04 Ott In dialogo con Anna Segre
DI FRANCESCA GRISPELLO
L’ultima e fortunata silloge pubblicata da Interno Poesia, La distruzione dell’amore, ci offre la splendida occasione di porci in dialogo diretto con l’autrice, che ringraziamo per il tempo e la pazienza.
Dei molti io possibili
non ne escludo nessuno,
la memoria mi serve
per dimenticare
il superfluo
e osare di nuovo
Incontrare i versi di Anna Segre non lascia indenni, ci si sente nude, sorelle, sole, esposte ad un banchetto di emozioni. La poetessa con versi esatti, scarni e densi è capace di portare chi legge in una moltitudine di sensazioni, in un richiamo continuo al proprio bagaglio emozionale e razionale. L’io si scioglie, e nel mentre si ha bisogno di darsi identità allo stesso tempo questa non vuole chiudersi in una sola narrazione, ma si dipana, si argomenta, si negozia.
Parto dall’identità.
Anna nella tua biografia tra le varie identità di cui ti componi e ti rappresenti c’è: medico, psicoterapeuta, ebrea, lesbica, mancina. Perché non c’è poetessa?
Poetessa ti definiscono gli altri, ti ci chiamano le cose, te lo conferisce il mondo attorno. Poetessa è un titolo onorifico e un millantare al contempo.
Come e quando hai compreso che le parole sarebbero state uno strumento fondamentale?
Subito. Perché mio padre mi attaccava appena mi vedeva passare, mi derideva, mi sfidava, mi disprezzava. Io rispondevo senza demordere fino alle botte. Sì, a un certo punto non aveva più parole e passava ai fatti. E quella era la prova che la tenzone era vinta, da me, ovviamente. Quindi scartavetrare le parole, affilarle, acuminarle fino a renderle sottili come aghi, entrare dappertutto, fin dentro le arterie.
La tua è una scrittura di esperienza, una ricerca lessicale che tenta una traduzione o una liberazione? Cosa fa, ed è la scrittura?
Scrittura è la pallida traduzione del dentro.
É la tua verità, ciò che rimane del corpo (del mio, perlomeno), la mano tesa, il tentativo di restituire ciò che si prova o si vede, è far vivere ciò che soffre o muore, è la creazione delle possibilità. Una cosa viene creata dal fatto di essere stata detta, o scritta. Anche se sono stata ridotta al silenzio, rimane ciò che ho scritto. Sotto le mie macerie c’è il mio quaderno.
Ci sono autori/autrici imprescindibili nella tua formazione?
Se scrivere è il drenaggio che scampa l’esplosione della mia disperazione, leggere è la droga perfetta. Imprescindibili Duras, Szymborska, Salinas, Lorca, Masters, Israel Singer, Romain Gary, Potok, Fante, Bukowsy, Canetti, Mann, Rodari. Ho nominato i riletti molte volte. Ma amo i fumetti, la fantascienza, i gialli, la psichiatria…
I tuoi versi nascono da una ferita, da un colpo o da una cicatrice?
Non lo so. Ho delle idee che mi girano in testa. Cerco di dirle. Però ho paura di dilungarmi, di ripetermi, perciò tolgo tolgo tolgo fino alla sintesi, che poi somiglia alla poesia. Non so se sono versi. Sicuramente un tentativo di spiegarmi. Ma tutt’e tre: sia ferita che colpo che cicatrice, cioè tutto quello che mi tocca o mi segna.
Leggendo il come si cadenzano le tue parole ci sono approdi, lampi di consapevolezza su territori composti di una solitudine corale. C’è molta ironia e forza, rabbia e misericordia. Sarà per questo che le parole “distruzione” e “amore” messe insieme condannano e salvano al tempo stesso la condizione umana?
C’è ambiguità in questo titolo, nel senso di due cose al contempo. Viene fuori come sono io, non posso nascondermi: spero, con una forza che stupisce anche me, mentre mi rendo conto, capisco la disfatta, la fine, la morte. Eppure anelo. Convivono questi due estremi. Perciò non è distruzione dell’amore soltanto, ma distruzione del dolore, anche.
In Altrimenti e Ancora c’è il sentimento del sentirsi “orfana”.
Come nasce e si traduce questo essere orfane?
Sai che ti dico? Che ci dovrebbe essere l’abolizione dell’eredità per far saltare il sistema. Sono stata orfana di madre perché non poteva guardarmi e di padre perché mi odiava, e mi sono attaccata ad ogni persona che si è occupata di me. Io sono e sono stata amatissima, voluta salva, viva, realizzata. Ma tengo dentro questa perdita come una tristezza staminale tessuta assieme al bene, alla gioia, ad ogni significato.
