sul talamo, si avvicina a me a carponi. «Se vuoi, prendo le sue sembianze».
Scuoto il capo. Eh no! Cornuta io, cornuto anche lui! Stringo il peplo. «Ma io non l’ho mai fatto con una donna».
Sorride. «E io sono vergine».
Mi scopro, la accolgo sopra di me. Mi accarezza, mi bacia sulle labbra. Che morbide! Ci baciamo, ci abbracciamo, rotoliamo giù dal talamo segreto. Ridiamo. Atena, grazie. È da vent’anni che aspettavo.

Biografia

Savina Tamborini vive e insegna a Stoccolma. Laureata in lingue e letterature straniere. Ha studiato scrittura con Lidia Ravera, Valeria Viganò e il drammaturgo Emanuele Aldrovandi. Ha pubblicato un CD di fiabe. Scrive racconti e il suo primo romanzo. Il vuoto del mare verrà pubblicato su Crack. È nata una stella verrà pubblicata su Blam, Morgana verrà pubblicata su Lunario. Penelope tornerà presto su Biró. Ringraziamenti a: Giuseppe Pandolfo, per l´editing fatto insieme al testo e Marilù Oliva che ha scritto il libro L´Odissea raccontata da PENELOPE, CIRCE, CALIPSO e le altre, Solferino, 2020.  Il nostos che canta Femio è tratto da Itaca di Lucio Dalla.

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