Se tu tornassi…Torna da me… Amami… Desiderami… Massacro. Festa. Umana. Tua. Sono alcune delle parole che che accompagnano le ultime due poesie de “La distruzione dell’amore”: Iodio e Ancora.
Dunque, cos’è l’amore? Nostalgia, festa e massacro insieme?
Bella. Mi piace questa tua deduzione: io le avevo divise e le pensavo in tempi diversi, ma concordo. Festa e massacro, sì.
Le amanti, “architette di stanze segrete”: è l’amore o il desiderio a edificare?
É la descrizione metaforica di quello che suscita in me l’amore. Sono contenta che nomini questa poesia, perché per me è importante. Però è lunga. Nessuno vi fa mai cenno…
L’amicizia è un tipo di relazione che – forse – più dell’amore sembra ricondurre a casa. Cosa ne pensi?
L’amicizia è difficile, faticosa, pari, chiede pazienza, tempo, ascolto. Avere davvero amiche nella mia testa è curriculare, parla delle tue capacità, del tuo dialogo con l’altra, parla della tua forza. Sarei felice, se qualcuna si definisse mia amica. Anche amica, come poeta, è un titolo onorifico.
Ci sono svariati animali nei tuoi versi: elefanti, lupi, tigri, colibrì… Nella tua mitologia a quale animale sei più legata?
Amo le bestie feroci che hanno dentro una delicatezza, le donne fredde che bruciano di nascosto, le lupe addomesticate da un sentimento. Perché io sono quell’elefante, con le tigri ci combatto.
Anima e corpo nei tuoi versi non sono distinti. Entrambi sono richiamati e celebrati, è cifra voluta o necessaria?
Corpo? Esistere è molto difficile per me. Se molti lettori hanno trovato il corpo nelle mie poesie, vuol dire che mi è sfuggito o che ho fatto come con la pietra filosofale, usando le parole per darmi sostanza.
Cosa ti incuriosisce di più in una persona, in una città e in un libro?
Voglio sapere la storia di.
E, a forza di ascoltare, profilare, curare, leggere e visitare, ti vengo incontro con delle ipotesi, pronta alla contraddizione, ma già piena di una qualche te. Che tu sia persona città o libro.
Una parola bella e una brutta
Capire/perdere
Un nome
Silvia Simonetta Annalisa Rori Emma che ho pronunciato anche in estasi, sono tutte importanti.
Un cibo
Cioccolata fondente
Un libro
La vita davanti a sé (Romain Gary)
Un disco
Mozart Requiem
Una città
Parigi
Una stagione
Primavera
Un odore
Pane (ma anche sesso non scherza)
Ci sono domande che non ti hanno mai fatto? Quali vorrebbe che ti facessero?
Certo, ci sono ancora domande che non mi sono state fatte, ma non posso e non voglio saperle. Devo essere presa alle spalle dalla domanda, spiazzami, destabilizzami, sfidami.
Io sono l’altro:
cos’altro potrebbe mai
essermi caro?
Con La distruzione dell’amore, Anna Segre vince la XXXIV edizione del Premio Camaiore, 65 poesie con il titolo sia in italiano che in ebraico che traducono questo sentimento complesso, difficile da dire se non per negazione, per sottrazione, per scontro, per estasi, per desiderio.
C’è la ferita d’amore e l’amore da darsi, meritarsi, offrirsi. C’è l’amore che ride, celebrato, carnale, raro, attraversato e impossibile.
Noi ci amiamo,
a parte il fatto che ci odiamo.
C’è l’amore verso la radice della parola, la cura, l’ascolto; l’amore verso i segni, il mutamento, il divenire che ogni anima e animale dell’autrice accompagna e allo stesso tempo scopre. Il tempo degli orologi ci impone di essere, la poesia ci dice che non è così.… ogni minuto è un’ora,
ogni giorno è un anno
e viceversa,
un mese dura dall’alba al tramonto…
La poesia mette insieme i nostri pezzi nel divenire e i gli stessi versi che abbiamo letto il giorno prima sono altro. Non si legge per due volte lo stesso verso, per giocare con Eraclito.
Anna ringrazia un dio, / che forse esiste, evoca angeli che stendono ali e conta le sue di ali “a malincuore, / ho ceduto alla realtà.”
Il suono e il peso delle parole in questa sottrazione diventala gioia è muta
senza nome
senza padre
senza legge.Escapista come Houdini, ma da se stessa.
Sono io stessa
all’oscuro del mio abisso.
Addii e approdi che ci donano e restituiscono la più creatura tra le creature.Scrittura come
eternità
mappa
eredità.Scrittura
come l’arte di diventare,
come il recupero della dignità
quando tutto è perso.
Anna Segre:
www.annasegre.it
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